OTTAVIO ZANOTTI BIANCO INGEGNERE Professore incaricato dell’Insegnamento dell’Astronomia cella B. Università di Torino. ISTORIE DI MONDI SAGGI DI ASTRONOMIA FRATELLI BOCCA, EDITORI MILANO ROMA FIRENZE 1903 PROPRIETÀ LETTERARIA Torino — Vincenzo Bona, Tip. delle LL. MM. e dei BB. Principi (9084) ^T^-fTTT tttttttttt t ttt t t im t ry^rrrr t t t t ryy^y^T^rWV^rrrrTrrr rr AL CORTESE E BENEVOLO LETTORE « The man who cannot wonder, who does « not habitually wonder (and worship), were « he President of innimierable Royal Societies, « and carried thè whole Mécaniqu « Celeste «and Hegel s Philoeophy, and thè Epitome of « all Laboratories and Observatories with their « roBults, in bis single head, • is but a Pair « of Spectacles behind whieh there is no Eye. « Let thoso who hav« Eyes look through him, « thon he raay he nseiul *. Thomas Caklylk, Sartor Renar tue. Questo volume che ora si presenta al Pubblico Italiano è il terzo di una serie di Saggi d’Astro- noinia, che già pubblicati in varie riviste, vengono gui riuniti e ristampati. Or sono sei anni, licen- ziando alle stampe il primo volume della serie — In Cielo — peritoso assai non osavo sperare che la modestissima opera mia, potesse trovare quella buona e lusinghiera accoglienza che s’ebbe nel nostro paese e fuori. Di essa mi compiaccio perciò tanto più vivamente, e con soddisfazione intensa t'i scorgo una manifestazione di calda simpatia per VI AL BENEVOLO E CORTESE LETTORE la nobilissima scienza degli astri, ed un ottimo indizio per il progresso della coltura generale in questa nostra Italia. Mi si conceda dunque di rin- graziare, per me e per l’astronomia, gli Editori Fratelli Bocca che continuarono a favorire di loro validissimo appoggio l' antichissimo e sublime studio del firmamento, ed il Pubblico Italiano che li ha secondati, e speriamo continuerà a mostrarsi bene- volo e propizio all’ intelligentissima opera loro. Torino, Settembre 1902. Ottavio Zanotti Bianco. f7, r ,.»TtTT! TTrTrmTTTTTTYT rrrTT»TTTTTTrrrTTT T t TTTTTT '*TTrrrTTrn»T INDICE Prefazione . Pag. V Almanacchi • » 1 La forma e la grandezza della Terra . • W 26 La variazione delle latitudini » 78 Le Comete • * 112 Le Stelle cadenti • 1» 153 La fine del mondo .... • 1» 197 Eclisse di Sole 1» 228 il calore del Sole • 1» 278 s A L M A NAC C II I Qnesia op«ra in ogni parte ò un libro d’oro. Non fu più preziosa gemma mai Del Kalendario I. Questi versi sono i primi di un sonetto colla sua brava coda, che si trova in principio del primo almanacco italiano a stampa che si co- nosca. Esso è quello apparso nel 1476, ed è un li- bretto rarissimo; la biblioteca Marciana no pos- siede mi esemplare; si sa che fu compilato da Regiomontano, ma ignorasi il nome di chi lo ha tradotto in italiano. Può darsi che il calendario sia un libro d’oro. Così non la pensavate voi, bionda Evelina, che lo dicevate sgarbato ed insolente al pari dell’oro- logio, perchè entrambi vi buttano in faccia, im- passibili e beffardi, l’ingiuria del tempo trascorso, e non volevate nel vostro salotto nè l’uno, nè l’altro, perchè l’uno, dicevate, mi fa invecchiare, 7 . k sotti Bianco, Istori» di mondi 1 2 ISTORIE DI MONDI l’altro rammenta agli amici che mi favoriscono di loro visita, l’ora d’andarsene. Poi vi dispia- cevano quei due nomi di calendario e d’alma- nacco, cosi difficili, mentre in italiano abbiamo il buon lunario, la cui etimologia avevate trovato in rio e luna, perchè in esso lo lune scorrono come l’acqua in un rio, e non vi allontanavate troppo dal vero. Il Leopardi però, là in quel suo famoso dialogo tra un venditore di almanacchi ed un passeggere, adopera indifferentemente ora l’uno ora l’altro, ma calendario non scrive, ed a ragione, perchè in bocca al rivenditore suonava meglio il popolare almanacco. Dante non si serve di alcuna di quelle pa- role, ma nel canto XVI del Purgatorio scrive : come se tue Partissi ancor lo tempo per colendi? cioè come se tu dividessi ancora il tempo per mesi. Dal latino calendae, e questo dal verbo calare che valeva chiamare, convocare, è deri- vato il vocabolo calendario, giacché appresso i Romani il Pontefice ogni dì primo del mese chia- mava il popolo ad udire come fosse la distribu- zione dei giorni del mese che in quello princi- piava. Quanto all’origine del vocabolo almanacco le opinioni sembrano divise. In Italia, il Riccardi lo dà come usato per la prima volta per le stampe in un libro pubblicato da Pietro Pitati nel 1542, e che si riferisce al calendario degli undici anni correnti dal 1552 al 1562. Chi vuole che almanacco derivi dall’arabo, e chi dal sas- sone, altri dal greco. Sembra però che l’opinione più accreditata sia quella che lo fa derivare dal ALMANACCHI 3 sassone, con Verstegan. Riportiamo qui quanto egli scrive, perchè ci darà occasione di toccare di una curiosissima foggia di almanacchi. “Essi,,, egli dice, alludendo ai Sassoni, “ usavano inta- gliare sopra certi lognetti quadrangolari, lunghi all'incirca un piede, o più o mono, a seconda dei gusti, l’andamento delle lunazioni di tutto l’anno, così che essi potevano sempre dire quando do- vevano accadere le diverse fasi, ed i loro giorni festivi. Essi chiamavano poi abnon-aght questo legnetto intagliato, cioè tutta l’attenzione delle lune, per affermare la cura e l’osservazione di tutte lo lune: da ciò il nome di almanacco „. Un istrumento di tal fatta esiste ancora a Cambridge nel collegio di St. John ed è di data antichis- sima. Di una forma simile a quello menzionato da Verstegan era l’almanacco ad intagli descritto dal dottor Roberto Plot nella sua Naturai History of Staffordshire (1680), che egli chiama Clog al- manac, e che assai usato in quella ed in altre contee settentrionali, vi fu forse portato dai Da- nesi che molti secoli prima avevano invaso l’In- ghiltcrra. Questo almanacco ad intagli ha con quello a libro lo stesso rapporto che i legnetti a tacche o taglie, usati altra volta per tenere la contabilità, hanno coi poderosi registri delle aziende finanziarie moderne. Esso constava di un legno di bosso, o di altra essenza dura, a sezione quadrata, lungo otto pollici, e così dis- posto da poter essere appeso nel salotto per l’uso della famiglia, ma qualche volta lo si por- tava incastrato in un bastone da passeggio. In 4 I8T0BIE DI MONDI sostanza era un almanacco perpetuo destinato specialmente a designare le domeniche e le altre feste fisse dell’anno. Per servirsene ogni persona doveva badare in qual giorno l’anno corrente in- cominciasse per rispotto a quello segnato sulla taglia ; così se i duo non coincidevano, un breve calcolo mentale di addizione o sottrazione gli permetteva di giungere a conoscere quanto de- siderava. L’intiera serie dei giorni componenti l’anno era rappresentata da intagli praticati sui quattro spigoli del legnetto quadrangolare, ogni spigolo corrispondeva a tre mesi, il primo giorno d’ogni mese ora distinto da un incavo laterale rivolto aU’insù, ed ogni domenica da un intaglio più grande. I santi poi e le feste erano accompagnati da certi segni rappresentanti simbolicamente fatti o cose concernenti la vita del santo del quale ricorreva l’anniversario. Forse allora si conoscevano lo vite dei santi meglio di quel che oggi non avvenga, ed agli occhi dei viventi di allora, in massima parte analfabeti, quei sim- boli valevano meglio di parole. Sono almanacchi di questa maniera quello il- lustrato da Wolf nel 1820 e studiato da Cahier, nella sua utilissima opera sulle caratteristiche dei santi; e quello di Bologna, del quale si oc- cupò il Frati. Più antico di questo è l’almanacco di cui Greytner ci dà la figura nelle sue Inscriptiones, che era formato da un cubo di marmo, sullo cui quattro faccio verticali stavano scolpiti i giorni ALMANACCHI 5 di tre mesi, le none, le operazioni agricole, cor- rispondenti a ciascun mese e le feste. Quanto cammino da quel blocco di marmo ai ninnoli di oggi, spesso graziosi, non sempre artistici, in peluche e raso, e con disegni troppo di frequente di maniera volgamela ! Ma siamo ancora indietro rispetto ai petits almanachs reliés che nel secolo scorso un rinomatissimo confettiere parigino ce- lava nell’interno dei suoi bonbons à surprise, e dal For (jet me not (non ti scordar di me) di Londra pel 1830. Questo, che è forso l’almanacco più piccolo che siasi stampato, era del formato 512, vale a dire un quarto del famoso e già raro j Vantino di Salmin di Padova; osso poteva na- scondersi entro un anello e nondimeno conteneva squarci dei più celebri autori inglesi. Altri al- manacchi perpetui potevano portarsi appesi come ciondolo alla catenella dell'orologio, cssondo in metallo e di dimensioni oltrepassanti di poco quelle di una moneta da due franchi. II. Fino ad una cinquantina d’anni or sono gli almanacchi a libro, ed erano la massima parte, contenevano predizioni astrologiche sopra Vanno, come solevasi scrivere allora, cui si riferivano. E tali predizioni espresse nel più puro linguaggio astrologico concernevano gli eventi umani, l’agri- coltura, il tempo ossia gli eventi atmosferici. Nè questo mal vezzo è smosso oggi: chè se si tra- lasciano in generale le predizioni astrologiche, 6 ISTORIE DI MONDI cui pochi oramai credono, si continuano a stam- pare quelle meteorologiche a lunga scadenza, cui certo molti prestano ancora fede, a giudicare almeno dal favore che incontrano sempre gli al- manacchi che le contengono. Io nutro fiducia che i cólti lettori dell 'Antologia non presteranno fede alle insulse profezie dei Mathieu de la Dróme e simili, ma ad ogni modo ci consentano una breve digressione al riguardo. Fino al giorno d’oggi la scienza non è riu- scita a constatare alcuna relazione fra le posi- zioni dei pianeti e le vicende atmosferiche che producono il tempo. Quanto alla Luna è bene riportare qui, e ciò non è mai fatto abbastanza, le conclusioni alle quali è giunto il nostro grande Schiaparelli, in un suo profondissimo esame del- l’influenza della Luna sul tempo. “ A coloro dunque che domandano se l’influenza della Luna sui fenomeni atmosferici si può riguardare come accertata, risponderemo con Arago e Kaemtz es- sere difficile ancora dubitarne. Ma ciò non con- duca all’illusione che tali influssi possano essere di essenziale aiuto per prodire le vicende atmo- sferiche. Il grande produttore e regolatore di queste vicende sarà sempre il Sole; il suo in- flusso e le perturbazioni che la rotazione e con- figurazione della superficie terrestre inducono nella sua azione, saranno sempre gli elementi determinanti lo stato del cielo: le azioni della Luna non potranno apportarvi che modificazioni affatto secondarie, che si perdono nelle grandi oscillazioni prodotte dagli influssi solari diretti almanacchi 7 riflessi. E ciò è tanto vero che 38 anni di os- servazioni appena furono sufficienti a dimostrare la esistenza dell'influsso lunare attraverso alle infinite irregolarità del tempo, dalle quali, non senza lungo lavoro, si è riuscito ad esternarlo ed a renderlo manifesto Quindi che cosa bisogna pensare delle profezie che fondate sull’influenza lunare, o su regole più o meno immaginose ed immaginarie, si vanno tuttora spacciando in molti almanacchi? La risposta non è dubbia: esse vanno respinte, come arrischiate a casaccio e cam- pate in aria, e perchè mancanti di baso o peggio fondate sopra ipotesi e teoremi falsi. Pur tuttavia, dirà taluno, si è notato cho quelle predizioni si avverarono qualche volta; e noi rispondiamo: si è forse notato quante volte esse non si veri- ficarono? Le persone che accettano por attendi- bili le profezie sul tempo a lunga scadenza date dagli almanacchi, hanno, come tutte quelle im- bevute di talune idee, una tendenza rimarchevole a segnare di special nota il verificarsi dei fatti consoni alle loro idee, ed a lasciar passare asso- lutamente inavvertiti quelli cho coll’ inveterate loro opinioni non concordano. Per mantenersi nel vero, e per giudicare con sano criterio della opi- nione accettata intorno alle profezie sul tempo, sarebbe bone tenere esatta registro delle coin- cidenze e delle discordanze della teoria ammessa colla realtà dei fatti. Con ciò sarebbe facile il convincersi della fallacia dell’opinione tenuta, e si potrebbe ancora colla precisa registrazione dei fenomeni rendere segnalati servigi alla raeteoro- 8 ISTORIE DI MONDI logia. E qui giova applicare quel che, non ram- mento chi, disse dolle predizioni astrologichà : fra tante treccie che si scoccano a caso, non è a meravigliare se alcuna colpisca nel segno. Del resto un aneddoto varrà a mostrare come gene- ralmente si pronunziano le profezie sul tempo degli almanacchi. Si è pubblicato fino a non molti anni or sono a Liège un almanacco, noto col nome di Almanach Liéyeois, od anche Doublé Almanach Liéyeois. L’opiteto di doppio si trova spesso appiccicato al sostantivo almanacco, od a varie denomina- zioni, e cosi si ha ancora da noi 11 doppio pe- scator di Chiaravalle. La fondazione di quell’al- manacco è, secondo una tradizione conservata nella famiglia dello stampatore Bourguignon, erede e discendente degli antichi stampatori Streel di Liegi, attribuita al canonico Matteo Laensberg verso l’anno 1600, però questo nome non fu ritrovato nella lista dei canonici di quell’e- poca. Che che ne sia di ciò, si racconta che questo Laensberg soleva dettare a una sua nipote le pre- dizioni meteorologiche, che essa scriveva di fronte ai vari giorni dell’anno. Erano giunti al 21 set- tembre. Il profeta dettò: Temporale, Grande pioggia. * Ma zio „, gli osservò la scrivente, * il 21 settembre è il giorno del tuo onomastico! „ “ Bel tempo, nipotina, bello fisso „, replicò il coscienzioso canonico. Se non è vero, è ben trovato. Il primo almanacco di Matteo Laensberg è per l’anno 1636. In esso si vedono i dodici segni almanacchi 9 colesti governanti le vario parti del corpo umano, secondo i dettami dell’astrologia, vi si legge quali sono le epoche favorevoli al taglio dei capelli, al cavar sanguo, al prendere medicine, ecc. I modici d’allora, golosi in vedere che un fabbri- cante d’almanacchi s’impadroniva delle loro pre- rogative, fecero poi sopprimere quei brani negli anni successivi. L’accenno ai giorni favorevoli al cavar sangue, mi fa ricordare, che presso gli Arabi lo sono il martedì ed il mercoledì : Marte essendo in astro- logia il patrono del ferro e dol sangue e Mer- curio degli umori. Anche oggi, narrano i viag- giatori, quando gli astrologhi (o ve ne sono an- cora e non solo in Turchia) hanno proclamato un dato giorno favorevole ai salassi, le vie di Bagdad sono solcate da rigagnoli di sangue, pro- venienti dallo botteghe dei barbieri, che colà sono tuttora, come presso di noi qualche diecina di anni or sono, i soli flebotomi e chirurghi. Nei libri manoscritti di devozione e preghiere medioevali, si trovano degli almanacchi, vori ca- polavori di calligrafia e miniatura, opera paziente, sollievo delle interminabili ore nel convento, a monaci oscuri. Nelle figure di essi, si vede spesso, come ripetè, lo vedemmo, Laensberg, il corpo umano circondato dalle costellazioni e dagli astri che governano le vario sue parti. Medicina od astro- logia andarono per un pezzo d’accordo e così che Bernardo di Gordon, famoso medico, pronunciò la sentonza che: senza un buon almanacco che in- dichi le fasi della Luna, la medicina è un’utopia. 10 ISTORIE DI MONDI Gli antichi avevano paura di farsi cavar sangue in parecchi giorni deiranno; questi erano detti giorni egiziaci ( dies aegyptiaci ), ed in essi era consigliato di astenersi dall’ intraprendere qual- siasi cosa, e ve ne erano duo al mese, e negli almanacchi del basso Impero erano particolar- mente notati. Poi, come se questi non bastassero, se ne portò il numero a quarantadue, e guai a chi in essi si fosse fatto radere la barba, accor- ciare i capelli e le unghie, avesse stipulato con- tratti di compra e vendita, messa la prima pietra di una casa, guai ! Fra questi poi, cinque erano infausti a chi volesse viaggiare, il 3 marzo, il 17 agosto, l’I, 2 e 30 settembre. Ma i giorni che riguardavansi come i più temibili e terribili dell anno erano il 1° aprile, giorno in cui vuoisi nascesse Giuda il traditore; il 1° agosto nel quale l'angelo Lucifero fu precipitato dal cielo, e di- venne il demonio; il 1° dicembre, giorno della distruzione di Sodoma. Tra i giorni temuti stanno anche oggi il ve- nerdì ed il 13 d’ogni mese; od oggi ancora si può applicare ad un gran numero di persone quanto scriveva Zaini nella sua Specula physico- mathematica: “ multi in die Veneria nolent ungues prescindere, aut indusium mutare, aut novo ve- stimento indui: ne fortunata aut valetudinem ir- ritali „ (1). La superstizione che il cambiarsi la (1) Molti non vogliono tagliarsi le unghie in venerdì, nè mutarsi la camicia nè vestire un abito nuovo, onde non irritare la fortuna e la salute. ALMANACCHI 11 camicia di venerdì porta sventura è cosi radi- cata oggi ancora tra i marinai di corti paesi di Europa, che or non è molto mi accadde di leg- gere il fatto seguente. Sulle coste della Bretagna, naufragò un piccolo veliere, morirono tutti i ma- rinai, si salvò solo il capitano. Questi ebbe a confessare che i suoi uomini, trasgredendo l'inse- gnaraento dei saggi, s’erano cambiata la camicia il giorno innanzi al naufragio, che era di venerdì, mentre egli se nera guardato . bene, e n’ebbe salva la vita. Scrive ancora il sopra citato autore: « gi dice che chi è nato nel giorno di Venere santa vedrà i morti e le cose tutte che sono sotto terra. Io però nato in quel giorno nell’anno 1641 altro non potoi avvertire se non qualche spettro notturno visto anche da altri „ . A questa suporstizione del venerdì non sfuggirono uomini celebri: Filippo Maria Visconti, ad esempio, credeva che se in venerdì avesse incontrato un uomo colla barba rasa gli sarebbe toccata una sventura, ed è noto come Napoleone I paven- tasse questo giorno. Già pare che i primi cri- stiani temessero che al malo influsso dei giorni egiziaci o neri non potessero sfuggire nemmeno i Santi. Sant’ Agostino riferisce infatti che i suoi fedeli lo dissuadevano dal cominciare checchessia in un giorno egiziaco; e sant’ Ambrogio ricorda che molti prestavano fede a quoi giorni di cat- tivo augurio. Io ignoro se la paura del venerdì, oggidì ancora così comune, abbia cominciato colla leggenda che vuole che Adamo ed Èva abbiano mangiato il frutto proibito in giorno di 12 ISTORIE DI MONDI venerdì e siano morti in un giorno di tal nome (così l’almanacco sarebbe anteriore alla creazione dell’ uomo), oppure coll’orrore di Venere, il sedu- cente demone della lussuria, e della sua amica, la Freya degli Scandinavi, moglie di Odino. Ignoro quanto in questa superstizione entri la morte di Gesù Cristo, che la tradizione pone in venerdì, op- pure l’avversione per tal giorno che è la domenica dei Mussulmani, ma rammento che san Giustino parlando dolla Passione di Nostro Signore, evita di nominare il venerdì, che gli Scozzesi scelgono per le loro nozze, mentre gli Inglesi lo evitano, attenendosi all’opinione che Racine ha espresso nella sua commedia Les Plaideurs. È curioso d’al- tronde l’avvertire che fra i bramini, buddisti del- l’India, predomina la superstizione del venerdì così che consigliano di nulla cominciare in esso. Quindi è impossibile il rintracciare l'origine di questo, come di altri errori popolari ; lo storico che vi s accinge, si trova come il viaggiatore al cro- cevia in un paese ignoto, non sa da qual parte dirigersi. Una strada lo conduce nelle antiche fo- reste teutoniche; una seconda fra i selvaggi della Scandinavia; una terza alla Roma papale e di là alla Roma pagana, mentre la quarta mette capo al lontano Oriente, ove egli è abbandonato a sè colla convinzione che molto di quanto è an- tico e strano e straordinario fra noi, molte super- stizioni tramandateci dai nostri più lontani pro- genitori, hanno loro profonde radici nel suolo di una delle antiche culle di nostra razza. ALMANACCHI 1 3 Quasi quasi scordavo che nella graziosa ope- retta La Mascotte si canta: Jamais on ne devrait Se mettre à table treize, Mais douze e’est parfait. I Cristiani attribuiscono il cattivo presagio del tredici, all'ultima cena di Cristo coi suoi dodici apostoli. Nell’antica mitologia nordica, l'essere tredici a tavola era ritenuto funesto, perchè ad un banchetto nel Valhalla, Loki, introdottosi di soppiatto, fece che i convitati fossero tredici e Baldur fu ammazzato. I Turchi hanno una tale antipatia por il 13, che questa parola fu radiata dal loro vocabolario. Se il 13 è una brutta data e il venerdì un cattivo giorno, cosa succederà quando data brutta e giorno cattivo coincideranno? Non so; certo è che quella coincidenza avviene e non di rado. Qualche anno fa l’ottima rivista francese La Na- ture ha dato una regola per trovare quando quel pericoloso congiungimonto del 13 col venerdì possa accadere. La regola è d’indole matematica e qui non possiamo far altro che menzionarla. Basti il sapere che per un’annata non bisestile, ciò deve pur accade almeno una volta, al più tre. Nel 1900, ultimo del secolo decimonono, ac- cadde una cosa ancora più rara, il venerdì santo fu un 13. Nel secolo ventesimo, incominciato coll’anno 1901, il venerdì santo cadrà tre volto nel 13 aprile, e precisamente negli anni 1906, 1979 e 1990. 14 ISTORIE DI MONDI Il venerdì santo non può avvenire mai dopo il 23 aprile, perchè Pasqua non può cadere oltre il 25 aprile, ciò avvenne l’ultima volta nel 1886, nel secolo ventesimo avverrà una volta sola nel 1943. Nella chiesa del piccolo villaggio di Ober- Emmel sulla Saar nel distretto di Trier in Prussia, leggesi la seguente lugubre profezia: “ Quando san Marco offrirà l’agnello pasquale, e sant’An- tonio solennizzerà la Pentecoste, e san Giovanni nel giorno del Corpus Domini venererà Cristo in Sacramento, allora il mondo sarà pieno di ge- miti e di pianti ». Le coincidenze de’ Santi con le feste menzionate si verificarono nel 1886, che Nostradamus, nelle sue Centurie, vaticinò sarebbe stato il più funesto del secolo decimonono: esse si ripeteranno nel 1943. Qui è più che mai il caso di esclamare : “ Crepi l’astrologo ! » giacché pare che Nostradamus non sia ancor morto, e la leggenda vuole che egli si facesse chiudere vivo nella sua tomba, nella chiesa dei Francescani a Salon, con lampada, carta, inchiostro, penne e libri, minacciando di morte chiunque osasse di- sturbarlo. Il venerdì santo non può cadere prima del 20 marzo, perchè Pasqua non può trovarsi prima del 22 del detto mese. Ciò avvenne nel 1818 e per parecchi secoli non si ripeterà più. Oggi si dice nefasto un giorno, in cui accade qualche disgrazia, o che per qualche motivo è di cattivo augurio. Presso i Romani dicevansi nefasti quei giorni nei quali era vietato al pre- tore dar leggi e giudicare: fasti dicevano quei ALMANACCHI 15 giorni nei quali era lecito al pretore di ciò fare. Fusti da fari, fari tria verbo (pronunziare tre parole: do, dico, addico). Nefasti erano i giorni specialmente consacrati al culto degli dei. Si dicevano poi fasti sacri o Kalendares i libri sui quali i sacerdoti, soli depositarii della dottrina della divisione del tempo, tenevano registrati e distribuiti i giorni festivi e non. Questi libri erano custoditi gelosamente dai preti, che non ne consentivano ad alcuno l’esame. Ma un giorno certo Flavio, scriba di Appio Claudio, riuscì a giungere fino a quei sacri pontificali volumi, ne copiò l’essenziale o lo espose al pubblico nel loro, e d'allora in poi, fasti fu sinonimo di calendario. m. Quasi non bastassero i giorni vi furono anche i mesi di cattivo augurio, paro però che la po- tenza malefica sì degli uni che degli altri si vada indebolendo ognor più: e vorrei sapere se le sta- tistiche ferroviarie conformino quanto da taluni si afferma, che di venerdì e di 13 si viaggi real- mente meno. Era un mese infausto per lo nozze il maggio. Povero mese delle rose, in cui fin l’asinelio filosofo canta d’amoro! Settembre era pericoloso ai gran signori, ottobre e novembre ai vecchi ; in compenso gennaio era un mese fe- lice. Incomincia però con un giorno cattivo: in- fatti in un antichissimo manoscritto, conservato a Exeter in Inghilterra, e che vuoisi sia dei tempi di Enrico IL (1154-1189), accanto al primo 16 ISTORIE DI MONDI gennaio leggasi Dies mala (giorno cattivo), indi- cazione che però è scomparsa in calendari ma- noscritti dei tempi di Enrico VI d’Inghilterra (1377-1399). Ed ancora nella vita dell’uomo gli astrologi ed i medici, che per molto tempo furono assai spesso una cosa sola e basti rammentare Cardano, avevano intercalato gli anni climaterici. Nel Fan- fani la parola non c’è, e merita di non esservi, perchè suona male, ed è cattiva. Il celebre Sau- maise (Salmasio, 1588-1658) ha scritto un libro sugli anni climaterici; ma Bouché-Leclercq, nella sua recente e pregevolissima istoria dell’astro- logia greca, dice che dopo aver letto il libro di Saumaise, si è scusabili di non saper che cosa siano questi anni climaterici. Gli anni climaterici della vita umana sono il 7 ed il 9, ed i loro mul- tipli, e sopratutto il 63, prodotto di questi due numeri, e che era detto il Gran climaterico ; l’ul- timo anno climaterico, et pour cause, era l’ottan- tunesimo, cui presiedeva Saturno, il pianeta dal maligno influsso. E di questa influenza dei pianeti hanno sempre tenuto conto i compositori d’almanacchi nel for- mulare le loro profezie, secondo i dettati della astrologai: profezie che poi s’aweravano nega- tivamente quasi sempre. È curioso però il rammentare che la rivolu- zione francese del 1789 fu predetta da tre o quattro astrologi, che l’azzeccarono giusta. Voglio rammentare una profezia che costò la vita al vaticinatore, ed è contenuta in un almanacco, almanacchi 17 che forse fu distrutto completamente, perchè non se ne trova indizio, benché menzionato dal Mu- ratori, dal Cibrario, dal Denis (1) e dal Des Es- sarts. Trascrivo qui il brano del Muratori che nd esso si riferisce: “ Fece orrore in quest’anno (1G48) la congiura ordita da alcuni tristi, cioè da don Giovanni Gandolfo religioso dell ordine di san Bernardo, da Bernardo Sillano, senator di Torino, e da Giovanni Antonio Gioja, contro l'innocente vita del giovinetto Duca di Savoia, Carlo Emanuele o di Madama Reale Cristina sua madre. Cercandosi chi avesse composto uno scan- daloso almanacco che prediceva tragiche avven- ture, gastighi di ministri e morte di gran per- sonaggi, se ne scoprì autore il suddetto religioso. Preso costui sul fine dell'anno precedente, venne poi rivelando i complici ed il nero disegno ^la lor fatto di estinguere il sovrano e la madre con veleni e con fattucchierio. Erano costoro del partito dei principi Maurizio e Tommaso zii del Duca. Il Sillano improvvisamente morì in pri- gione: ebbero il Gandolfo e il Gioja dalla giu- stizia il meritato fine „. E come antidoto all'influenza rattristante di questo episodio, rammenterò una gioconda predi- zione che trovo in un almanacco piemontese del (1) Debbo questa indicazione alla cortesia del signor Vincenzo Armando, colto bibliofilo assistente alla biblio- teca di S. A. R. il Duca di Genova, della quale mio padre ò direttore, ed a quella dell’ Accademia delle Scienze di Torino. Zuotti Uiakco, Istorie di monili 2 18 ISTORIE DI MONDI secolo scorso: “ Vi saranno matrimoni con dotto (sic) di considerazione, e conviti e feste: in taluni di essi nasceranno liti e risse che spero però si ac- queteranno j, • E così sia: o meglio così sia stato. Curiosi i titoli dogli almanacchi del secolo scorso: Mondo nuovo tra i venti ; La Luna in corso del dottor Vesta Verde di Milano sopra l’anno... dell’ Astrologo di Vaiserena , che ebbe Ni- pote e Pronipote dei quali scrisse Carlo Tenca; Almanacco Monferrino per l’anno 1781 di Ner - visio Pontegamero Eppeton con particolari erudi- zioni. In questo troviamo riassunti di osserva- zioni meteorologiche e gl’ immancabili discorsi sulle stagioni e l’introduzione in versi, e versi intercalati fra i Santi del mese, come oggi an- cora si usa nella Sibilla celeste, almanacco popo- larissimo, che ha toccato la rispettabile età di anni 154. Poi abbiamo l’almanacco universale del Irrande Pescatore di ChiaravaUe, vivo anche oggi: in quello pel 1730 “ L’autore si protesta non predire con certezza li futuri contingenti, nò ciò che dipende da Dio e dal libero arbitrio Un po di metafisica non nuoce. C’è ancora La Luna stellante del pastorello astrologo immascherato, il Corriere del tempo dell’ astrologo immascherato e chi più ne ha più ne metta: ma non dimentichi 1 Almanach du Diable, e YAlmanach du Paradis, I uno per l'inferno e l'altro per il cielo e sopra gli anni 1737-38, sfogo di bizze religiose, ma scomparsi. Gli almanacchi dei secoli decimosesto e set- timo, meno numerosi, sempre astrologici, ave- ALMANACCHI 19 vano per lo più per titolo Prognosticon o Pro- , „wsticatio; quelli più vecchi ancora Cisio-Junus. Poche righe di spiegazione su questa parola che sembra cabalistica ed è del più puro catolicismo Così a voi, pia e buona Evelina, tornerà meno ostica e paurosa, e comprenderete meglio la cura che il vecchio zio, volterriano bonario ed indulgente, metteva nello spolverare il Cisio-Junus, manoscritto raro, del quale era così goloso, e che oggi è là nell'angolo più tranquillo della libreria, in °quella stuponda villa al mare che egli vi ha legato. Cmo-Janus ci rammenta di placidi parroci ta- baccosi : ma che tabaccosi ! Quando il Cisio-Junus ricordava le date e i Santi dei lunghi e mono- toni giorni alle bionde castellane di Polonia c di Germania nel malinconico maniero, Jean Nicol non aveva ancor fatto conoscere quella pianti- cella che so colle sue foglie apposta l’alito dei marinai di Bretagna, così che le loro donno con- fessano di proferire quello del diavolo, acquista così soave aroma quando, rotolata in elegante sigaretta, brucia fra le vostro labbra di corallo, bruna nipotina. Dunquo dicevamo che Cisio-Junus era una certa cantilena, colla quale si cercava di tenere a memoria i Santi ricorrenti nei vari giorni del- l’anno. Il mese di gennaio cominciava così: Cisio Janus epi sibi vendicai Oc Peli Mar An. Prisca Fab. Ag. Vincen Tim Paulus nobile lumen. Cisio che si riferisce al primo gennaio. Da queste due parole ebbe nome tutta la cantilena. Vengono 20 ISTORIE DI MONDI poi l'Epifania, epi, e 1 ’octava, oc, cioè otto giorni dopo la festa dei tre Re Magi, il 13 gennaio. È curioso che in questa maniera di computo è com- preso il principio e la fine dell’ intervallo di tempo ; ancora oggidì noi diciamo, fra otto giorni , volendo proprio significare sette giorni più tardi. Vengono poi le sillabo iniziali ed i nomi dei Santi fino al 25 gennaio, mancano però il 15 ed il 19, san Mauro e san Ponziano. Gli altri giorni del mese venivano designati riferendoli a quelli men- zionati, ad esempio, mercoledì dopo Paolo, sabato prima di Antonio. Nel 1500 Melantone volle mo- dificare il Cisio-Jano, ma ebbe poco successo. I Tedeschi ebbero anche i loro Cisio-Jani, nella propria lingua, e ne compose Ostwald von Wol- kenstein, l’ultimo dei trovatori. Cubi di marmo, bastoni, libri, cantilene tutto doveva servire da almanacco, ci mancavano le armi a completare la serie, e si adoperarono le spade. Esse sono dette dai Tedeschi Runen - schwerter (spade runniche), e costituiscono un in- teressante documento di una speciale industria raedioovale. I gentiluomini d’allora facevano vo- lentieri ornare le loro spade con iscrizioni mi- steriose, e le portavano come amuleti, che dove- vano proteggerli contro i colpi di punta e di taglio. Per trovare tali iscrizioni gli armaiuoli si tiravano d’impaccio ricorrendo ai calendari ninnici o scandinavi ancora assai poco intesi. Tale è l’origine delle spade runniche, così chia- mate perchè portavano incisi dei caratteri run- nici, delle quali se n’hanno ancora parecchie nelle almanacchi 21 c ollezioni e noi musei ; dodici ne possiede l’arse- nale di Boriino, a Vienna ve ne è una che vuoisi abbia appartenuto a Carlo V : forse di questa parla Bettina von Arnim, in una lettera al suo Goethe, datata da Vienna il 12 maggio 1810. I simboli che indicavano le feste nei calendari a bnstone si trovano incisi sopra una spada posse- duta dal museo di Dresda che si pretende ap- partenesse a Tomaso Mftnger, il capo dei con- tadini. Gli almanacchi sono molto antichi dunque, e si capisce: la necessità di sapere in che giorno si vive si è sempre fatta sentire. Marco Polo racconta di averne visti in China, ed accanto ai giorni eranvi notazioni relative alle cose da farsi o da evitarsi in ciascuno di essi. Un papiro egi- ziano, forse dell’epoca dolla diciannovesima o ventesima dinastia (1200 anni circa a. C.), con- tiene per novo mesi delle indicazioni analoghe: 21 settembre, non uccidere buoi; 22, non man- giare nè salare pesci, ecc. ; 28 dicembre, non mangiare alcun animale acquatico; 7 gennaio, non mostrarsi ad alcuna donna; 24 gennaio, giorno felice, bisogna bere delPidromele, ecc. E parlando degli almanacchi antichi, come scordare i parapegmi o calendari astrometeoro- logici degli antichi, ai quali il nostro illustre Schia- parolli ha dedicato un suo dottissimo lavoro? “ Il calendario rustico di Esiodo „, scrive Schia- parelli, “ si distingue dagli altri posteriori dei Greci per questo, clic non contiene pronostici di sorta alcuna. Il poeta nota semplicemente il ca- 22 ISTORIE DI MONDI rattere meteorologico di certi periodi dell’anno. Ben diverso sotto questo riguardo è il registro mensile dei giorni lunari, che forma l’ultima parte dell’opora, e che da alcuno anche si è voluto attribuire ad un altro autore (1). Esso è una specie di classificazione dei giorni della Luna propizi o sfavorevoli, sia in modo assoluto, sia sotto speciali riguardi; e contiene l’indicazione dei giorni in cui di preferenza si debbono fare certe operazioni ed evitare certe altre. Tutto è fondato su idee superstizioso, come i giorni fasti e nefasti del calendario romano. Tuttavia è da notare che neppure in questo calendario mensile d’Esiodo non si vede la minima traccia di pro- nostici del tempo, secondo lo stato della Luna, che rassomiglino a quanto si trova in Arato ed in Virgilio „. Poi abbiamo il parapegma di De- mocrito, il cui scopo era manifestamente quello di segnare giorno per giorno le probabilità del tempo che si poteva aspettare, e dopo altri, quello costrutto dal sommo astronomo Claudio Tolomeo verso l’anno 140 o 150 di Cristo, ed ordinato secondo il calendario Alessandrino che è una specie di calendario Giuliano. Questo pregevolissimo lavoro di Schiaparelli è stampato néìl‘ Annuario meteorologico italiano pel 1892 , utile pubblicazione cessata colla morte di (1) L’opera di Esiodo, cui qui si allude, fe il poema Opere e Giorni, che contiene il più antico calendario rustico che si conosca. almanacchi 23 Francesco Denza. Giovanni Schiaparelli, Fran- cesco Donza, due bei nomi! Il Padre Donza è morto da otto anni lasciando d i sò vivissimo dosiderio; mandiamo alla sua cara memoria un pensiero mesto ed affettuoso. Gio- vanni Schiaparelli dal 1° novembre 1900 ha la- sciato la direzione dell'Osservatorio di Brera ove ha mietuto allori che non appassiranno cosi presto, nell'astronomia e nella sua storia Gli succedette il degno suo allievo Giovanni Caloria. Schiaparelli lascia il servizio attivo, sano e ve- geto, continua a studiare ed a lavorare, o molto darà ancora alla scienza che con sì grande amore e successo coltivò senza sosta nè riposo per qua- rant’anni. Gli astronomi italiani gli offrirono un bellissimo album ricordo, od i suoi ammiratori una medaglia d’oro. Sia concesso a chi scrive il mandare al principe degli astronomi italiani, al- l’amico cortese, ognora largo di sapienti consigli, al maestro indulgente ed amorevole, il saluto riverente di un animo sempre grato e l’espressione dei più caldi voti, perchè egli possa per molti anni ancora essere conservato alla scienza del cielo, ed alla patria nostra che egli ha tanto onorata. Alcuni lavori di Schiaparelli furono stampati nelle Effemeridi Astronomiche di Milano, che da molti anni cessarono e furono sostituite da una pubblicazione di altra indole, a cura dell’Osser- vatorio di Brera in Milano. L’Annuario Meteoro- logico Italiano si è trasformato da due anni nel- V Annuario Storico Meteorologico Italiano ; ad esso 24 ISTORIE DI MONDI attendono con amore il P. 6. Boffito, membro della Deputazione di storia patria, ed il P. Morano diret- tore dell’Osservatorio di Moncalieri (1). In Italia non abbiamo una pubblicazione ufficiale per i dati astronomici e nautici ; la Francia ha la Conrnis- sance des tenrps ; l’Inghilterra il Nautical Almanac; l’America una pubblicazione di egual titolo e la Germania il Berliner Jahrbuch. In Italia si tro- vano dati astronomici nello Annuario Astro-Me- teorologico dell’abate Massimo Tono di Venezia e neW Almanacco Italiano. I principali Osservatori astronomici del regno fanno stampare calendari con alcune indicazioni astronomiche utili alla vita civile: ma por la navigazione si ricorre general- mente al Nautical Almanac inglese. L’Inghilterra possiede nel suo Whitaker’s Almanac un modello del genere, utile ad ogni classe di persone. E menzionando almanacchi, come scordare quello di Gotha così giustamente famoso, e lo State’s man Yearbook, indispensabile ad ogni statista e diplomatico ? La storia degli almanacchi, tentata in questi ultimi tempi da Champier, da Wilsinger, da Denis, da Uhi ed altri, non è compiuta, ma sull’alma- nacco della storia, gli anni ed i secoli scrivono il doloroso corso degli umani eventi, e della stirpe di Adamo le lotte sanguinose, che il cieco e muto spazio non vede e l’Universo ignora. Ro- teano gli astri, e corrono per le vie del cielo a (1) Anche questo Annuario b oggi (18 giugno 1902) ces- sato. almanacchi 25 sconosciuta meta, nascono e muoiono mondi e DO r l'etra sconfinata si svolge inconscia e fatale l’evoluzione del tutto e traccia non ne rimane ne vestigio. L’eternità non ha almanacco, ed il tempo scolpisce i suoi annali nell’infinito nulla (1). m Mi si consenta di rendere vive grazie ai cortesis- simi signori conte Cipolla, lo storico insigne commen- datore Carta, il dottissimo prefetto della Biblioteca Na- zionale di Torino che mi favorirono dei loro sapienti consigli e di preziose indicazioni bibliografiche. LA FORMA E LA GRANDEZZA DELLA TERRA i le riguardanti la parallasse (lello stelle fisse, che condussero alla scoperta della nutazione e dell’aberrazione, la storia dolla scienza non presenta alcun problema in cui I oggetto conseguito — la conoscenza della com- pressione inedia della Terra e la certezza che la figura di essa non è regolare — sia di bì gran tratto sorpassato in importanza dagli ac- quisti incidentali che, nel corso del lungo ed arduo cammino percorso por conseguirlo, hanno accresciuto i) patrimonio delle scienze matema- tiche ed astronomiche. Humboldt, Cosnm. I. I metodi adoperati fino ad oggi per la misura della grandezza e la determinazione della forma della terra sono di tre sorta, geodetici, fisici e astronomici : i primi sono antichi quanto i primi passi dell’uomo movente alla conquista ed alla conoscenza delle cose, gli altri due, recenti af- fatto. Rifacciamo collo spirito la via che la mente degli uomini tenne per giungere da quei primi e semplici tentativi alle complesse e lunghe ope- razioni dei moderni, arriveremo più presto e me- LA FOHMA E LA QBAKDEZZA DELLA TEBBA 27 lio a comprendere come sia oggidì risolto il problema della grandezza e figura della Terra, che è uno fra i più importanti delle scienze ma- tematiche applicate, in relazione specialmente colla vita sociale dell’umanità. Lo questioni che gli uomini si sono fin da principio proposte sono le seguenti: 1° Q™ 1 ’ 0 la forma del mondo sul quale essi vivono ? 2° Quali sono le dimensioni di questo mondo ? E evidente che la seconda questione non può precedere la prima: per ottenere le dimensioni di un corpo, bisogna prima conoscere come esso sia fatto per sapere qual cosa si deve misurare, altrimenti non si vieno a capo di nulla. Gli antichi pertanto cercarono, prima d’ogni altra cosa, di scoprire come ora fatto il mondo da essi abitato. Le prime indagini di quosto genere non poterono naturalmente aver altro di base, che la porzione di superficie terrestre accessibile agli uomini che le istituivano: si è perciò che i primi concetti circa la forma della Terra ritraggono le impres- sioni vergini dei sensi. Orbene, queste impres- sioni ci mostrano la superficie sulla quale stiamo, come la faccia piana di un disco circolare, del quale, sopratutto sul mare o su vaste pianure, noi ci crediamo al centro; ciò ben inteso, astraendo dai monti e colli che la mente subito si rappre- senta come elovantisi su quella superficie. Il vecchio concetto oceanico che informa i poemi di Omero, e secondo il quale la Terra era un vasto disco circondato dal gran fiume Oceano vigeva ancora ai tempi di Erodoto, il quale non 28 ISTOBIE DI MONDI nascondeva il suo disprezzo per quei filosofi che volevano che la Terra fosse un corpo sferico. Con- sentaneo alla sua idea il grande storico greco ammetteva che le regioni terrestri, poste ad oriente là ove nasce il Sole, e quelle ad occaso, la ove il Sole muore, fossero, come più vicine, molto più riscaldate dal Sole levante o cadente. Possidonio narra, secondo Strabone, di aver udito dire che in Ispagna si sentiva realmente una specie di stridore, cagionato dalle fiamme del Sole che si tuffavano e si spegnevano nel mare, come riferirono anche Giovenale ed Ausonio. A vero dire molte delle ipotesi formulate dai seguaci delle scuole ioniche ed eleatiche, e più tardi anche dai dotti stoici ed epicurei sono molto più assurde di quella fondata sopra un’il- lusione, ma naturale e semplice, sostenuta da Erodoto. Alcuni volevano che la Terra fosse fog- giata a lente; Anassimene la assomigliò ad una mensa, Leucippo ad un timpano, Democrito a un disco, Crate a un somicircolo, Possidonio a una fionda, altri a una piramide; altri l’hanno creduta quadrangolare; altri concava; altri piatta; altri cubica. Persino l’acuto Anassagora profes- sava l’opinione di Erodoto. Questa era cosi co- mune, che quando Pitoa, che aveva tanto viag- giato, racconta nel suo libro Sull’Oceano, che andò perduto, i fenomeni che avea osservato e che non altrimenti si lasciavano spiegare che colla dottrina della sfericità della Terra, i più misero in dubbio i fatti affermati. Da taluni si crede che Talete insegnasse la dottrina della Ij\ fobma e la grandezza della terra 29 sfericità della Terra, ma ciò non è ben certo e pare che potesse anche senza di essa pronunziare la sua celebre predizione d’eclisse. Fu opinione popolare degli antichi che la Terra presentasse una superficie concava ; ma pur questa durò poco, sebbene rammentata da Orazio, Lu- cano, Silio Italico e Claudiano; il quale ultimo dice di un luogo che par che supponga situato nella zojiu torrida, quindi agli orli della Terra, che quivi si sentono le sferzate che il Solo dà ai suoi cavalli, quando il suo cocchio comparisce la mattina sul limitare del mondo. Il dotto Ru- bino Abraham ben Chija dimostrò nel medio evo che la Terra non poteva essere concava con con- siderazioni somplici e giuste. Professavano indubbiamente la dottrina della sfericità della Terra Pitagora e Parmenide, scuoiare questi di Xenofane e dal quale pro- viene anzi la divisione della Terra in zone, che anche oggi s'insegna nella geografia. La scuola Pitagorica segui naturalmente lo idee del maestro. Aristotele ed Archimede collocarono l’asserto della sfericità della Terra fra lo verità scienti- ficamente ben assodate, e solo nel medio evo essa fu per poco abbandonata. La decadenza del sapere in sul principio del- l’otà di mezzo esercitò anche sull’argomento che ci occupa la più perniciosa influenza. Padri della Chiesa come Ephraim, Diodoro, Teodoro da Mop- suestia, Acacio da Cesarea, Grisostomo, Save- riano, pensavano il cielo essere come un gran tetto emisferico coprente il suolo, e coll’autorità 30 ISTORIE DI MONDI di squarci biblici sostenevano il mondo essere foggiato a padiglione, a casa, a camera. Il famoso Lattanzio cade in un analogo errore, per il che Copernico non esita a dichiararlo uno scrittore fanciullesco ed un matematico molto debole. Un anonimo geografo di Ravenna divise la Terra in due regioni, in luce l’una, l'altra nelle tenebre, fra loro separate da alte montagne. Cosma, mo- naco detto pei suoi viaggi nell’India Indopleuste, fabbricò su tutte quelle fantasticherie un sistema cosmologico. Montfaucon nella sua raccolta di opere patristiche cercò di rappresentare col di- segno Tipotesi del geografo di Ravenna; di quei disegni però, secondo il Giinther, è autentico solo quello pubblicato da G. Marinelli nel dottissimo suo scritto : La Geografia ed i Padri della Chiesa. Ancora nel secolo VID certo Virgilio prete, soffrì l’inimicizia di S. Bonifacio vescovo di Ma- gonza e di Papa Zaccaria da esso influenzato, per aver osato sostenere l’iniqua hwresis che vi fossero antipodi, il che, a quanto afferma Keplero, gli valse la perdita del suo vescovado (1). Si attennero per contro a più esatti concetti Origene, Clemente Alessandrino, Gregorio da Nyssa , Basilio ; Sant’ Ambrogio nulla trovò di (1) Vogliono alcuni che questo Virgilio Prete fosse vescovo di Salzburg: ma Leopardi ( Saggio sugli errori popolari degli antichi), appoggiandosi all’autorità di Pagi e Le Coirnte, sostiene che questo Virgilio prete non va confuso con un santo vescovo di Salisbury {sic) dello stesso nome. Ma da Salisbury a Salzburg, ci corre. LA FORMA K LA GRANDEZZA DELLA TERRA 31 riprovevole nel riconoscere la verità; Sant’ Ago- stino si mantenne in una prudente riserva. Pro- fessavano la dottrina della rotondità della Terra uomini come Giovanni Scoto Erigena ed il ve- nerabile Beda, dal quale ultimo provengono le esatte dottrine seguite da Alenino e da Adamo da Brema, che assicurarono ognor più la defi- nitiva vittoria della fondamentale verità geogra- fica. Che essa poi fosse generalmente accettata nel XII secolo lo provano i seguenti versi in vecchio francese : Si que anelili egaument alassent 11 comendrait qu'il s’encontrnssent Desnus le leu dont il se murent. In questi il poeta Omons espone quel che egli riteneva avverrebbe, se due uomini partendo da un dato punto, si muovessero con uguale velocità in direzioni opposto, cioè che essi s’incontrereb- bero in un punto della Terra diametralmente opposto a quello di partenza. Da misure istituite dagli Arabi, sulle quali dovremo tornare più avanti, appare che essi am- mettevano la rotondità della Terra. Di questa, il loro grande Abulfeda vedeva una dello più naturali conseguenze quando insegnava che in un viaggio intorno alla Terra si sarebbe perduto o guadagnato un giorno a seconda della dire- zione in cui si compisse il viaggio. I lavori di Steinschneider e Peschel hanno mostrato che però 32 ISTORIE DI MONDI anche presso gli Arabi, quel gran popolo pen- satore e guerriero, non poca opposizione incontro noi suo cammino il gran vero del quale stiamo rapidamente scorrendo l’istoria. Strano a dirsi, in Persia, sul principio del se- colo decimonono, persone occupanti alte cariche non prestavano ancor fede alla rotondità . della. Terra. Un certo Mirza infatti, che nei primi anni del secolo passato venne in Inghilterra, in qualità di segretario di un’ambasciata dello Schah, narra come il personale dell’ambasciata medesima ri- manesse grandemente meravigliato udendo dai marinai della nave che li portava, che la r J erra è rotonda. I Chinesi credono ancora oggi che la terra sia un gran disco piatto circondato dall Oceano, abitato nei suoi estremi confini da razze favolose d’uomini, corrispondenti ai Cimmerii ed ai Pigmei dei Greci: ma anche colà s'incomincia dai dotti ad accogliere la rotondità della Terra. Nel Giappone la vera forma della Terra era riconosciuta fin da più di due secoli fa. Ilerren ; narra che un fabbricante di globi geografici in quella estrema regione orientale, fondo nel 1 5 ~ Per costruire il metro internazionale e gli ltri campioni che dovranno essere distribuiti "ile varie nazioni, si adopererà una lega com- osta di 90 parti di platino o 10 di iridio. Questo prototipo del metro è un’asta lunga 102 centi- metri fusa in un sol pezzo, ed avente una sezione retta in forma di due V di grossezza uniforme e di grande aportura giacenti orizzontalmente, e riuniti pei loro vertici alquanto allargati da una stretta striscia metallica del medesimo spessore, e sulla faccia superiore di questa così detta striscia stanno le estremità del metro, che sono definite da due tratti trasversali, ciascuno dei (piali si trova in mezzo a due altri che distano Ja esso di mezzo millimetro: i tre tratti sono attraversati da altri tratti longitudinali distanti fra loro di un decimo di millimetro, e che de- terminano l’asso del regolo. La forma del prototipo del metro è stata dal signor De Parville assomigliata a quella di certe panche metalliche da giardino, e dal Professore Costantino Pittei a quelle sedie antiche dette alla Savonarola ed ora tornate di moda. Questo campione del metro, costrutto con ogni cura o diligenza, e paragonato con quello degli archivi, fu detto metro internazionale e viene indicato col simbolo IH. Ad esso furono para- gonati gli altri campioni che furono distribuiti alle varie nazioni: questi sono detti metri nazio- nali. All’Italia furono assegnati quelli che por- tavano i numeri 1 e 9, essi vennero portati in Italia dal senatore Brioschi che rappresentava 56 ISTORIE DI MONDI l'Italia alla conferenza per il metro tenuta in Parigi il 24 settembre. Quei campioni del metro, assieme a quelli del chilogramma sono conser- vati in Roma, in apposito locale del laboratorio metrico centrale, dipendente dal Ministero d’Àgri- coltura, Industria e Commercio. Il metro campione, o metro internazionale, fu assieme a quello del chilogramma depositato in un armadio in ferro che in un sotterraneo del- l’Istituto di Breteuil serve a custodire i cam- pioni internazionali, il 28 settembre 1889, da ima commissione di cinque mombri del Comitato internazionale di pesi e misure. Quell’armadio si apre solo in circostanze rarissime, in presenza di commissarii speciali. In caso di guerra l’edi- lìzio di Breteuil ove è il laboratorio e l’ufficio internazionale di pesi e misure sarà neutro ed inviolabile. L’ufficio internazionale di pesi e misure a Breteuil è l’istituto del mondo meglio fornito di apparecchi per le misuro di precisione, tutti i lavori che ne escono sono modelli di sagacia, del più minuto scrupolo scientifico e di profonda dottrina. Il primo direttore di esso fu l’italiano Gilberto Govi; il senatore Blaserna rappresenta oggi l’Italia nell’ufficio internazio- nale di pesi e misure. VII. Finora non abbiamo parlato che di misure di archi di meridiano, ossia di gradi di latitudine: dobbiamo ora far cenno di quelle di archi di pa- rallelo, ossia di gradi di longitudine. 57 LA FORMA E LA GRANDEZZA DELLA TERRA So la Terra ha forma di superficie di rivolu- zione, i paralleli sono, al pari dell’equatore, cerchi ; se la superficie non è di rivoluzione, i paralleli saranno curve la cui natura dipenderà da quella della superficie stessa. Già Lacaille, dopo la sua misura d’arco di me- ridiano al Capo di Buona Speranza nel 1750 aveva emesso dubbi sulla forma di rivoluzione della Terra: ed a quanto dice Gerlach, D’ Alem- bert pure si era pronunziato al pari di Pasquich in questo senso, dichiarando come ritenesse le misure di latitudine insufficienti a faro intiera la luce sulla figura della Terra. Dopo la già accennata misura di Cassini in Francia, la prima misura d’arco di parallelo che incontriamo, è quella che nel 1812 s’iniziò per accordi fra i Governi d’Austria, Francia e Pie- monte; che istituita dapprima a scopo di costru- zione di carte geografiche fu, per consiglio anche di Laplace, destinata a servire altresì alla de- terminazione della figura della Terra, e fu chia- mata “ misura di un arco di parallelo medio „, perchè eseguita sul parallelo di 45° e qualche minuto. La stazione più occidentale di questo arco era il segnale Ferlanderie presso Saintes in Francia, collegato con Marennes, la più orien- tale la torre di Santa Giustina in Padova; si avevano segnali sul Moncenisio e sugli Osserva- tori di Torino e di Milano. L’ampiezza in lon- gitudine dell’arco misurato tra Marennes e Padova fu di 0 h 51 ul 56 9 428 in tempo, pari a 12° 59' 3”, 72 in arco. 58 ISTORIE I>I MONDI Gli azimut misurati in queste stazioni mostra- vano non piccole differenze con quelli dedotti colla triangolazione, partendo da Parigi ; ma questa differenza fu insolitamente notevole sul Moncenisio, ove l’azimut osservato risultò più piccolo di quello calcolato di 49", 55. Questa dif- ferenza si attribuì alla deviazione della verticale o ad una irregolarità della figura della 1 erra in quella regione. Questa opinione si convalidò quando si riconobbe che l’ampiezza dell arco com- preso fra gli Osservatori di Torino e di Milano, che geodeticamente si trovò di 1° 30' 14", diffe- riva da quella astronomica di 31 ',29. Nel 1885 il dott. Michele Rajna ed il professore Fran- cesco Porro determinarono la differenza di longi- tudine fra Torino e Milano che risultò di 1°29'41", dando cosi un divario coll’ampiezza geodetica di 33". A questo proposito cosi scrive il senatore Scliiaparelli : “ La differenza di 33" rappresenta l’effetto complessivo delle attrazioni che il filo a piombo soffre a Milano e a Torino nel senso Est-Ovest; effetto che forse in questo caso non è tutto dovuto all’attrazione delle montagne, ma potrebbe in parte essere attribuito a distribu- zioni molto anormali della densità sotterrane# nei terreni della Valle Padana, delle quali avrò a dire in seguito „ (1). I gradi di longitudine trovati con questa grande operazione non risul- tarono fra loro uguali ; fra il massimo di 77984“ 95 (1) Schiapahelli : Sulle anomalie della gravita ( Rivista Geografica Italiana, maggio-giugno 1896). r,A FORMA E LA GRANDEZZA DELLA TERRA 59 e d il minimo di 77792 m ,00 si ha una differenza di 192"', 95- Questa, sebbene accenni ad una fi- gura della Terra non esattamente di rivoluzione, pare a Baeyer così grossa, da non potersi sen- z’altro ritenere come corrispondente ad un fatto vero, almeno intieramente. Le differenze di longitudine, non si misuravano allora come oggi, col telegrafo e col cronografo, ina con segnali a polvere, metodo soggetto a non poche e serie incertezze. Nel 1816 il generale v. Muffling propose in Germania una grande misura d’arco di parallelo: le vicende della sua carriera lo distolsero da essa e la cosa fu abbandonata, non senza che venisse istituita la misura della differenza di longitudine fra Seeberg e Punkirchen. In Inghilterra nel 1856 è misurato sotto la direzione di Airy l’arco di parallelo compreso fra i meridiani passanti per l’Osservatorio di Greenwick e Valencia, sulla costa occidentale dell’Irlanda. Ma in questo genere il lavoro più colossale eseguito è la misura dell’arco di parallelo di 52° di latitudine Nord iniziata da W. Struve e da lui istituita attraverso l’impero russo. La misura di Struve diede luogo al primo progetto di una unione degli Stati Europei per il compimento di un grande lavoro geodetico d’insieme. La catena di triangoli che si stende lungo questo arco di parallelo di 52° che abbraccia ben 69 gradi di longitudine, va da Valencia in Irlanda ad Orsk sui confini dell’Asia. Il signor Vanukoff calcolando recentemente la lunghezza di diverse 60 ISTORIE DI MONDI parti di questo parallelo, ebbe a trovare cbe non è un cerchio, e che la lunghezza di un suo grado non è la stessa nelle diverse parti d’Europa; anche qui appare la forma non esattamente di rivoluzione della Terra. Per il calcolo completo di questo arco di parallelo il signor Bonsdorff, ha, pochi anni sono, pubblicato alcune formolo molto utili. Ne piace qui ricordare che, nel 1884, il professore Jadanza ha proposto un nuoso me- todo per la misura di un arco di parallelo. Quando saranno ultimati i lavori ed i calcoli ora in corso in Rumenia, si avrà lungo il pa- rallelo medio di 45° una rete di triangoli abbrac- cienti non meno di 39 gradi in longitudine, che potrà servire grandemente in avvenire, special- mente quando, che non pare tanto prossimo, potrà venir confrontata con un’operazione simile eseguita nell’emisfero australe. Altre grandi operazioni geodetiche degli ul- timi cinquantanni sono le seguenti: L’arco anglo-francese lungo ben 28 gradi, da Laghonat (32° N) alle Shetland (60° N). L’arco russo, lungo 25°, dal Danubio (45° N) all’Oceano Glaciale (70° N). L’arco indiano, lungo 24°, tra le latitudini settentrionali 8° e 82°. L’arco americano dell’Atlantico, fra le latitu- dini settentrionali 32° e 45° circa. L’arco americano del Pacifico, fra lo latitu- dini settentrionali 30° e 40° circa. L’arco americano di parallelo fra i due oceani a 38 di latitudine nord. L A FORMA E LA GRANDEZZA DELLA TERRA 61 L'arco indiano che traversa l’Hindoustan alla latitudine di 24°. Noli 'emisfero Sud non vi è che un arco di 7 di latitudine nella colonia del Capo. La nuova misura dell’arco del Perù, colma quindi una grande lacuna, da tanto tempo la- mentata nella Geodesia, e renderà possibile un più completo studio della figura della terra. In Italia sono d’assai progrediti i lavori per la carta del paese: è terminata la triangolazione di primo ordine: por essa si eseguirono due grandiose operazioni per congiungimenti con Lissa attraverso l’Adriatico e con Malta attraverso il Mediterraneo. Una spedizione svedese- russa ha misurato un arco di circa 5» allo Spitzberg; i lavori sono ultimati. Verso il 1861 il generale prussiano Baoyer dimostri) in un opuscolo, che rimarrà celebre nella storia della geodesia, l’utilità o meglio la neces- sità di un accordo fra i varii Stati del mondo per lo studio di tutte le questioni relative alla grandezza e forma della Terra. La sua autore- vole voce non suonò invano, e dal terreno pre- parato nacque l ' Associazione per la misura del grado in Europa, che ora chiamasi Associazione geodetica internazionale, della quale Baeyer fu fino alla sua morte (1885) una delle più salde colonne. Mercè il progresso della fisica od il conseguente perfezionamento degli strumenti e dei meccanismi, teodoliti, microscopi, elioscopi, apparati per la 62 ISTORIE DI MONDI misura delle basi, cronometri, cronografi, mareo- grafi, telegrafi elettrici e l’invenzione, per opera di Legendre e di Gauss, del metodo dei minimi quadrati pel computo e la compensazione delle os- servazioni, le operazioni geodetiche hanno oggidì raggiunto un notevolissimo grado di rigore e di esattezza. Le quistioni più delicato possono ora venire discusse, con speranza di soluzione non soverchiamente lontana. Poiché abbiamo menzionato il metodo dei mi- nimi quadrati, diciamo subito che a mezzo di esso furono ricercate, in base all’ipotesi della lena ellissoidica di rivoluzione, le dimensioni di ossa che meglio s’accordassoro colle varie misure di archi. Airy, Bessel, Bonsdorff, Bowditch, Brun- now, Clarke per ben cinque volte, Encke, Faye, Fergola, Fisher, James, Laplace, Listing, Paucker, Pratt, Puissant, Schmidt, Schubert, calcolarono a quel modo i semi-assi e lo schiacciamento del- l'ellissoide terrestre. I I lavori teorici di Jacobi, avendo nel 1834 fatto conoscere che fra le forme che pub pren- dere una massa fluida omogenea, ruotante con una velocità compresa fra corti limiti, vi è pur quella di un’ellissoide a tre assi disuguali ; Schu- bert, nella supposizione che la Terra potesse avere tale figura, ne calcolò, dalle misure esi- stenti, le dimensioni. L’ipotesi di Jacobi di una Terra, non di rivoluzione nel suo insieme, fu ben tòsto abbandonata, quale troppo poco con- cordante coi fatti constatati, anche da Ritter e Clarke che pur l’avevano adottata. LA FORMA E LA GRANDEZZA DELLA TERRA 63 I risultati dei calcoli dei sopra nominati geo- deti non sono naturalmente identici, e ciò per essere stati istituiti su dati ognora più numerosi e precisi: quelli ora generalmente usati furono dati da Bessol nel 1841 e da Clarke nel 1880. Nel 1891 • l’americano Harkness pubblicò un grande lavoro sulle costanti astronomiche, nel quale dà pure le dimensioni dell’ellissoide ter- restre. Vili. Giunti ora ai lavori dei moderni, ne occorre dichiarare qual cosa essi intendano per figura matematica della Terra. Già dicemmo corno sia necessario il trascurare le irregolarità sue esterne per poter assurgere al concetto geometrico di una superficie rappresentabile con simboli ma- tematici. Bessol, valendosi di taluni concetti di Clairaut e di Gauss, formulò quella definizione ; prima di riportarla qui occorrono alcuno premesse. Non trovando, per la natura delle cose, modo di valersi della geometria per rappresentare ma- tematicamente la figura della Terra, si ricorse alla meccanica dei fluidi, a ciò indotti dall’essere la Terra in gran parte coperta da liquido e dalle idee cosmogoniche che assegnano ad essa una condizione originalmente fluida. Dalla meccanica si prese ad imprestito la definizione della super- ficie di livello di un liquido, e la si applicò al mare, che per occupare tanta parte dello strato ISTORIE DI MONDI , . , 8 i assunse come atto esterno del gjo o c j rcost anze il tutto, a rappresentare superficie di livello r id rrr*r — - sultante è m ogni p attrazioni “ «r r;r:il"=; ^ dello patti di 1 -rifusa proveniente dal « «I* Telia trarne a! proprio m ° t0 ti'ìSno doli-atmosfera, statica c dina- asse; poi 1 a Z101 c„lln massa d acqua ma- mica 'Pressione ventO- ■ tcrmic0 . rina agisce poi . a; e correnti e gloriando variazioni da ; in vario modo 1. altre correnti. T : mAn H del suo fondo e stabilita del >™ re ^ r "° motii le eruzioni dei vai- 48ll f “Imfrtoi i depositi organici e minerali cani sottomano, F . p ro ducono, *• f "i r P rdSu altri trascu- per taceie dii dell’uomo, rabili, che avvengono i yar j 0 mo do muta- Tutte queste forze son » ^ lorQ azion6 i a bili nel tempo, l maM varier à col tempo, superficie esterna forma determinata e e non P otra q j moto co „tinuo del mare è stabile. Lo stato 8Ìccome si è di una preva palpabile ^ cbe 8Ì ha d’uopo LA FORMA E LA GRANDEZZA DELLA TERRA 65 molto piccole rispetto alle altre, e tenere conto solo delle preponderanti, per poi studiare colla teoria o coll’osservazione le perturbazioni elio in quella producono le forze da prima messe in disparte. Si suppose nulla l’azione di tutti i corpi ce- lesti ; così si trascurarono le maree non solo, ma anche quelle deformazioni che le masse da esse spostate producono, alterando nel muoversi le vicendevoli attrazioni delle parti dolla massa terrestre; si lasciarono poi anche da banda le azioni dell’atmosfera e quella termica del Sole. Con ciò le forze operanti sulle particelle della massa terrestre vengono ridotte a due; la mutua attrazione delle suo parti e la così detta forza centrifuga generata dal moto di rotazione ter- restre. La risultante di queste due forze è quella che dove chiamarsi la gravità teorica, di essa l'espe- rienza non potrà mai fornirci alcun valore. Essa per contro ci darà i valori di quella che com- patibilmente coll’esattezza dei nostri istrumenti devo chiamarsi gravità reale, e che si verifica in natura, o che per essere essenzialmente misurata col pendolo può chiamarsi anche pendolare. Questa dipende da tutte le forze operanti sulla Terra, ed è quindi con esso variabile nel tempo d’intensità e direzione: però questo variazioni nel tempo sono piccolissime, e non determinabili, almeno per l’intensità, oggigiorno coll’esperienza. Circa le variazioni della direzione della gra- vità se ne hanno prove nelle constatate oscilla- Zahotti ili ai* co, Jtiorte di inondi 5 66 ISTORIE DI MONDI zioni di livelli a bolla d’aria posti in condizioni opportune. Su questo argomento non vanno pas- sate sotto silenzio le ricerche col pendolo oriz- zontale di Hengler e di von Rebeur-Paschwitz e quelle di Pfaff con una specie di bilancia a molle; j cosi si debbono menzionare gli apparecchi im- maginati e gli esperimenti istituiti per lo studio delle variazioni della gravità da Porrot, Zollner, ' Gruithuisen, Mascart , . Bohnenberger , <«. II. | Le variazioni delle latitudini di alcuni luoghi, | da molto tempo sospettate, possono servire a determinare le variazioni dolla direzione della gravità col tempo; per esse rimandiamo al nostro scritto stampato nel volume della Rivista di Topo- j grafia o Catasto e riprodotto nel presente voi urna* Tenendo presente quanto precede, si avverta clic di quantità minimo differisce in direzione ed j intensità la gravità teorica dalla reale, e che H pratica si ritengono come coincidenti, Diserbando a più minute ricerche lo studio del loro divario. , Per un dato istante e luogo la gravità reale j ha por direzione il filo a piombo (sottratto a qualsiasi movimento) o quella dei gravi cadenti! nel vuoto e per tempo brevissimo. Si immagini ora che attraverso ai continenti esista una fitta rete di canali strettissimi comu- nicanti fra loro e col mare, la superficie liberal dell'acqua forma nel mare ed in questi canali e quella che si chiama figura matematica (da taluni figura o forma fisica) della Terra, dicendosi forma vera quella che la natura ci presenta. Questa 67 LA FORMA K LA GRANDEZZA DELLA TERRA definizione fu, seguendo alcune idee di Gauss, data per la prima volta da Bessel nel 1838. Listing nel 1872 denominò geoide la figura ma- tematica della Terra così definita. So la Terra fosse omogenea od interamente fluida, la sua figura matematica sarebbe, secondo quanto insegnò Newton, un’ellissoide di rivolu- zione schiacciata ai poli. La Terra invece è ete- rogenea, in parte liquida all’esterno; nulla di certo sappiamo circa il suo interno; in queste condizioni la sua figura matematica non è un ellissoide. Si sa però, che questa figura matema- tica o geoide, di non troppo si scosta da un’el- lissoide schiacciata ai poli. Como si vode facilmente, il geoide non è elio min dolio superficie di limilo della gravità teorica. Di queste, quello che passano per punti situati così da essere accessibili all'uomo, si dicono su- perficie geoidiche; Bruito , Helmert, Pratt ne hanno studiate lo principali proprietà. Questo boiio le seguenti: Nelle vicinanze della superficie naturale terrestre, le superficie di livello della gra- vità teorica sono chiuse, continue (completamente libere da spigoli e cuspidi), abbracciantisi l'una l'altra a guisa di gusci, e nella loro forma poco differenti da un'ellissoide schiacciata ai poli. La distanza di due superficie di livello non è costante, ma camminando sopra una di esse, varia in ra- gione inversa della gravità. La possibilità di tracciare i canali dei quali si è parlato nella definizione del geoide è una conseguenza immediata di queste proprietà. 68 ISTORIE DI MORDI Segue anche che due superficie geoidiche con- secutive e vicinissime non si tagliano e non sono parallele. I La definizione stessa del geoide, affermando che questa superficie è una pura astrazione, ne avverte che noi non potremo mai giungere col- l’osservazione diretta alla sua determinazione effettiva. Pur tuttavia occorrendo averne qualche idea si pensò di raggiungere tale scopo per mezzo di approssimazioni. ^ J Avendo valide ragioni teoriche (Newton, Clai- raut, Huygens, Laplace) per ritenere che sotto certe ipotesi, non incompatibili, nè di soverchio discoste dalle reali condizioni, il geoide, come si disse, di poco si scosta da un’ellissoide, por co- minciare, si adottò questa come figura matema- tica della Terra. L’alta geodesia insegna come a mezzo di mi- sure d’archi di meridiano e di parallelo si otten- gano le dimensioni di quella ellissoide. Nel 1738 Clairaut dimostrò il seguente capitale teorema. Lo schiacciamento terrestre, più 1 accresci- mento della gravità dall'equatore al polo, diviso per la gravità deU’equatore, è uguale a 2 dell quoziente che si ottiene dividendo la forza cen- trifuga all’equatore per la gravità all’equatore (1). (1) Ottavio Zanotti Bianco: Dimostrazione elementare del Teorema di Clairaut. - Rivista di Topografia e ca - , tasto, Voi. XIII, 1901. LA FORMA E LA grandezza della terra 69 Le misure pendolari della gravità introdotte nella formola che simbolizza il precedente enun- ciato ci permettono di avere Io schiacciamento; e quindi la sola forma, non la grandezza, dell’el- lissoide terrestre. In Italia vennero istituite molte misure di gravità, relativa, a mezzo dell’appa- recchio Sterneck. Di Roma ed a Padova, Pucci e Pisati, o poi Reina e Lorenzoni eseguirono misure assolute. S’occupano di questo misure gli Ingegneri dell’Istituto Geografico militare; il pro- fessore Riccò, il prof. Venturi, in Sicilia; il doti. A imonetti nell’Italia Settentrionale. Certi fenomeni astronomici (moto della luna o la precessione degli equinozii) ci permettono • li avere altri valori dello schiacciamento. I va- lori dello schiacciamento ottonuti coi diversi me- todi differiscono fra loro d’ alcun poco, ma non è qui luogo a discutere di ciò. In fine di questo scritto daremo una tavola dell costanti dell’ellissoide terrestre. In ogni punto della Terra la normale all’el- lissoide è diversa dalla normale al geoide, la quale a sua volta, come fu avvertito, non coin- cide colla direziono della gravità reale. In un determinato punto terrestre si hanno quindi la normali o verticale ellissoidica o geodetica (quella che entra in tutto le considorazioni di geodesia teoretica), la normale geoidica e la normale o ver- tirale fìsica od astronomica. Da computi teorici si ricava il diritto di con- chiudere che la verticale geoidica differisce di quantità piccolissime da quella fìsica, e quindi 70 ISTORIE DI MONDI per una prima e vicinissima approssimazione, si possono riguardare come coincidenti; salvo a ri- cercarne poi la reciproca posizione, come già si disse per le direzioni della gravità teorica e reale, che altro non sono se non la verticale geoidica e la fisica. Ora la verticale fìsica vien detta anche astro- nomica, perchè è quella che serve a determinare astronomicamente la latitudine e la longitudine del luogo d’osservazione e viceversa; quando di un luogo son date la latitudine e la longitudine, è data la posizione della verticale fisica di esso. La verticale tìsica in astronomia e geodesia è data, quasi diremo materialmente ma indiret- tamente, dai livelli e dagli orizzonti artificiali. Dalla geodesia s’impara poi a calcolare le coordinate geografiche stesse, latitudine e longi- tudine, ossia la posizione della verticale ellissoi- dica o geodetica per un determinato luogo, par- tendo da un altro individuato in posizione quando siano misurati certi elementi di collegamento fra essi (linea geodetica ed azimut), ed ove si sup- pongano i due luoghi situati, o ridotti con cor- rezioni ad esserlo sull’ellissoide scelta come prima approssimata rappresentazione della figura ma- tematica terrestre. Quella superficie ellissoidica sulla quale si suppongono situati o ridotti i punti della Terra, dicesi ellissoide o sferoide di riferimento. Le dimensioni di essa ora più usate sono quelle di Bessel e Clarke. Circa l’ellissoide di riferimento è d’uopo fare un’avvertenza. Nelle riduzioni di angoli misurati LA forma E la grand ezza della terra <1 grandi altezze, delle basi, nel computo delle triangolazioni geodetiche, e nel computo delle lunghezze d'archi occorre usare le dimensioni del- l'ellissoide di riferimento. Quegli archi a loro volta combinati fra loro col metodo dei minimi quadrati, servono a calcolare di bel nuovo e meglio e più da vicino le dimensioni di una nuova ellissoide di riferimento più esatta e con- formo allo misure utilizzate nel calcolo. Le el- lissoidi di Bessol e di Clarke soddisfano ora molto beno alle esigenze della scienza, e sarebbe inutilissima opera il calcolare, ad ogni misura elio si va compiendo, nuove dimensioni terrestri : almeno finché non siano eseguito (il che oggidì non è che un desiderio) grandi misure geodetiche nell’emisfero meridionale. Lu latitudine o longitudine determinate diret- tamente con osservazioni astronomiche corrispon- denti alla verticale fisica si dicono astronomiche, od anche (nell’ipotesi assai prossima al vero della coincidenza della verticale geoidicu colla fisica ) geoidiche. La latitudine o longitudine dedotte geodetica- mente con un determinato sferoide di riferimento, e corrispondenti alla normale geodetica ad esso relativa, si dicono geodetiche, sferoidiche od ellis- soidiche. Le differenze fra la latitudine e la longitudine astronomiche e quelle geodetiche, si dicono ri- spettivamente deviazione della verticale (o del filo a piombo ) in longitudine e latitudine. Meno pro- priamente quelle differenze vengono talvolta de- 72 ISTORIE DI MONDI nominate attrazioni locali, partendo dal concetto, che quel distacco delle due verticali sia pro- dotto da anomalie locali nella distribuzione della massa. Come si vede da quanto precede, le deviazioni della verticale dipendono e dagli elementi del- l’ellissoide di riferimento e dal partire da un punto determinato geodeticamente ovvero astronomica- mente per calcolare le posizioni degli altri punti. Quelle deviazioni varieranno dunque, sebbene di poco, e coi detti elementi e colla posizione del punto di partenza. Si è perciò che nel dare per un luogo terrestre la deviazione della verticale, si indica sempre il luogo dal quale si mosse per calcolarne geodeticamente la posizione, nonché il modo (astronomico o geodetico), con cui se ne ottenne l’ubicazione, e per ultimo l’ellissoide di riferimento adottato. Un lavoro d’insieme non è finora stato fatto, nè sarà possibile il farlo forse per qualche tempo ancora. Si hanno lavori importanti per talune regioni alpine, e per un buon tratto dell’arco europeo del parallelo di 52 gradi di latitudine Nord. Le deviazioni della verticale provenienti dalle masse sporgenti sul mare (monti, altipiani, colli) e dalla varia ed eterogenea costituzione interna della Terra, servono a farci conoscere le ondu- lazioni del geoide sopra un dato sferoide ed a darci qualche idea sulla conformazione fisica degli strati terrestri più interni. A calcolare i distacchi del geoide da un dato ellissoide serve un teorema scoperto da Pratt LA poema e la grandezza della terra >■> nel 1859» 6 P°i indipendentemente dimostrato da Bruns nel 1878 (1). K tutto rigore le deviazioni della verticale, intese come si disse, sono mutabili nel tempo, giacché, lo avvertimmo più sopra, variabile col tempo è la verticale fisica dalla cui posiziono di- pendono. Le ricerche che si stanno ora istituendo Bullo variazioni della verticale, fatte note dalle variazioni della latitudine, ci diranno un giorno se, come e di quanto mutino col tempo le de- viazioni della verticale rispetto ad una data el- lissoide di riferimento, conformemente a quanto già scrivemmo por lo variazioni dolla direzione della gravità. Riportiamo qui le conclusioni più sicure date da Ilelmert, senza contestazione il primo fra i geodeti viventi, sulla deviazione della verticale. 1. Anche nelle regioni piane d’Europa e di America si constatano frequentemente deviazioni locali dolla verticale. 2. Non solamente nello catene di montagne e lungo lo coste marittime si avvertono devia- zioni sistematiche della verticale, ma anche in pianura si presentano deviazioni regionali della verticale. Una di esse si verifica in Germania fra il 51° ed il 53° parallelo. 3. È notevole che Monaco al Nord delle (1) Vedi Ottavio Zanotti Bianco : Per la storia della teoria delle superficie geoidiche (Alti dell' Accademia delle Sciente di Torino, 1896). 74 ISTORIE DI MONDI Alpi e Nizza e Genova (1) a Sud di esse presen- tano deviazioni della verticale inferiori in valore a quello che si sarebbe potuto prevedere badando alla configurazione esterna della Terra. Queste anomalie, al pari di quelle più sopra indicate accennano ad estese anomalie sotterranee negli strati della crosta terrestre. 4. Dna analoga anomalia sembra indicata dalla circostanza che Pisa e Firenze presentano una deviazione della verticale di senso opposto a quello voluto dall’attrazione degli Appennini (2). 5. L’andamento delle deviazioni della verti- cale in latitudine da Monaco a Nizza sembra giustificare Topinione che l’irregolarità sotter- ranea della massa terrestre debba essere cercata sul continente e non al fondo del mare; tuttavia alla soluzione completa della questione sono in- dispensabili dei calcoli d’attrazione. 6. Estese irregolarità sotterranee sono d’al- tronde indicate dalla deviazione della verticale in longitudine nelle regioni piane del centro e dell’Ovest d’Europa, al pari di quello constatate nei pressi dei grandi laghi americani. Si hanno curiose anomalie, nell’India, ove la (1) Una deviazione della verticale fra Milano e Genova fu particolarmente studiata dall’Ing. Celoria, valorosis- simo astronomo e geodeta. (2) L'autore del presente scritto si è occupato, seguendo Helmert, delle deviazioni della verticale in Italia in un articolo stampato nell ’ Annuario Meteorologico Italiano pel 1890, I,A FORMA B I «A grandezza della tessa 75 regione montuosa dell’ Himalaja non produce per causa ignota l'effetto che si potrebbe credere; in Russia presso Mosca, studiate da Schweizer e Santini, come quelle dell’India lo furono da Airy e l’ratt Un importantissimo studio sulle misure dell'India fu pubblicato uel 1901 dal maggiore S C. Burrad, ove l’attrazione dell’Himalaja è discussa con molta sagacità e dottrina. Dimensioni della Terra. Si ammette che la figura matematica della Terra sia quella di una ellissoide schiacciata ai poli. Questa suporficio si può pensare generata nel modo seguente. Si supponga che una di quello curvo a tutti note col nome di ellisse, tanto adoperato nei giardini, sia disposta colla sua di- mensione maggiore orizzontale, la sua dimensione minore sarà verticale. Si dicono asso maggiore e minore dell'ellisse, le due rette che si tagliano nel centro di essa, o che corrispondono alle sue dimensioni massima e minima. Facciamo ruotare questa ellissoide at- torno al suo asse minore, la superficie generata in quel movimento sarà quella di una ellissoide di rivoluzione perfettamente analoga a quella che si suppone abbia la Terra. Lo schiacciamento è la differenza fra il semi-asse maggiore ed il semi-asse minore, divisa per il semi-asse mag- giore. 76 ISTORIE DI MONDI Dimensioni della Terra secondo Bessel ( 1841 ). Semiasse magg.a=6377397,15m. log. 6,80464 346 Semiasse min. 6 = 6356078,96 „ „ 6,80318928 Schiacc. 2994528 == 0>0033427731 , 7,52410 690 — 10 Eccentric. e=|/^*=0, 08169683 , 8,91220 521-10 Lunghezza del quarto del meridiano 10000855,76 metri ; logaritmo 7,00003716. Raggio di una sfera di eguale volume della Terra R=y 0 > b = 6370283,2 metri. Superficie della Terra in chilometri quadrati 509 950 714 Volume della Terra in chilom. cubici 1 082 841 320 000. Con queste dimensioni la decimillionesima parte del quarto del meridiano sarebbe di metri 1,000085576, cioè sarebbe più lunga del metro internazionale di millimetri 0,086, in cifre tonde — vedi pagina 51. Lunghezza di gradi di latitudine in chilometri. Latitudine 0°, equatore 110,5638, cioè arco di meridiano fra 0° ed 1°. Latitudine 45°, 111,1292, cioè arco di meridiano fra 45" e 46°. Latitudine 86°, 111,6757, cioè arco di meridiano fra 86" e 87». Latitudine 89", 111,6798, cioè arco di meridiano fra 89° ed il polo. 1 Lunghezze di gradi di longitudine ossia di archi di parallelo dell’ampiezza di un grado a varie latitudini. Equatore chilometri 111,3066 Latitudine 45° ... „ 78,8373 Latitudine 86° ... , 7,7903 Latitudine 89° ... „ 1,9491 Polo 0,0000. LA FORMA E LA GRANDEZZA DELLA TERRA 77 Dimensioni della Terra secondo Clarke (1880). Le riportiamo qui àaXVAnnuaire du Bureau des Longtiudes per il 1902. Semiasse magg., ovvero raggio dell’equatore m. 6 378 253. Semiale minore ovvero distanza dei poli dal centro metri 6 856 321. Schiacciamento 29a s Lunghezza del quarto di meridiano metri 10 001 877. Con tale lunghezza la decimili ionesima parte del quarto del meridiano è di metri 1,0001877, cioè sarebbe più lunga del metro internazionale di millimetri 0,1877, vodi pagina 51. \j'Annuaire du Bureau des Longiludes dìi anche dimensioni terrestri calcolate da Faye, ma queste non sono quasi mai usate nei calcoli geodetici. A codesta pregevolissima pubblicazione, si può ricorrere quando occorra aver dati relativi alla gravità od all'attrazione terrestre. Questi dati si trovano anche nelle tavolo trigonometriche di Albrecht, o nel libro delle costanti fisiche di Everett. LI VARIAZIONE DELLE LATITUDINI Omnia incerta rationo et in natnra majeatate abdita (Plinio). I. La latitudine astronomica o geografica di un luogo terrestre è l’angolo che la verticale fisica di esso luogo fa colla sua proiezione sul piano dell’equatore ; ovvero, il che torna lo stesso, la elevazione angolare del polo celeste sul piano dell’orizzonte. Tralasciamo, porche non ci occorrerà di ser- vircene in seguito, le definizioni di latitudine geo- detica, geocentrica e ridotta, concetti purament geometrici tanto utili nella geodesia teoretic Per orizzonte fisico intendesi il piano tangent alla superficie delle acque immobili, nel punto in cui si fa l’osservazione ; punto nel quale la verticale fisica è, nell’ istante dell’osservazione normale a quella superficie. Questa normale alla superficie delle acque immobili, o verticale fisica è, nell’istante dell’osservazione, materialmente I,A VARIAZIONE DELLE LATITUDINI 79 rappresentata dalla direzione del filo a piombo, perfettamente immobile. La superfìcie stessa delle ncque immobili è, con mezzo acconcio alle osser- vazioni, fornita dagli orizzonti artificiali e dai livelli a bolla d'aria degli strumenti astronomici o geodetici che servono a misurare la latitudine, e che indirettamente quindi ne porgono anche l’orizzonte fisico, quale fu definito. Poli celesti sono i punti d’incontro dell’asse terrestre (asse d’istantanea rotazione della Terra) colla sfora celeste. L’asse terrestre passa per il centro di gravità della Terra. I poli celesti per la loro definizione stessa sono infinitamente lon- tani; per essi passano pertanto tutte le rette parallele in un dato istante all'asse terrestre. Da questa definizione si deduce la conseguenza, che i poli celesti non cambiano finché non cambia nollo spazio la direzione dell'asse terrestre. I poli terrestri sono i punti della superficie terrestre nei quali questa è incontrata dall’asso terrestre. Questi poli pertanto si mantengono in- variati finché l’asse terrestre non cambia nel- l’interno della Terra, comunque d’altronde esso possa variare di direzione nello spazio. In altre parolo più esattamente: i poli terrestri non mu- tano finché nessun movimento della Terra at- torno al suo centro di gravità non viene ad al- lontanare dall asse di istantanea rotazione (che si suppone fisso nello spazio in direzione e pas- sante pel centro di gravità della Torra) i punti della sua superficie (poli terrestri) che vi stanno sopra, ed a portarvene dei nuovi. ISTORIE DI MONDI 80 Se per un moto qualunque della Terra, attorno al suo centro di gravità, essa si sposta per ri- spetto all'asse terrestre (supposto fisso in dire- zione nello spazio e passante pel centro di gra- vità), i poli terrestri mutano; mutano le latitudini, giacche l’orizzonte fisico di ogni punto viene spostato, assieme al luogo cui appartiene rispetto t all’asse terrestre e quindi al polo celeste. Mu- tando i poli terrestri e mantenendosi invariato il centro di gravità, l’asse terrestre passa dal- l’uno all’altro degli infiniti diametri terrestri: vale a dire la Terra nell’ accennato suo moto viene a far coincidere coll’asse terrestre (fisso j in direzione nello spazio e passante sempre per il centro di gravità) i suoi diversi diamotri. Si è in questo senso che, a dir vero, poco rigoi osa- mente è invalso l’uso di parlare del moto dell asse d’istantanea rotazione nell’interno della Terra. Il solo mezzo che noi possediamo di misurare la latitudine di un luogo si è quello di misurare in un dato istante l’altezza del polo celeste sul- j l'orizzonte, ovvero, in linguaggio astronomico, \ la declinazione dello zenit, e l’astronomia ce ne insegna i varii metodi. La latitudine non muterà finché non mute- ranno di posizione l’uno rispetto all’altro il polo celeste e l’orizzonte fisico. j Il polo celeste non cambia rispetto all oriz- zonto, supposto fisso: i moti che esso polo pos- siede nello spazio (precessione e nutazione) sono comuni a tutta la Terra, e quindi direttamente non apportano alterazione nelle latitudini. Indi- LA VARIAZIONE PELLE LATITUDINI 81 rettamente però l’aziono lunisolare altera le la- titudini. La teoria dimostra infatti che, data la forma ellissoidica della Terra, o più esattamente l’ine- guaglianza dei momenti principali d inerzia, l>i risultante dell’attrazione reciproca dolla Terra e di un astro (sole, luna, pianeta) non passa pel centro di gravità della Terra. Ciò, oltre al pro- durrà la precessione e la nutazione, gonera anche un movimento della Terra rispetto al proprio asso, e quindi uno spostamento dell’orizzonte rispetto al polo celeste ed un cambiamento nelle latitudini. La parte che nell’espressione di queste mutazioni ha periodo diurno o quasi è così pic- cola da non essere avvertibile coll’osservazione, rimane l'altra che viene a confondersi colle va- riazioni di latitudine prodotte dai movimenti dell’orizzonte rispotto al polo celeste. Si trova d'altronde che il polo descrive in virtù di quelle azioni sulla superficie della Terra un piccolo cerchio, il cui raggio non è sempre rigorosa- mente Io stesso, ma non può sorpassare sessanta centimetri; ciò è insensibile, e non bisogna pre- tendere che le osservazioni mettano in evidenza una quantità cosi piccola; si può dunque lasciarla completamente in disparte. Nei moti di precessione e nutazione la Terra si comporta come un corpo rigido, od almeno assai prossimamente tale. La direzione dell’asse terrestre nello spazio ò data, come si disse, dalla posizione del polo ce- leste, di quel punto cioè della sfora celeste, che Zakotti Busco, Istorie di mondi. 82 ISTORIE DI MONDI nel moto apparente di questa rimane immobile. ] Questo punto giace ora presso la stella polare, I a TJrsce minor is, dalla quale dista attualmente circa 1°15': esso non fu sempre nel suo posto 1 attuale, nè per sempre vi rimarrà. Il polo celeste \ si sposta lentamente rispetto alle stelle fisse,! fatto questo che nei suoi tratti generali era già noto ai tempi d’Ipparco. Questo fenomeno si denomina precessione dogli equinozii, perchè gli j equinozii camminando sopra l’eclittica in senso ! contrario a quello del Sole, gli vanno incontro, e si verificano quindi prima di quello che awer-j rebbe se stessero fermi. Si è in dipendenza di ciò che i segni dello zodiaco, si sono pure spo-j stati dal tempo lontano, in cui furono immagi-i nati, e non corrispondono piti oggidì alle costel- lazioni delle quali portano il nome. Da quei* tempi antichissimi i segni dello zodiaco cammi- nando a ritroso del Sole, sono andati retrogra- dando sull’eclittica, ed oggi si ha la seguente corrispondenza fra i sogni dello zodiaco e lo costellazioni zodiacali. che oggi Acquario Pesci 8 Ariete ;•* Toro § Gemelli o Cancro Leone Vergine §. Libra $ Scorpione Sagittario Capricorno trovano nelle in Capricorno, „ Acquario, „ Pesci, „ Ariete, cì « Toro, ft „ Gemelli, „ Cancro, „ Leone, §’ „ Vergine, „ Libra, „ Scorpione, „ Sagittario. LA VARIAZIONE PELLE LATITUDINI S3 L’equinozio di primavera si trova ora nella cootcllazione dei Pesci; al tempo della forma- zione dei primi cataloghi stellari si trovava nella costellazione dell’Ariete. La precessione degli equinozii produco un mo- vimento della linea che li congiunge; la quale non è altro se non l’intersezione del piano del- l’equatore con quello dell eclittica, con ciò si viene a spostare anche l'equatore o l’asse ter- restre, ad esso perpendicolare. Poiché l’obliquità dell’eclittica non può variare che entro certi limiti, entro gli stessi varierà pure l’angolo che l’asso polaro dell’equatore fa coll’asse polare dell'eclittica. Entro quei limiti pertanto il detto nngolo potrà considerarsi corno costante con un corto valore medio. Questo potrà riguardarsi come l’apertui a del cono circolale che l’asse dell’equatore doscrive attorno all’asse dell’eclit- tica, in virtù del moto di precessione. 11 polo celeste descriverà quindi sulla sfera celeste una curva attorno al polo dell’eclittica, punto della costellazione del Dragone, mantenendosi da esso ad una distanza angolare di circa 23° 1 / 2 . Noi sappiamo ora che quella curva è percorsa in un lungo periodo di 25.000 anni, che vien dotto l’anno platonico. In questo movimento il polo celeste verrà accostandosi od allontanandosi da vario stollo, e così anche da quella che per es- sergli più vicina oggi si chiama stella polare. La nostra odierna stella polare, la maggiore della costellazione dell’Orsa minoro, non meritava tal nome nell’antichità classica, trovandosi circa a 84 ISTORIE DI MONDI 12° di distanza dal polo celeste, il quale ad essa ] si accosterà fino all’anno 2000 del nostro com- puto del tempo, per cominciare dopo ad allon- tanarsene. Fra 12.000 anni potrà servire come stella polare la stella Vega della costellazione della Lira, che nei tempi nostri brilla nelle notti d’estate sulla parte più alta del cielo me- ridionale. In conseguenza di questo movimento del polo divengono, o cessano di essere visibili allo nostre latitudini delle costellazioni che non lo orano oppuro lo erano prima. Cosi fra migliaia d’anni tornerà ad essere fra noi visibile quella Croce del Sud , della quale Dante scrisse : Io mi volsi a man destra, e posi mente All’altro polo, e vidi quattro stelle Non viste mai fuor ch’alia prima gente. ( Purgatorio , Canto I), Sulla visibilità fra noi di questa costellazioi Paolo Balada di Saint-Robert, fortissimo e sottile ingegno, scrisse una dotta memoria. Gli antichi ritenevano questo fenomono della precessione come un vero movimento del firma- mento stellato intorno ai poli dell'eclittica. Co pernico distrusse anche questa illusione, dimi strando come l’asse del mondo cambi di direzione nello spazio; e Newton chiarì colla legge de gravitazione universale la causa di questi cani' biamenti. La precessione è una conseguenza dell attra- zione del più grosso e del più vicino fra i corpi del nostro sistema solare — il sole e la luna LA VARIAZIONE DELLE LATITUDINI 85 __ 8U n a terra, schiacciata ai poli e rigonfia al- i-equatore, in unione alla posizione obliqua del- l’nsse terrestre rispetto all’eclittica. L attrazione esercitata sul rigonfiamento equatoriale, tende continuamente a condurre l’asso ad essere nor- male all'eclittica, e ciò ha per conseguenza quel moto circolare, come può osservarsi, in piccolo, in ogni trottola. Un altro movimento possiede lasse terresti e nello spazio, ed è quello di nutazione, scoperto da Bradley alla metà del secolo decimottavo, e che si compie in un periodo di 19 anni, una rivoluzione dei nodi della luna. In questi due grandi movimenti, la Terra in- tiera è trascinata dal suo asse ideale, ed intorno ai cambiamenti che ossi inducono nello latitudini già discorremmo brevemente. Veniamo ora ad esaminare corno 1 orizzonte tìsico, l'altro degli elementi cho determinano la latitudine, possa spostarsi rispetto al polo ce- leste. II. L’immobilità dell’orizzonte fisico presuppone l’invariabilità del luogo cui appartiene. La geo- logia insogna cho nessun luogo del globo è per- fettamente immobile, ma che per moti lentissimi, dovuti a varie cause geologiche, ogni porzione dolla crosta terrestre va oscillando. Ciò astraendo da quei moti violonti (terremoti, frane, lavine, eruzioni) dei quali l’uomo fa spesso dolorosa esperienza. 86 ISTORIE DI MONDI Questi movimenti della crosta terrestre, non I che gli spostamenti di massa che avvengono sia | alla superficie che nell’interno di essa, producono ■ colla varia combinazione delle attrazioni, dei , cambiamenti nella direzione della normale alla j superficie delle acque immobili (superficie (fi . livello della gravità) e quindi nella posizione ] dell’orizzonte fisico. Le latitudini ne restano! quindi localmente e tenuemente alterate. Av- vertasi che quei movimenti di massa hanno pure \ per effetto di produrre un moto della Terra at- torno al suo contro di gravità. In virtù di esso vengono a cambiare i punti della superficie ter* J rostro che stanno sull’asse terrestre (supposto fisso in direzione nello spazio e trascinante con | sè la terra rigidamente connessa) o poli terra J stri. Gli spostamenti di massa o geofisici influi- scono pertanto in quel doppio modo sulle lati- tudini: il secondo di essi, più generale, è comune*- a tutti i punti della Terra, e le loro latitudini se ne devono tutte in vario modo risentire, j In virtù del moto della Terra prodotto da cause geofisiche, e che va portando sull’asse ter*] restre successivamente punti diversi della super- j ficie, che a lor volta diventano l’uno dopo l’altro i poli terrestri; il polo terrestre descrive sulla Terra un certo cammino, e l’asse terrestre sembra^ descrivere nell’interno della Terra un corto cono,® avente il vertice nel centro di gravità della Terra stessa: in realtà l’asse rimane fisso (salvo : la precessione e nutazione) e la Terra si muove ‘ rispetto ad esso. Così viene a mutare, rispetto ] LA VARIAZIONE PELLE LATITUDINI 87 politolo, la posizione («orizzonte fisico, “ „oi che nelle misure di latitudine miennamo i, nf - lo relativa posizione di quei due dati, “^constatiamo nelle variazioni di latitudine gli ^'orizzonte fisico di un dato luogo, pur sup- posto immobile, può mutare anche per causa diversa da quella considerata pur d.anzi. La su- perficie dello acque immobili che quell orizzon determina, dipende non solo dalla vana distri- buzione della massa terrestre e delle sue par , ma altresì dalla velocità di rotazione della Lena tutta. Ogni variazione in questa si ripercuote in quella modificandola. Ora quella velocita di ro- tazione può venire alterata da un non impossi- bile mozzo resistente interplanetare, dalla con- trazione dovuta al raffreddamento, da urti di masso osterne (stello cadenti, bolidi, code di comete) e finalmente dagli attriti delle maree superficiali ed interne. Non è qui luogo ale- sarne dell’efficacia di ciascuna di questo cause. Ne basti avvertirò come oggidì si ammetta die se la velocità di rotazione della Terra sopra se stessa cambia, ciò avviene in modo estrema- mente lento ed in ragiono oltremodo debole: e riteniamoci autorizzati a trascurare la porzione di spostamento dell’orizzonte fisico a quella causa dovuta, come insignificante a petto delle altre. Vale a dire, per essere esatti, rammentiamoci che anche quel fenomono è efficiente, ma in modo impercettibile, od ora e forse sempre, sfuggente ad una cernita nelle osservazioni. 88 ISTORIE DI MONDI m. Per verificare se le considerazioni teoriche precedenti abbiano loro conferma in natura, per verificare cioè se la latitudine di un luogo varia e come col tempo, è d’uopo paragonare fra di loro determinazioni di essa fatte ad intervalli di tempo abbastanza lunghi. Per constatare poi se tale variazione sia generale, convien poter istituire il detto paragone per molti luoghi della Terra. Per poter ciò fare occorre anzitutto che le latitudini di un medesimo luogo, corrispon- denti alle varie epoche, siano fra loro sotto ogni riguardo paragonabili ; e così esattamente deter- minate che gli errori d’osservazione in esse ognora, inevitabilmente, presenti e quelli delle costanti che entrano nei calcoli, non mascherino la supposta e cercata variazione. La storia dell’astronomia mostra che ciò non si verifica; vale a dire che non sono fra loro paragonabili le latitudini determinate oggi e quelle che lo furono anche solo cinque o sei die- cine d’anni fa. E ciò nè per istrumenti, nè per metodi e valori di costanti adoperate. Quindi non reggono le conclusioni dedotte da tali con- fronti: e tanto meno quando si ponga mente al fatto che profonde elucubrazioni teoriche portano ad ammettere che piccole assai siano le varia- zioni lente (secolari) della latitudine. Per di più essendosi oggidì posto fuori di dubbio che le tA VARIAZIONE DELLE LATITUDINI 89 latitudini subiscono variazioni di periodi assai complicati, per poter paragonare fra loro latitu- dini determinate in uno stesso luogo, caeteris pa- ribus, conviene saperle liberare e dalle variazioni locali, o dall’influenza di quelle variazioni perio- diche. Cosa quest’ultima che, mercè i lavori del- l'amoricano Chandler, si sa fare oggi con una certa approssimazione, tutt’altro, come è naturale, che definitiva. Rigettando pertanto le osservazioni antiche corno non utili allo scopo della determinazione de' la variazione delle latitudini, nel Congresso geodetico che si tenne in Roma dal 15 al 24 ot- tobre 1883, nella seconda seduta, il prof. Ema- nuele Pergola, attualo direttore dell’Osservatorio di Capodimonte in Napoli, faceva la seguente proposta: “ I poli dell’asse di rotazione della Terra pos- sono essi venir riguardati come sensibilmente fissi alla superficie del nostro pianeta, oppure sono soggetti per cause geologiche diverse a dei movimenti piccolissimi apprezzabili tuttavia coi nostri istrumenti più precisi, coi metodi d’osser- vazione esattissimi dell’astronomia moderna ? * Una soluzione di questa questione nei limiti di precisione che al presente comportano le de- terminazioni di latitudine, potrebbe evidente- mente aversi istituendo di cosiffatte determina- zioni, in diversi luoghi scelti convenientemonte allo scopo indicato, purché le osservazioni siano fatte con istrumenti e metodi uniformi ad epoche abbastanza lontane. 90 ISTOBIK DI MONDI “ Quali che siano i risultati di questi studi, essi avranno in ogni caso importanza per i pro- gressi della scienza; sia che conducano a con- chiudere, secondo l’opinione del maggior numero di scienziati, elio i poli dell’asse di rotazione devono essere riguardati come sensibilmente fìssi alla superficie della Terra, sia che dimostrino taluni movimenti debolissimi di questi punti, già sospettati da qualche astronomo in vista dei ri- sultati ottonuti in parecchi Osservatori sui valori delle latitudini. “ Se si potesse discutere nella conferenza ge- nerale dell’ Associazione Geodetica un programma d’osservazioni a farsi allo scopo detto, certamente gli astronomi degli Osservatori meglio situati per questa ricerca, saranno per ciò stesso invi- tati allo studio del problema rammentato Il presidente del Congresso, generale Annibaie Ferrerò, nominò per l’esame di tale proposta una Commissione cosi composta : van Bakhuyzen, Christie, Cutts, Schiaparelli e Villarceau; rela- tore dei lavori della Commissione fu Giovan Vir- ginio Schiaparelli. Dal rapporto dell’insigne uomo togliamo i seguenti particolari sul metodo pro- posto dal prof. Fergola: “ Il progetto del sig. Fergola ha per iscopo di eliminare tutte queste numerose incertezze che s’accompagnano alle latitudini assolute, appli- cando qui lo stesso principio che è stato sì utile nelle osservazioni del pendolo ed in molte altre ricerche, vale a dire riducendo la questione a determinazioni relative, ed alla misura facile ed LA V ABI AZI ONE PELLE LATITUDINI ■[ esatta di piccole differenze. A tal fine il signor Fergola sceglie parecchie coppie di Osservatori situati, a pochi minuti all’ incirca, sul parallelo medesimo, ma molto lontani in longitudine, ad esempio Roma e Chicago, la cui differenza m longitudine è 6* 40, mentre in latitudine non dif- feriscono che di circa solo 4 minuti d’arco. Se ora noi supponiamo due osservatori con degli strumenti identici, occupati a determinare le due latitudini coll’osservazione simultanea (con inter- valli non superiori a qualche ora o qualche giorno) delle stelle medesime, la differenza di queste la- titudini sarà evidentemente indipendente dallo declinazioni delle stelle osservate. E se i duo strumenti sono duo strumenti dei passaggi ben solidi e ben simmetrici, controllati in azimut da mira, impiegati alla maniera di W. Struve, si po- tranno evitare non solo gli orrori di rifrazione e l’effetto delle loro anomalie, ma anche gli errori di divisione dei cerchi, dello viti micrometriche, e di flessione del cannocchiale ed infine anche quelli della flessione dell’asse e le irregolarità dei perni, purché la loro costruzione permetta non solamente di invertire con facilità e sicurezza il cannocchiale, ma anche d'avvicendare la posizione dei cusci- netti stessi. Osservando un sufficiente numero di stelle vicine allo zenit, si potrà determinare la piccola differenza dello due latitudini con molta precisione, che potrà ancora essere note- volmente accresciuta collo scambio degli osser- vatori e degli strumenti, non altrimenti di quello che si fa per le longitudini. Di più se i movi- 92 ISTORIE DI MONDI menti proprii delle stelle impiegate sono cono- sciuti con sufficiente esattezza, si potrà anche impiegare un solo osservatore per le due sta- zioni, facendo osservare successivamente nell’una e nell’altra, purché l’intervallo non ecceda un anno. È certo che con una buona organizzazione del sistema d’osservazione, la differenza delle latitudini potrà ottenersi con una precisione per- fettamente paragonabile a quella che si può ot- tenere nella determinazione della costante dell a- berrazione, con osservaziohi dello stesso genere, vale a dire con un’approssimazione di qualche centesimo di secondo. K una precisione forse dieci volte maggiore di quella di una latitudine asso- luta. Ripetendo queste osservazioni una seconda volta in capo a 30 o 40 anni, si potranno con- statare delle variazioni che richiederebbero per essere riconosciute coi metodi ordinari parecchi secoli (ciò suppone naturalmente che le condi- zioni medie delle località, in quanto esse influen- zano le anomalie della rifrazione, restino le stesse durante tutto l’intervallo). Quando queste varia- zioni della differenza delle latitudini saranno bene constatate per parecchie coppie d’Osservatori, non vi sarà più la menoma difficoltà a dedurne la soluzione del problema proposto sull’ invaria- bilità delle latitudini. “ Tale è in generale il principio delle opera- zioni proposte dal sig. Fergola; i dettagli ulte- riori potranno essere studiati dalle persone che saranno incaricate di tradurre in atto il progetto. Non sarebbe forse necessario di fare queste os- LA VAIUAZIONE DELLE LATITUDINI 93 servazioni esclusivamente negli Osservatori per- manenti ; si potrebbero scegliere altre coppie di stazioni poste a un dipresso sul parallelo mede- simo, od esattamente sul parallelo stesso, se si vuole, e ad intervalli in longitudine di tre a dodici oro „. Qui si hanno ancora alcune indi- cazioni sulla scelta delle coppie di Osservatori. Il Congresso deliberò di far conoscere a tutti gli Osservatori la proposta del sig. Pergola ed il rapporto del quale abbiamo dato un estratto. Solo in maggio 1893 si incominciò a tradurre in atto il progetto del sig. Pergola applicando il metodo di Talcott per le determinazioni di latitudini con due strumenti zenitali identici ap- positamente costrutti da Wanschaff di Boriino. A Napoli osserva solo il sig. Fergola; in America a Ntìw-York il sig. Jacobi ed altri tre osservatori. Napoli e New-York differiscono fra loro in latitudine di 6' 22". In Italia fu istituita una stazione astronomica per lo studio della variazione della latitudine a Carloforte nell’isola di San Pietro (Sardegna) : ne è direttore il prof. Ciscato (1902). Se nulla verrà a perturbare il regolare an- damento delle osservazioni, prima della metà del secolo si potrà sapere se esistono ovvero non variazioni secolari delle latitudini. Rimarrà poi a vedere quale di tali variazioni, se esistenti, sia la legge e quale la causa. 94 ISTORIE 1)1 MONDI IV. Veniamo ora ad occuparci delle variazioni a corto periodo delle latitudini (variazioni annuali); su di esse ne converrà trattenerci alquanto più, perchè più avanzata ne è la conoscenza e molti* lavori si hanno che le riguardano. La rotazione diurna della Terra si compie, come è noto, attorno ad un asse che dicesi di istantanea rotazione o di rotazione diurna. Sup- poniamo dapprima che la Terra sia nel suo in- terno un corpo perfettamente rigido, e che solo la sua crosta, sul cui spessore non occorre fare ipotesi, possa subire mutazioni di forma e natura. Non è d’uopo avvertire che nella crosta è com- presa l'atmosfera. Si ammette però che crosta e nucleo partecipino come un solo complesso al movimento di rotazione: salvo ad introdurre in ulteriori investigazioni le varie ipotesi che si possono fare sulla rigidità della Terra. Si sa che ogni e qualsiasi cambiamento che succede nella massa, vien seguito da un corrispondente cam- biamento nell’asse principale di stabile rotazione . 1 Rammentiamo che in meccanica si chiama asse principale di stabile rotazione, od asse principale d'inerzia quella fra le infinite rette passanti per il centro di gravità del corpo, che dà il momento d’inerzia massimo. 11 punto d’incontro dell’asse di stabile rota- zione colla superficie terrestre dalla parte nord LA VARIAZIONE DELLE LATITUDINI 95 dicosi polo settentrionale d’inerzia , per distinguerlo dal polo settentrionale di rotazione diurna o polo terrestre, quale lo abbiamo definito. Se si ammette, come prima ipotesi, che in un dato istante l’asse di stabile rotazione coincida con quello di rotazione diurna (d’istantanea ro- tazione), quella coincidenza si conserverà finche nessun cambiamento o spostamento avvenga nella massa terrestre. Ogni variazione in detta massa produce un distacco di quei due assi. Avvenuto questo distacco, si presentano due casi circa quanto può avvenire dopo. Si può dapprima considerare il caso teorico, che dopo il distacco cessi ogni lavorìo geofisico, od in altre parole, che la massa terrestre divenga perfettamente rigida. In questa supposizione, l’asso di stabile rotazione rimarrà di poi inva- riato nell’interno del corpo, e fissi alla superficie di questo i poli corrispondenti. Occorre dopo con- siderare il caso della natura, che cioè avvenuto una volta tale distacco (se pur la coincidenza dei due assi si verificò mai, a tutto rigore, per più di un istante), continuino, alla superficie e nell’interno della Terra, i moti che le forze della natura vi producono. Euloro ha per il primo stu- diato il caso teorico, nelle ipotesi che la Terra sia un corpo assolutamente rigido e dell’egua- glianza dei due momenti d’inerzia equatoriali. Legendro in un’opera posteriore a quella di Eu- lero tratta il problema studiato da questi e giunge a risultati concordanti con quelli del grande ma- tematico tedesco. 96 ISTORIE DI MONDI Eulero è giunto, colle accennate ipotosi, a questo risultato essenziale : Il polo terrestre d istantanea rotazione (diurna) deve descrivere attorno al polo d’inerzia un circolo intero sulla superficie terrestre , j nel periodo di circa 10 mesi. La velocità di ro- tazione attorno all’asse d’istantanea rotazione è costante. L’ultimo periodo del teorema equivale a questo: La lunghezza del giorno siderale è co- stante. Questo fatto è la base dell astronomia pratica e della misura del tempo; esso è confer- mato dall’esperienza. Si constatarono in astronomia alcuni fenomeni secondarii, che sembrano non potersi spiegare che con una minutissima alterazione nella durata del giorno siderale. Questa a sua volta ripete sua origine da cause (attrito delle maree, e feno- meni geofisici) delle quali fino a questi ultimi tempi, non si era tenuto alcun conto. Introducendo i valori numerici osservati della precessione lunisolare e della nutazione nelle espressioni analitiche di questi fenomeni (le quali contengono come parametri i rapporti dei mo- menti d’inerzia della Terra ed il rapporto delle masse terrestre e lunare) si deduce il valore di tali rapporti e dal primo di essi colla teoria dol moto rotatorio dei corpi rigidi si ricava il periodo di Eulero di 10 mesi, e da questo il teorema seguente: l’asse di rotazione istantanea (diurna) descrive , in un anno, intorno all’asse di stabile rotazione (di massimo momento d’inerzia) un an- golo apparente di 432°, 8. L’indiscutibile fissità in direzione (salvo la pre- I,A VARIAZIONE DELLE LATITUDINI 97 .•esisione e lft nutazione) nello spazio dell’ asse terrestre d’istantanea rotazione, ed il moto in- vece reale della Terra attorno al proprio centro di gravità rondo ragione della parola apparento. Il teorema potrebbe enunciarsi anche più rigo- rosamente come segue: Il polo terrestre viene in un anno a trovarsi successivamente in punti della superficie terre- stre posti sopra un arco di cerchio, descritto attorno al polo d’inerzia come centro o dell’am- piezza di 432°, 8. La teoria e taluni dati danno fondate ragioni a credere che il raggio sferico di quel cerchio, sia una non grossa frazione di minuto secondo d’arco. Da questo cambiamento periodico circolare di sito del polo terrestre derivano evidentemente le seguenti conseguenze: 1° Una periodica variazione delle latitudini; 2° Una corrispondente oscillazione periodica del livello del mare. Vediamo ora che cosa abbia constatato l’os- servazione circa una variazione periodica delle latitudini. Bessel, con insufficienti elementi, tentò per la prima volta la determinazione numerica del periodo di 304 giorni. Peters trovò per il primo un valore approssimato di quella durata combinando insieme le costanti della precessione e della nutazione. ^el 1820-21 Bessel istituì a Konigsberg delle osservazioni sulla posizione del piano del meri- diano rispetto ad una direzione determinata da mire collocate nei dintorni e nel piano del me- Za* arri Biakco, /storie di mondi 98 ISTORI® DI MONDI ridiano, in un dato istante. Se si suppone che le mire giacenti in un dato istante noi piano meridiano, non subiscano spostamenti locali (il j che per un certo numero d’anni, salvo casi ec- cezionali, si può ritenere avvenga in modo quasi assoluto), se tutta la Terra si muove attorno al suo centro di gravità, e quindi si sposta rispetto al polo celeste, la posizione di quelle mire ri- spetto ad esso muterà, come muta il polo ter- restre. E se il moto accennato della Terra e periodico e tale da produrre il periodo di Eulero, la mira meridiana dovrà apparire ora a destra ora a sinistra della direzione che nell’intervallo rimane sensibilmente fissa, del polo nord celeste, j Bessel, a mezzo di un cerchio meridiano di hei- chembach, cercò di constatare quegli spostamenti; ma, malgrado la grande esattezza delle sue os- servazioni, non ne constatò alcuno: e giunse alla conclusione che l’angolo fra l’asse d’istantanea o quello di stabile rotazione non poteva supe- rare un quarto di secondo d’arco. Poco tempo prima, nel 1818, Bessel aveva pubblicato un la- voro sull’influenza delle variazioni della massa , terrestre sulle latitudini geografiche. In esso egli dimostrò che per produrre uno spostamento del- l’asse di stabile rotazione dell’importo di un se- condo, occorrono movimenti di masse cosi enormi, che per questo riguardo, tutto quanto si poteva operare dagli uomini sulla Terra, rimaneva insi- gnificante affatto. Bessel non considerò i grandi trasporti di matoria prodotti dai fenomeni geo- I fisici, sui quali daremo un cenno più avanti. Da i LA VARIAZIONE PELLE LATITUDINI 99 suoi lavori posteriori si deduce che egli dubitava della possibilità di dimostrare la variazione del- l'asse terrestre secondo il periodo di Eulero. Uno dei suoi ultimi lavori fu una nuova determina- zione delln latitudine di Kiinigsberg, dal 1841 al 1843 eseguita con cura particolare al circolo meridiano di Repsold; ed in esso la latitudine viono riguardata come costante. Il prof. Carlo Brioschi, primo direttore della Specola di Capodimonte in Napoli, nel tempo 1824-26, accenna a possibilità di variazioni della latitudine, ed anzi ammette che essa possa essere e secolare ed a breve periodo. Egli crede poi di poter ritenere la latitudine come invariabile annualmente, o che la variazione a lungo periodo non sia sensibile nel giro di qualche anno e forse nemmeno di qualcho secolo. Verso il 1840 cominciarono all’Osservatorio di Pulkowo presso Pietroburgo, quelle osserva- zioni astronomiche veramente modello col circolo verticale di Ertel, che ancora oggi vi si conti- nuano, e che hanno, fra altri fini, anche quello della ricerca della variazione delle latitudini geo- grafiche, prodotta da movimenti del polo d’istan- tanea rotazione alla superficie del globo terrestre. I nomi dogli astronomi Peters, Gyldèn e Nyrèn sono lodevolmente legati a quegli esattissimi studi. Peters diede un investigazione minuta delle os- servazioni a Pulkowo negli anni 1841 e 1842, che sembra indicare per quell'epoca una deviazione dell'asse d’inerzia dall’asse terrestre di circa 3 / 40 ". 100 ISTORIE DI MONDI Ma egli stesso s’avvide, che malgrado la grande accuratezza delle osservazioni, la sua sene era troppo corta per poter separare quell influenza periodica di dieci mesi, o del periodo Euleriano come suol dirsi, dalle altro influenze periodiche. Nè più concludenti furono per questo rispetto le osservazioni di Gyldèn e Nyrèn, e la discus- sione fatta da Downing di una sene decennale di osservazioni. Clerk Maxwell da osservazioni da lui eseguite a Greenwich negli anni 1851-o4, trovò una piccola traccia di un piccolo angolo fra i due assi, ma differente tuttavia in fase da Ciucilo che la deviazione indicata da 1 etere, se reale e permanente, avrebbe dovuto produrre al tempo in cui osservava Maxwell. Egli pur notando come dalle sue osservazioni risultai* che durante quegli anni nessuna variazione della latitudine aveva potuto aver luogo, che salisse a mezzo secondo d’arco da una parte o dall altra della posizione media dell’asse, avvertiva che questo risultato non era una obbiezione ad una possibile variazione della latitudine del detto valore, ma anzi all’opposto un debole indizio d. ciò che in ciascun anno dei quattro suddetti si era verificato un minimo di latitudine. Lord Kelvin (William Thomson) rammenta osservazioni tat da Newcomb a Washington dal 1862-67 per lo scopo che ci occupa. Nyrèn crede che gli ole- menti del periodo decimensuale sono molto pio i babilmente soggetti ad oscillazioni la cui or.gine non è ben chiarita. Lord Kelvin e Gyldon, pen «fino con molta ragione, che causa di tali oscil LA VARIAZIONE DELLE LATITUDINI 101 lazioni possono essere le variazioni temporarie causato dai procedimenti meteorologici e geolo- gici alla superficie della Terra e dai moti di marea di fluidi nel suo interno. Lord Kelvin, a questo riguardo cosi si esprime: “ Vi è in realtà una vera ragione, nei cambiamenti temporanei del livello del mare, dovuta a cause meteorologiche, principalmente venti, ed al fondersi dol ghiaccio nelle regioni polari, e corrispondente evapora- zione, che sembra bastare ampiamente a render conto di deviazioni comprese fra 1 /* /> ec l '/so", dell'asse terrestre istantaneo da quello di mas- sima inerzia, o come dovrei meglio dire, dell'asse di massima inerzia da quello istantaneo Il periodo decimensunlo od Euleriano fu stu- diato nell'ipotesi della Terra rigida ed in quella che avvenute una volta il distacco dell’asse di stabile rotazione da quello d'istantanea rotazione, la loro posizione relativa rimanga invariata, vale a dire che dall’istante di quel distacco, il la- vorio geologico-meteorico o geofisico- terrestre, dal quale dipende la posizione dell’asse di sta- bile rotazione, sia cessato o divenuto insignifi- cante. Ipotesi questa assolutamente contraria a quanto succede in natura, essendo invece inces- sante il lavorio geofisico e quindi continuo lo spostarsi dell'asse di stabile rotazione nell'interno della Terra. Il polo di stabile rotazione verrà così ad essere situato in punti diversi della su- perficie terrestre ; e nel moto della Terra attorno al suo centro di gravità che deriva da tali cam- biamenti, sull’estremità dell’asse terrestre (polo ISTORIE DI MONDI terrestre), asse che si ammette sempre fisso in direzione nello spazio e passante pel centro di gravità) verranno continuamente a trovarsi altri punti della superficie terrestre. A questo modo il polo terrestre verrà successivamente portato a coincidere con punti che costituiranno una curva assai complicata, che sarà sulla superficie terrestre la traiettoria del polo terrestre ; curva complicata, dicemmo, e ciò in virtù del moto Euleriano, o della non rigidità perfetta della Terra. I matematici e gli astronomi si sono con profonde investigazioni occupati di tale questione, colla quale va strettamente connessa la suppo- sizione che si fa sulla costituzione della Terra, a seconda cioè che si ammette la sua perfetta rigidità, o plasticità totale ovvero parziale. L’indole di quei lavori, in cui si mostra tutta la mirabile forza dell’analisi matematica moderna, non ci permette qui che di menzionarli e ricor- dare che essi sono dovuti a quei matematici ed astronomi insigni che sono Schiaparelli, Darwin, Gildèn, Lord Kelvin. Ne piace qui ricordare che recentemente due esimii professori italiani G. Peano e V. Volterra, si occuparono in varii scritti pregevolissimi delle teorie meccaniche del moto del polo terrestre, sul quale è molto suggestivo un breve e quasi odierno lavoro del signor Picart. V. Esposto cosi rapidamente e sommariamente quanto si sa circa le variazioni secolari (a lungo LA VARIAZIONE DELLE LATITUDINI 103 periodo) della latitudine ed accennati i lavori teorici circa quelle a corto periodo, passiamo ad esaminare se l’osservazione abbia in questi ultimi anni constatato alcunché circa a variazioni a breve periodo, in qualche modo affine al pe- riodo Euleriano. Il primo a mettere in luco resistenza di variazioni a corto periodo dolla latitudine, fu il prof. Nobile astronomo all’Osser- vatorio di Capodimonte in Napoli nel 1885. Nella prefazione al suo lavoro il professore Nobile scrive quanto segue: * Pubblico le presenti ri- cerche (in parte iniziate fortuitamente) le quali accennano ad una variazione annua della latitu- dine intorno ad un medio che alla sua volta po- trebbe pure essere variabile. Tuttavia quest o- puscolo non dove essere considerato che come un invito agli astronomi di esaminare il valore della latitudine in diverse epoche dell’anno, riser- bando qualunque studio d’insieme fino a che il fatto sia incontrastato „. Più oltre leggiamo le considerazioni seguenti, che crediamo vero pregio dell’opera il riportare qui. “ Capitolo I. Preliminari. — 1. Nella memoria da me pubblicata al principio del 1884 io con- chiusi che la latitudine di Capodimonte dal 1820 al 1883 non aveva sensibilmente variato, almeno dentro i limiti di precisione delle osservazioni moderne. Con ciò io non intendeva di entrare nel concetto di un valore variabile della latitudine, ma implicitamente ammettevo di parlare di un numero costante, almeno in intervalli di tempo ISTORIE DI MONDI 104 non lunghissimi. Le ricerche che qui imprendo ad esporre (in parte iniziate fortuitamente) tendono a provare, essere probabile che la latitudine di un punto della Terra sia un elemento variabile nel- l’anno dentro certi limiti e che questi limiti, nello stato attuale dell’astronomia o della geodesia, non comprendano quantità assolutamente tiascu- rabili Il prof. Nobile stesso, il prof. Pergola od il dott. Angelitti si occuparono poi ancora della variazione della latitudine dell Osservatoiio di Capodimonte in Napoli. Nel 1888 il dott. Kiistner, astronomo a Ber- lino, pubblicò sulla variazione della latitudine un importantissimo lavoro. In questo, a conferma degli studi di Nyrèn e De Ball per Pulkovo, trovò che la latitudine di Berlino era nella pri- mavera del 1882 di circa due decimi di secondo più grande che nella medesima stagione del 1880-81. Dalla primavera del 1884 a quella del 1885 la latitudine di Berlino risultò al dot- tore Kiistner diminuita di circa due decimi di secondo. Questi fatti destarono vivo interesse negli astro- nomi e nei geodeti; e la questione fu nel 1888 portata davanti alla Commissione permanente dell’ Associazione Geodetica internazionale radu- nata a Salzburg nell’autunno di quell’anno e d’allora in poi rimase all’ordine del giorno di tutte le adunanze di quella Associazione. Si fu per incarico di essa che il dott. Marcuse fu inviato ad Honolulu a determinarvi la latitu- dine dal maggio 1891 al giugno 1892. A ciò si Là V ABI AZIONE DELLE LATITUDINI 105 fu indotti da dubbi che erano sòrti circa le con- statato variazioni della latitudine, che alcuni vole- vano prodotte da cause meteorologiche o con- seguente alterazione della rifrazione, altri, da variazioni locali nella direzione della verticale, causo che non avrebbero potuto influire che su stazioni relativamente vicine, come quelle appunto nelle quali si erano constatati piccoli mutamenti nel valore della latitudine. Se questi piccoli mu- tamenti, invece, fossero stati cagionati da un moto della Terra che avesse portato sull’asse terrestre un punto della superficie di essa, diverso da quello che visi trovava prima, a Honolulu, distante in longitudine 171° e Vi w di Berlino, il loro andamento doveva essere in senso opposto e pres- soché uguale a quello che con osservazioni con- temporaneo venisse notato a Berlino. Contempo- raneamente si osservava per lo stesso scopo a Praga e Strasburgo. Si giunse col confronto delle osservazioni di Honolulu e Berlino al seguente importantissimo risultato, che cioè: le variazioni della latitudine geografica di Honolulu procedono direttamente opposte alle variazioni di latitudine constatate a Berlino e nelle altre stazioni tedesche. Con ciò veniva posto fuori di dubbio lo sposta- mento del polo sulla superficie terrestre. Dopo d’allora gli studi hanno preso un vigorosis- simo impulso, nuove osservazioni, nuove indagini, discussioni di lunghe serie di osservazioni ven- nero istituite, con risultati ora sì ora no concor- danti. Fra queste va menzionata quella dell’astro- nomo americano Chandler, cui fu conferita la 106 ISTOBIE DI MONDI medaglia Watson dall’Accademia Americana Na- zionale delle Scienze, nonché la medaglia d’oro della Società Reale d’Astronomia inglese nella seduta del 14 febbraio 1896. Traduciamo qui dal giornale Science (1895, voi. II, pag. 477), il rias- sunto dello stato della questione, nella relazione degli astronomi B. A. Gould, A. Hall e S. New- comb, che formavano la Commissione per l’ag- giudicazione della medaglia. Avvertiamo che in questa relazione si menziona il moto dell’asse nell’interno della I erra, come suolsi dai geometri ed astronomi, senza notare che questo moto è apparente, e che in realtà è la Terra, come già avvertimmo parecchie volte, che si muovo attorno al suo centro di gravità, mentre l’asse terrestre rimane fisso in direzione nello spazio sempre passando pel centro di gra- vità della Terra. 1. TI fenomeno della variazione della latitu- dine non è locale, nè regionale, ma concerne tutta la Terra, esso proviene da uno spostamento dell’asse di rotazione rispetto all’ asse principale d’inerzia di ossa, e non da un cambiamento di direzione del primo nello spazio. 2. Sebbene l'asse di rotazione sia fisso in direzione dello spazio, esso descrive una rotazione attorno all’asse d'inerzia in un periodo di 428 giorni. Questo moto è circolare, con un raggio medio di circa 14 piedi (4 m ,27) ed è diretto da West ad Est. 3. Contemporaneamente a questa rotazione la posizione del polo principale d inerzia si muove LA VARIAZIONE DELLE LATITUDINI 107 sulla superfìcie terrestre attorno ad una posizione inedia in periodo di un anno. Questo movimento avviene egualmente da West ad Est, ma lungo un'ellisse che è tre o quattro volte più lunga che larga, l'asso maggiore misurando circa 25 piedi (7“,625) ed il minore 8 piedi (2 m , 44). At- tualmente l’asso maggioro è inclinato al meri- diano di Greenwich di circa 45°. Il movimento è centrale od ubbidisce alla leggo, che i tempi sono proporzionali alle aree descritte dal raggio vettore intorno al centro dell’ellisse. 4. Tanto il raggio come il periodo del moto circolare della rivoluzione di 428 giorni sono simmetricamente variabili ; il raggio fra circa 8 e 18 piedi (2 m ,44 e 5 m ,49), il periodo fra circa 423 e 434 giorni, in una lunga èra di probabil- mente circa 66 anni. In questo moto disuguale la velocità angolare è media, quando la grandezza del circolo è minima, e massima, quando il cir- colo ha la sua dimensione media. 5. In simil guisa esistono simultaneamente variazioni nelle dimensioni apparenti e nella ve- locità del periodo annuo, che sono complemen- tari con quelle della rivoluzione di 428 giorni, ma il materiale d’osservazioni ora disponibile non permette di decidere se esse siano il risultato di reali variazioni nella forma e nelle dimensioni deH'ellisse, o l’effetto di un movimento degli apsidi a lungo periodo. Tutto ciò che si può dire è che le osservazioni durante cinque anni mostrano che la linea degli apsidi o è fìssa, ovvero, se variabile, compie una lentissima rivoluzione. 108 ISTORIE DI MONDI 6. Oltre questi due movimenti di periodi re- lativamente brevi, appare distintamente un terzo moto di rotazione, in un tempo molto piii lungo, probabilmente in circa 12 anni, con un raggio da 12 a 15 piedi (3 m ,66 a 4™, 575), che uguaglia simili indizi di variazioni lente, che sono state scoperte da altri investigatori. T fatti cosi stabiliti sono il risultato della in- vestigazione di un grandissimo numero di os- servazioni, estendentisi su tutto il tempo dal principio dell’astronomia pratica esatta fino ad oggi, ed esauriscono in realtà tutto il materiale che, per l’attuale questione, può ricavarsi dagli annali astronomici. Per questo rapporto vedasi anche il giornale Observatory, luglio 1895. Ai lavori di Chandler il dott. Marcuse ha fatto delle critiche che taluno credette eccessivamente severe, mentre da altri si ritengono confermate da osservazioni posteriori. Il dott. Albreeht, ha di recente pubblicato un lavoro intorno al moto del polo negli anni 1890-95. Esso mostra quanto sia complicato il percorso di esso polo. L avvenire ci insegnerà se vi sia in esso la regolarità trovata da Chandler od un’altra o nessuna. Solo quando ciò sia avvenuto, e sia chiarita la questione della variazione secolare delle lati- tudini, si potrà sceverare le variazioni comuni a tutti i punti della Terra da quelle locali, e ve- dere se sia o non il caso di applicare ad una latitudine determinata in una data epoca, una LA VARIAZIONE DELLE LATITUDINI 109 certa correzione funzione del tempo, per ridurla a quella che sarebbe se il polo rimanesse fisso, pel paragone di osservazioni ad epoche lontano. Rimarrà poi, problema difficilissimo, a determi- nare di dette variazioni e delle loro leggi le cause, il che nell'ignoranza in cui siamo sulla costituzione interna della Terra, e sui mutamenti e deformazioni elio il tempo produco nella Terra stessa e nella sua atmosfera, sarà tutt'altro che cosa facile. Sono pertanto vere più che mai le parole di Delambre: Les deux questiona de la grandeur et de la figure de la Terre, qui excrcent depuis longtemps les astronomes et les géomètres, paraissent de na- ture à n’étre jamais épuisées (1806). Trattando del periodo Euleriano del moto del polo scrivemmo che una delle conseguenze di esso sarebbe una corrispondente oscillazione pe- riodica nel livello del mare. Una marea del pe- riodo di 304 giorni è finora interamente scono- sciuta. Perì) in questi ultimi anni, il signor van de Sande Bakhuyzen, direttore dell’Osservatorio di Leida, volle esaminare dal punto di vista della ricerca di essa le osservazioni del mareografo fatte durante trentotto anni, dal 1854 al 1892, a Ilelder, ed ha trovato un andamento periodico che si accorda assai bene con quello di 431 giorno circa, da lui stesso trovato per la latitudine; arrivando circa quest’ultima ad alcune conclu- sioni, non perfettamente concordanti con quelle di Chandler. Nè ciò deve recar meraviglia, quando si pensi alla complicazione dell’argomento, ed 110 istorie di mondi alla difficoltà od impossibilità quasi di eliminare gli errori sistematici delle osservazioni, spesso istituite con metodi, istrumenti e fini diversi o delle costanti. La ricerca delle variazioni del polo è ora nelle mani dell’Associazione Geodetica internazionale; da questa splendida creazione di Bayer verrà senza dubbio, per quanto la scienza il consente, la soluzione di questa importante e difficile que- stione che tanto interessa l’astronomia, la geo- desia e la geofisica. Chi sia desideroso di più ampia informazione sull’argomento della variazione delle latitudini, troverà estesi appunti bibliografici nello scritto del dott. Michele Rajna intitolato: La riunione della Commissione permanente dell’ Associazione Geo- detica Internazionale in Innsbruck, stampato nol- l’annata I della Rivista Geografica italiana , nonché nello scritto La variazione delle latitudini del- l’autore del presente articolo, apparso nel Cosmos di Guido Cora, Serie D, voi. IX. Per quanto si è fatto in Italia, vedi il pregievolissimo recente scritto del prof. Celoria nella Rivista di I olografia e Catasto, 1902. La Rivista di Topografia e Catasto poi pub- blicò nel voi. V la traduzione di un interessante lavoro del dottore Marcuse, dovuta all’ing. Guar- ducci. I Rendiconti dell’Associazione Geodetica Internazionale ed il periodico Astronotnische A ach- richten, sono le pubblicazioni che danno lo stato corrente della questione, i cui elementi teorici si possono trovare nel classico Trattato di geo- LA VARIAZIONE DELLE LATITUDINI 111 desia del dottore Hehnert e nel voi. II della Mec- canica celeste del sig. Tisserand (1). (1) Il dott. Albreoht di Berlino pubblica ogni anno dei rapporti sulla variazione , 'delle latitudini; ultimamente (1902 III) il prof. Kimura scoprì un periodo annuo. — All'avvenire ed a lunghe serie d’osservazioni è serbata la soluzione di tutte le questioni riguardanti questo importantissimo ed interessante argomento. S rtìm ,m.TTTT..n'-Tin>TTmmt^rWm,mmTT......nT,n>m LE COMETE ... »ppar nitida a liscia ..... l,a gran volta del ciel, la notte è cheta, Lucori le stelle, un'ìgnea cometa Obliquamente il cupo etere striscia. (Abiuro Gius, PUmctut mundi). I. Ad un’ora dopo la mezzanotte del 2 dicembre 1680 una gallina in Roma fece un uovo. Prego i lettori cortesi di non ridere, perchè quell’uovo era un uovo fenomenale, cosi, che sebbene un pochino meno famoso di quello di Colombo, ha pur tuttavia nella storia un posto eminente, tanto che dovendo discorrere delle comete io non posso tacerne. Di quest’uovo adunque si parlava tanto in Roma che ne fu scritto al Nunzio apostolico a Parigi, ove levò tanto rumore che il Journal des savants, posto sotto il patronato dell Acca- demia delle scienze, nel suo numero del 20 gen- naio 1681, non potè fare a meno di pubblicarne un disegno e di dare ai suoi lettori la seguente notizia di esso: La nuit du lundi 2 décembre derider, environ les liuit heures (qui répondent à uue heure apr'es minuit selon LB COMETE 113 n6tr« manifero de compter), une poule qui n’avait jamais encore faitfl d’asufa, aprfes avoir ohanté d’une facon extra- ordinnire ensuito d’un grand brnit, fit un reuf d’une grosseur beaucoup au delà de la nature, marqué non pas dune comfete corame le peuple l'a cru, mais de plusieurs étoiles, ninsi que la figure le représente. Si tout cela est bien vrai, ce ne serait pas le premier prodige de cette nnture qui aurait pani en Italie, pendant les eclipses ou les comfetes, car sana parler dea croix qui paruront en Calabre sur lo linge lora de la comfete de 1669, on i. fait voir autrofoia à M. Cassini dans la ville de Bologne une coque d’ceuf sur laquelle on voyait un soleil en relief parfaitement bien marqué et on l’assura quo cot a«uf avait été pondu dans le temps d’une eclipse. Dopo ciò io raccomando agli ostetrici che ve- dono tanto addentro a così segrete cose, a non persistere, contro l’evidenza, nel negare l’ in- fluenza degli astri sui caratteri dei nascituri. Cho che ce sia di questo famigerato uovo, sta il fatto che sul finire del 1680 brillò sul firmamento una stupenda cometa. La vide per il primo Gottifredo Kirch, figlio di un sarto ed astronomo valoroso, il 4 novembre 1680 in Co- burgo. Evelio e Dòrfel non la osservarono che il 2 dicembre dell'anno medesimo. Questa cometa è talvolta detta cometa di New- ton. non tanto perchè egli la osservò, quanto per- chè egli mostrò su di essa l’applicabilità della sua gran leggo della gravitazione universale a questa specie di astri, e calcolandone l’orbita, e pro- vando che al passaggio della cometa per il punto del suo cammino più prossimo al sole, le super- ficie dei due corpi celesti dovevano essere molto vicine. Risultò dai calcoli di Newton che quella Zahotti Bulico, Istorio di mondi a 114 ISTORIE DI MONDI cometa descrive attorno al Sole un’orbita ellittica così allungata da essere indistinguibile da una parabola. A lui pertanto s’applicano con giustizia i versi del poeta Thomson: He, first of men, with awful wing pursued The comet througk thè long eUiptic curve, As round innum’rous worlds he wound his way; Till, to thè forehead of our ev’uing sky Returned, thè blazing wonder glazes anew And o’er thè trembling nations shakes dismay (1). Con questo verso ultimo il poeta accenna ad una parte importantissima che questi astii hanno avuta nell’ istoria dello superstizioni umane. Ecco che cosa ne scriveva Giovanni Celoria nel 1873: Per un tempo lunghissimo le comete furono ritenute segnali precursori degli avvenimenti più importanti. Esso annunziavano le guerre, le sedizioni, ì movimenti inte- stini delle repubbliche, presagivano le fami, le pestilenze, tutti i più gravi mali dell'umanità ; alla morte di un principe o di altro grande della terra precedeva 1 appa- rizione di una cometa; le comete furono una specie di oracolo universale, ed in esse si leggeva l’avvenire, come nelle storie il passato. Queste idee nacquero dall’opinione di Aristotile, che riguardava le comete come corpi effimeri, formati dalle (1) * Egli, primo fra gli uomini, con sublime volo, segui la cometa lungo l’immensa curva ellittica, come avvol- gente il suo cammino attorno ad innumerevoli mondi. Finché ritornato il fiammeggiante portento brilla di nuovo sulla fronte del nostro cielo di sera, e semina sgomento sulle tremanti nazioni LE COMETE 115 esalazioni atmosferiche, accresciuta di tutti gli errori dei Caldei o vestita di tutte le follie dell’astrologia giu- diaiuria. Le si incontrano presso i Greci e presso i Ro- mani ; in Europa dominano universalmente ancora nel secolo dccimosesto, e in sul principio del decimottavo se ne trova ancora una traccia manifesta. Gli spiriti più illustri non se ne seppero svincolare c le cronache di tutti i tempi fanno npertn testimonianza di così stolte credenze. Giuseppe De Maistre (1754-1821), che aveva il fanatismo del passato, sosteneva ancora, ag- grappandosi allo vecchie opinioni, che le comete sono segni dell’ira di Dio e che l’astrologia non è assolutamente chimerica (1). Dante non accenna alla credenza nell’influenza dello comete nè nella Divina Commedia, nè nel Convito; una sola volta, parmi, nomina le comete nel suo poema, e si è al canto ventiquattresimo del Paradiso, verso 12: rianimando forte a guisa di comete. Intorno a questo verso i commentatori sono, come al solito, in disaccordo, e spropositano na- turalmente in fatto d’astronomia. Nel canto se- dicesimo del IMrgatorio il sommo Ghibellino si esprime energicamente contro la credenza nell’in- flusso degli astri. Quosto silenzio è tanto più notevole inquan- tochè durante la sua vita furono viste ben due (1) Soirées de Saint-Pétersbourg, 3* edizione, to. Il pag. 317. 116 ISTOBIE DI MONDI comete, l’una nel primo semestre del 1299 e l’altra nell’autunno del 1301. Milton (1608-1674) accenna ancora a quelle credenze. Descrivendo l’ incontro ostile fra Satana o la Morte davanti alle porte dell’inferno egli scrive: On thè other side Incensed witli indignation, Satan stood Unterrified and like a comet burned, That firea thè length of Ophiuchus huge In thè arctic sky, and from bis horrid hair Shakes pestilence and war. ( Lost Paradise, II, 706, 11) (t). Un dotto cultore dell’ astronomia e recentis- simo commentatore di Milton, il signor Orchard, scrive a proposito dei versi sopra trascritti quanto segue : Ofiuco (il Serpentario) è una grande costellazione che occupa una regione piuttosto povera del cielo al sud di Ercole. Essa ha una lunghezza di circa quaranta gradi ed 'e rappresentata dalla figura di un uomo che tiene un serpente in ciascuna mano. Non è facile immaginai perchè Milton abbia assegnato la cometa a questa co- stellazione poco interessante; forse egli ne ha vista una in questa parte del cielo, ovvero il suo orecchio poetico avvertì che l’espressione Ophiueus tinge, che ha intorno (1) Milton, Paradiso perduto, traduzione di Andhe4, Mafff.t : Qual sanguigna cometa allor che infuoca Là nell’artico ciel la smisurata Plaga d’Ofiuco, e guerre e morbi scuote Dalle sparte criniere. LE COMETE 117 a nè un ritmo ponderoso, era ben appropriata per la descrizione poetica di una cometa. La sola altra allusione ad una cometa che ri- scontrasi nel Paradiso perduto, si è quando il Cherubino discendeva a prender possessione del Giardino, prima dell’ allontanamento di Adamo ed Èva : Ficrce uh comet; which with torrid heat, And vapour as thè Lybian air adust Beffali to pareli that temperate chinate (1). Quost’azione di produrre arsura attribuita alle comete ritroviamo nella Gerusalemme liberata del Tasso : Spenta e del ciel ogni benigna lampa; Signoreggiano in lui crudeli Btelle, Onde pim? virtù ch'informa e stampa L'nria d’impresslou maligne e felle. Cresce l’ardor nocivo, e sempre avvampa Più mortalmente in queste parti e in quelle: A giorno reo notte più rea succede, E di pepgior di lei dopo lei vede. Ottava che nel canto decimotorzo fa parte di quella bellissima, sebben un po’ artificiosa de- scrizione della siccità, e nella quale forse stelle sta por comete. (1) Milton, Paradiso perduto, XII, 632-636, traduzione di Anoiika Maki ki : Terribile fulminava in apparenza D’una cometa, e la torbida vampa E l'igneo fumo che mettea, sembiante All’ardor che di Libia il cielo adugge. 118 ISTORIE DI MONDI Ed ancora: Qual con le chiome sanguinose, orrende, Splender cometa suol per l’aria adusta, Che i regni muta, e i feri morbi adduce, Ai purperei tiranni infausta luce. (Gerusalemme liberata, VII, 52). D’altronde però le comete furono accusate di apportare ben altro che la siccità. Ecco alcuni sommari elenchi dei doni che si voleva recassero agli uomini quegli astri chiomati: Achterlie Unglttck insgemein enstelit Wenn in der Luft erscheint ein Komet: 1. Viel Fieber, Krankheit, PeBt und Tod. 2. Shwere Zeit, Mangel und Hungersnot. 3. Gross Hitz, diirr’ Zeit, Unfruchtbarkeit. 4. Krieg, Raub, Mord, Aufruhr, Neid und Streit. 5. FroBt, Kiilte, Sturmwetter und Wassernot. 6. Viehl Hoher Leut’ Abgang und Tod. 7. Gross Wind, Erdbeben an manchen End. 8. Viel Aenderung der Regiment. (Hartmann, Komet enspiegel, 1605) (1). Qui si accenna alla formazione delle comete nell’ aria conformemente alla teoria di Àristo- (1) * In generale quando una cometa si genera nel- l’aria, si producono otto specie di flagelli: 1. Molte febbri, malattie, peste e morte. 2. Tempi tristi, miseria e carestia. 3. Gran calore, aridità, sterilità. 4. Guerra, rapina, sterminio, ribellione, discordia e lotte. 5. Gelo, freddo, temporali e siccità. 6. Dipartite di molti alti personaggi e morte. 7. Vento forte, terremoti in varie regioni. 8. Grandi mutamenti nel governo „. LE COMETE 119 tele sull’origine delle comete già rammentata colle parole del prof. Celoria, o che come vedesi ora ancora da taluni accettata nel 1605. Si hanno in tedesco altri elenchi delle disgrazie apportate dalle comete ; la massima parte ne menziona otto, come quello testé scritto. Il poeta e diplomatico francese Guillaume de Saiuste Du Bartas (1544-1590) in un suo poema La Semaine si fece eco dolla superstiziosa cre- denza nel maligno influsso delle comete, ma ne ebbe da un altro sacerdote dello muse, Cristo- foro Gamon (1576-1621), il seguente giustissimo rimprovero: Cesso, je te supplie, cesse donc un instant, trailer de ce brandon, le vulgaire étonnant, Coutente-toi, Bartas, du mal qui le tourmente. Quitte aux ethniques vains, cetto vaine épouvante, C'est so rendre complice à l'erreur monstrueux, De donnor du présage à l'astre aux longs cheveux. Plus encore de penser, que son crin porte-flammes, Par son branle incertain, doive ébranler les àmes; Cuuser perto aux pasteurs, porter la grble aux bléB, I,'orage à la marino, et le trouble aux cités. Puia où voit’on que Dieu nous ait prcscrit cet astre Pour predire aux humains quelque inhumain désastrei 1 Veut’il que nous lisions dans les airs agités, Non dans les saints feuillets, ses saintes volontés? Combien voit’on de Ibis, quo le Tout-Puissant jette Les combtes saus mots et les mota sans combtes ? È vero difatti che nelle sacre carte non si trova che un accenno molto dubbio all’influenza delle comete, nei libri di Geremia. Un altro passaggio contro la superstizione delle 120 ISTORIE DI MONDI comete leggesi in un libro di Benedetto Gero- lamo Feyjoo, benedettino spagnuolo. La cometa è una bravata del cielo contro la terra. Si è forse voluto farne uno spauracchio per i sovrani, per deprimere il loro orgoglio, sulla considerazione che essi hanno meno a temere sulla terra cho gli altri uo- mini; ma i monarchi hanno quaggiù abbastanza nemici da paventare, senza che sia necessario per contenerli che le brillanti agitazioni del cielo concorrano coi vapori della terra. L'ambizione dei vicini, le lagnanze dei sud- diti, i fastidi del governare, tali sono le comete che i sovrani devono temere. Ho voluto riportare qui questi brani d’autori poco noti, per provare che anche contro la folle paura delle comete, uomini di mente aperta e libera elevarono energicamente la voce. E mi permetterò ancora di rammentare, cosa anch’essa ben poco conosciuta, che, a riscontro delle innu- merevoli colpe onde furono accusate le comete, fu loro attribuita una sola buona azione, e di essa può andare orgogliosa la cometa mostra- tasi in cielo nell’inverno del 1472, a quanto rac- conta Giovanni Pretorius (1). Nel 1472 adunque, dopo l’apparizione della cometa, nella miniera d’argento di Sclineeberg, fu ritrovato un ammasso argenteo (copia argenti) su cui stavano scolpite le parole: “ Ecce cui cometa luxit „. (1) Narratio de cornette qui antea visi sunt et de eo qui a. 1577 apparuit, Norimberga, 1578. LE COMETE 121 Shakespeare così parla delle comete: Cometa importmg changes of timea and states Urandish your crystal tresses in thè sky, And with them scourge thè bad revolting stara That have consented unto Henry’a death (1). II. In tempi a noi più vicini le comete dovettero sopportare un’accusa più grave di tutte quelle che loro si oran lanciate nei secoli meno illu- minati, e che sarebbe, se vera, stata certo l’ul- tima che gli uomini avrebbero loro mossa, giacché si pretese che una di esse avrebbe apportato la fino del mondo. Che questa potesse avvenire per l'urto della Terra con una cometa si paventò da molti in Parigi nel 1775: in detta città si era sparsa la voce che una cometa doveva trovarsi sull’orbita della Terra, urtarla e mandarla a pezzi. L’origine di questa poco piacevole diceria fu una Memoria che 1 astronomo Lalande doveva leggere, ma non lesse, il 21 aprile di quell’anno, nella seduta pubblica dell’Accademia delle scienze.' Nessuna predizione di scontro con comete si con- fi) Henry VI, prima parte, atto I, scena I (G. Cak- cano, Teatro completo di Shakespeare, Milano, 12 volumi, presso Hoepli, 1874-82): E voi comete Che annunziate il cader di regni e tempi, Agitate nell’aer le cristalline ì ostro treccie, e i ribelli astri punite Che recano morte al quinto Arrigo! 122 ISTORIE DI MONDI teneva in quella Memoria, che portava il seguente innocentissimo titolo: Béflexions stir les comètes qui peuvent approcher de la Terre. Prima di far pubblico il suo lavoro , Lalande dovette , tanta era la paura della gente, far stampare sulla Ga- zette de France del 6 maggio una nota che cal- masse la gente. Essa non valse, ed il panico divenne tale che i devoti volevano che s’innal- zassero al cielo preci solenni per scongiurare il disastro; i dotti persuasero l'arcivescovo di Pa- rigi a non dar loro retta onde non cadere nel ridicolo. Lalande pubblicò nel corso del 1775 medesimo il suo lavoro, e poco per volta si scor- darono e la cometa e il minacciato finimondo, che rimasero solo nelle canzoni popolari e nelle riviste umoristiche all 'Optra comique. Queste paure però rinacquero nel 1832 per la cometa di Biela scoperta nel 1826 e della quale dovremo discorrere a lungo più innanzi ; d’ allora in poi quelle barocche idee non si manifestarono più, ed auguriamoci ad onore dell’ umanità che esse sieno seppellite per sempre, e che le co- mete diano retta una buona volta alla preghiera di Voltaire: Comètes que l’on craint à l’égal du tonnerre, Cessez d’épouvanter les peuples de la Terre. Dans une ellipse immense achevez votre cours. È curioso avvertire che un grande naturalista, Buffon, anziché vedere nelle comete corpi infausti minaccianti alla Terra distruzione e fine, volle vedere in una di esse la cagione della forma- LE COMETE 123 zione dei pianeti tutti del sistema solare. Egli suppose che una cometa, cadendo sul Sole, ne abbia fatto scaturire un torrente di materia, che raggruppatasi a distanza in parecchi globi di diversa grandezza e lontananza da quell’astro, formò i pianeti ed i satelliti. Laplace ha dimo- strato la completa insussistenza delle idee di Buffon. Tanto la distruzione quanto T origine della Terra prodotte da una cometa implicano l’urto di questi due corpi. Arago e lord Kelvin hanno fatto evidente che l’urto di due corpi colesti, di due masse cosmiche è enormemente poco pro- babile, e le conseguenze non ne possono certo essere prevedute: esse dipendono dalla massa e natura dei due astri e dalla velocità e direzione del loro moto. Ad ogni modo, in questi ragio- nevoli convincimenti, checche nell’avvenire siano per apportare agli uomini le comete, oggi esse non sono, por la comune, che un oggetto di cu- riosità, e per gli astronomi argomento a lunghi calcoli, osservazioni e indagini circa i tanti e curiosi fenomeni che molte di esse offrono alla nostra contemplazione. Discorriamone breve- mente. III. Lo comete, nelle quali i superstiziosi nostri padri credettero di vedere ogni sorta di orribili cose, non cominciarono ad essere osservate col cannocchiale che nel 1618 . Questo fu un anno memorabile per l’astronomia, perchè in esso Ke- 124 ISTORIE DI MONDI ploro trovò la terza legge del moto dei pianeti, che condusse Newton alla scoperta della legge- delia gravitazione universale, e si fu anche in quell’anno che Cysat a Luzern osservò per la prima volta la grande nebulosa d’Orione. L’osservazione ha dimostrato che le comete sono corpi costituiti di materia cosmica in uno stato di tenuità e di rarefazione grandissima specialmente in quelle parti della loro figura che diconsi chioma e coda , per rassomiglianza con simili appendici negli animali. Anticamente si parlava anche di barba delle comete, ora non più, e questi astri non sono più barbuti, ma chio- mati o caudati. La parte che si mostra più lu- minosa, più densa, dicesi nucleo. Babinet chiamò le comete des petits riens vi- sìbles e sir -John Herschell le descrive quasi come spirituali nella loro struttura. Attraverso alle parti più dense di talune comete si scorsero non di rado piccole stelle, senza percettibile diminu- zione del loro lume, fatto già avvertito da Seneca. Questo grande uomo che con Anassagora e De- mocrito professava, intorno alle comete, dottrine molto superiori alle idee dei suoi contemporanei, in un passo che fu molto citato, predisse che in qualche epoca remota un uomo sarebbe nato, che avrebbe spiegato il movimento di questi corpi. Ma ben sodici secoli dovevano volgere prima che il grande Newton vonisse a far vera quella pro- fezia. La tenuità estrema della materia delle comete è poi provata anche dal fatto che alcune di esse passarono molto vicino a certi pianeti, LE COMETE 125 senza per nulla perturbarne il corso. Il 30 giugno 1861, la Terra attraversò la nebulosità che for- mava la coda della splendida cometa di quél- ranno, e gli uomini non se ne avvidero, e nulla, per quanto consta, fu mutato nei movimenti celesti o terrestri, a meno che non si voglia ri- guardare come conseguenza di quell’incontro una debole luce gialla fosforescente che taluno cre- dette di aver osservato. Un inglose, Whiston, insegnò nella sua Teoria delia terra, che il diluvio universale era stato prodotto dal passaggio di una cometa molto vi- cino alla Terra. Egli assegnò nella sua fantasia, alla splendida cometa apparsa nel 1680, non solo nei passati tempi, l’odiosa parte di carnefice dei contemporanei di Noè per via umida, ma profetando mine e stragi, anche quella futura di sterminatrice degli uomini por via ignea. Una penna immaginosa, se mai ve ne fu, quella del celebro novelliere americano Edgardo Poe, ha delineato a fiammanti colori quale potrebbe essere uno scontro fra la Terra ed una cometa, nella conversazione fra Eros e Charinion. Poè finge che la cometa consumi la Terra in una immane conflagrazione, attenendosi al dotto bi- blico che la Terra sarà bruciata con tutto ciò elio contiene. L’epoca dei romanzi scientifici non è ancora terminata. Ora viene spontanea la domanda: La materia diffusa che costituisce le comete che cosa è? È dessa qualcuna di quelle sostanze che si trovano sulla Ferra? Vediamo di rispondere. 126 ISTOKIE DI MONDI IV. L’idea di giungere a conoscere di che è fatto un corpo celeste per mezzo dell’osservazione, sa- rebbe certo sembrata agli antichi semplicemente pazzesca; l’attuazione di essa è una delle più pure glorie della scienza moderna; ed il suo svi- luppo forma il più recente ramo dell’astronomia, l’astronomia fisica. L’astronomia matematica si occupa essenzialmente della determinazione del sito dei corpi celesti e dei loro movimenti; l’a- stronomia fisica della loro costituzione fisico-chi- mica, e di taluni loro moti speciali. Nello stato attuale delle conoscenze umane si può giungere a conoscere quali sostanze si tro- vino alla superficie di un corpo celeste solo quando questo sia luminoso di luce propria: quando l'a- stro, come i pianeti ed i loro satelliti e la Luna, risplende di luce del Sole riflessa, nulla se ne può sapere. 11 polariscopio, i strumento complicato che qui non giova descrivere, ci fa vedere che una por- zione del lume delle comete viene dal Sole, da esse a noi rinviata per riflessione. Rimane l’altra parte cho l’astro vagabondo c’invia direttamente: questa ci palesa, analizzata allo spettroscopio, la natura chimica della materia cometaria. Come è noto fin dai tempi di Newton, ogni luce che attraversa un prisma di vetro, è de- composta, e si distende in una immagine allun- gata detta spettro, nel quale si scorgono i sette r.E COMETE 127 colori dell’iride, dal rosso al violetto. In gene- rale questo spettro non è continuo, ma è solcato da strie o linee e bande, le une scure, le altre lucide, che mutano di disposizione e di sito secondo la natura e la provenienza della luce e dello fiamme, e che svelano all’osservatore la composizione chimica dei corpi che producono la luce e le fiamme. Si è su questo principio che si fonda la spettroscopia, ramo delle scionze fi- siche astronomiche, mercè la quale si giunge a scoprirò la costituzione chimica del Sole, delle stolle fisse e delle comete. Lo spettro del Sole è stato ed è particolarmente studiato, ed ogni spettroscopista lo riconosce a prima vista. Lo stesso si è dello spettro delle luci, alla genera- zione delle quali concorrono corpi contenenti del carbonio, dell idrogeno e dell azoto, sia bruciando, o sia per effetto del passaggio di una scarica elettrica. Esso si riduce a quattro bande lumi- nose, separate da larghi spazi oscuri e situate nel giallo, nel verde, nel bleu e nel violetto: esse sono caratteristiche dei nominati gas, cosi, che tutte le volte che le si scorgono, si può asserire che quelle sostanze esistono nei corpi illuminanti che li mostrano. In questi ultimi anni la luce delle comete è stata analizzata collo spettroscopio ; fra i primi a far questo indagini furono l’italiano Angelo Secchi gesuita o l’inglese Huggius. Si trovò che lo spettro del nucleo e di una piccola porzione della radice della coda consiste in bande lumi- nose, che nella maggior parte delle comete sono 128 ISTORIE DI MOTIVI in generale le stesse, sebbene alcune presentino particolarità proprie. Questi spettri in generale concordano con quelli delle fiamme leggermente luminose dei carburi d’ idrogeno, quali quelli ^ della base azzurrognola di una candela. Lo spettro gassoso delle comete è accompagnato, in gì adi variabili, da uno spettro continuo. Questo in generale è con maggior evidenza prodotto dal nucleo, ma si estende anche più o meno nello varie appendici nebulari dell’astro. In parte esso è certamente dovuto alla luce solare riflessa dal nucleo, in parte probabilmente all ignizione di minute particelle solide. L’aver constatato la presenza del carbonio nelle comete è un fatto importante assai nella filosofia naturale, giacche con ciò viene ad attri- buirsi a questo elemento , così essenziale nella vita organica terrestre, una distribuzione per tutto lo spazio siderale, giacche le comete ci vengono da tutte lo regioni e profondità del cielo. Esse esistono in tal profusione, che, come disse Keplero, vi possono essere più comete in cielo, che pesci in mare. Quanto alla distanza dall&J quale vengono, ed a quella alla quale s allonta- nano, l’astronomia è impotente a dirlo. La gravitazione universale ci rende ragione della natura del cammino celeste delle comete o come talune siano periodiche, vale a dire ri- tornino ad essere visibili dopo un certo tempo. Liberiamo la mente dai ceppi dello spazio e del tempo, e facciamola seguire una cometa nella sua vita cosmica. LE COMETE 129 Richiamo prima alla memoria alcune nozioni ,li meccanica celeste. Se un corpo animato da ima certa velocità viene a trovarsi nella sfera d’attrazione d’un altro corpo di attrazione pre- ponderante, imprenderà a muoversi attorno ad esso, descrivendo un circolo, un’ellisse, una pa- rabola od un’iperbole a seconda della grandezza di tale velocità. Vi è una sola velocità che co- stringa il corpo a (ìoscrivore un’orbita circolare ed una sola del pari corrispondente ad un per- corso parabolico: velocità intermedie a queste due danno orbito ellittiche, superiori, orbite iper- boliche. A tutti è noto che cosa sia un circolo. L'ellisse, l’iperbole e la parabola sono curve già ben note agli antichi, e che si ottengono se- gando un cono circolare con un piano, variamente inclinato rispetto al cono stesso. L’ellisse è una sorta di ovale, che i giardinieri sanno così ben descrivere a mezzo di due piuoli infissi nel ter- reno, ed ai quali è legata una funicella, che si tien tesa a mozzo di una punta, che movendosi sempre tendendo lo spago descrive la curva. Man mano che l'ellisse si allunga, fino a di- venire infinitamente estesa, essa si va accostando alla parabola, che è raggiunta al detto limite. La forma di una parabola può vedersi a un dipresso realizzata nel cammino di un sasso, di un proiettile lanciato obliquamente nello spazio. Non si hanno nella vita solita esempi di curve iperboliche. Se si cammina lungo un’iperbole od una para- bola, senza mai retrocedere, non si può mai più Zahotv Bianco, Istorie di mondi. 9 130 ISTORIE DI MONDI ritornare al punto di partenza, perchè per ciò fare bisognerebbe passare per un punto a di- stanza infinita. Punto che, sia detto con tutto il rispetto dovuto ai matematici, non ha domi- cilio conosciuto, ed al quale in ogni caso non si arriva se non dopo un viaggio di durata infi- nita, o camminando con una velocità infinita, vale a diro mai. La parabola è l’anello di con- giunzione fra l’ollisso, curva rientrante, e l’iper- bole che si stende fino all’infinito. Essendovi infinite velocità che possono pro- durre attorno ad un dato centro di attrazione orbite ellittiche od iperboliche, mentre non se ne ha che una che generi orbita circolare ed orbita parabolica, queste saranno le meno frequenti e probabili, le altre due assai più. Ancora, poiché per avere un’orbita iperbolica si richiede una forza molto maggiore, cosi anche per questa ra- giono le orbite ellittiche, con ritorno al punto di partenza dopo un tempo più o meno lungo, saranno le più numerose. In astronomia s’insegna come, ammessa l'ipo- tesi di un moto, ellittico, o parabolico, od iper- bolico, si possa coi dati dell’osservazione calcolare la situazione e le dimensioni della curva che rappresenta meglio il moto osservato della co- meta. In generale bastano tre osservazioni, ad epoche differenti, della posizione coleste della cometa, por risolvere il problema, non certo fa- cile, più semplice nel caso della parabola che negli altri. Però siccome si hanno ora in generale molte osservazioni di una stessa cometa, la que- 1.1! COMETE 131 stione si complica, pure riuscendo a risultati più esatti, a mezzo d’un metodo matematico detto dei minimi quadrati, dovuto a Legendre ed a Gauss. Si è trovato che per la massima parte le or- bite delle comete, nel tratto del loro percorso accessibile alle nostre osservazioni, sono ben rap- presentato da ellissi cosi allungate, che per quel tratto si confondono con parabole. D’altronde i corpi del sistema solare esercitano sulle comete tali perturbazioni che ben può verificarsi, che una cometa n’abbia mutata varie volte la natura del suo percorso. Questa è una grande difficoltà nel calcolo e nella predizione del ritorno delle comete. Por alcune comete, a dire il vero, il corso loro fu ben rappresentato da orbite iper- boliche. Ma ove si rifletta alla difficoltà ed al breve intervallo delle osservazioni nonché alla piccolezza delle differenze sulle quali si appoggia la maggior probabilità delle orbite iperboliche, si rimane inclinati a considerare lo medesime, sp' cialmente quelle che si riferiscono alle comete più antiche, corno semplici risultati di calcolo, ni quali non corrisponde la realtà delle coso. Riassumendo quindi le nozioni fin qui esposte, diremo che le comete sono corpi di piccola massa, costituite da materia diffusissima, contenente del carbonio, dell’idrogeno e dell’ossigeno. Il loro moto si compio in curve talora rien- tranti in sè, talora non, cosi che se ne hanno di periodiche e non. Il loro cammino può essere grandemente alterato e mutato dalle attrazioni dei grandi pianeti. 132 ISTORIE DI MONDI V. Fra le comete periodiche ve ne ha una, che gli uomini hanno veduto già molte volte: essa è quella che vien detta di Halley, dall’astronomo inglese, che ne scopri la periodicità e ne pre- disse il ritorno. Secondo gli astronomi Laugier e Hind la prima apparizione di questa cometa, di cui si abbia contezza attendibile, risale a 1 2 anni prima di Cristo; le successive avvennero negli anni 66, 141, 218, 295, 873, 451, 530, 608, 684, 760, 837, 912, 989, 1066, 1145, 1223, 1301, 1378, 1456, 1531, 1607, 1682, 1759, 1835. La sua apparizione nel 1682, fu l’occasione delle celebrate indagini di chi le diede il nome. Tutti i cronisti del secolo XI parlano della cometa mo- stratasi in cielo nell’aprile 1066, e elio registrata anche negli annali chinesi, era grande come la Luna piena, con una coda che piccola da prin- cipio, crebbe ad una meravigliosa lunghezza. In Inghilterra essa fu considerata come foriera della vittoria di Roberto di Normandia, che il 28 settembre poi sconfiggendo Aroldo, poneva fine alla dominazione sassone e stabiliva quella dei Normanni. A Bayeux in Francia si conserva un arazzo preziosissimo, che ricorda la grande cometa di quell’anno: esso rappresenta delle persone, che guardano additando una grande stella in cielo, porta il motto : Isti tnirant stella. Su questo arazzo la regina Matilde trapunse, LE COMETE 133 assiemo alla cometa, la memoria della conquista (l’Inghilterra operata da suo marito Guglielmo il Conquistatore. In questo arazzo, stella significa cometa, ed a questo proposito ci si consenta una breve di- gressione. Cometa deriva dal greco kòme che vale chioma, ma con questo nomo non s’indicano sola- mente gli astri di cui stiamo discorrendo. In botanica diconsi comete talune piante della fami- glia delle diantee con allusione alle due appen- dici piumose che accompagnano i fiori laterali. Qu sta pianta caracia od erba lazza puzza e con- tiene molto sugo lattiginoso caustico. In zoologia furono detti cometes alcuni uccelli mosca, ma siccome vi erano già altri animali indicati con quel nome, così esso venne cambiato in quello di Sappho. Con cometes fu anche denominata una farfalla notturna, probabilmente a cagione di due lunghe appendici filiformi delle ali posteriori. Cometa è detta una speciale carta, in un giuoco colle carte inventato per distrarre Luigi XV di Francia. Un’altra famosa apparizione della cometa di Ilalley si è quella del 1456, e questa fu certo l’occasione in cui l’astro sfoggiò maggior splen- dore e grandezza. Era da tre anni appena ca- duta Costantinopoli ed i Turchi minacciavano terribili ed inesorabili l’Europa cristiana: sulla cattedra di san Pietro sedeva Calisto III dei Borgia, quando in giugno una portentosa cometa s'accese in Cielo, nelle costellazioni che vanno dal Toro fino al Leone. Era terribile e grande, 134 ISTORIE DI MONDI dicono gli storici di quel tempo, la sua coda co- priva due segni celesti, vale a dire sessanta gradi, e l’estremità era allargata in forma di coda di pavone. Vi si vide un segno certo della collora divina, i Mussulmani vi vedevano una croce, i Cristiani un yatagan.. II Papa spaventato e dai Turchi e dalla co- meta, ordinò che in ogni chiesa al mezzodì di ogni giorno si suonassero straordinariamente le campane e si recitassero Ave Maria e quella pre- ghiera detta Angelus dalla parola con cui comincia, che si recita ancora oggi, e che il pittore Millet ha vivificato, in quel suo mirabile quadro, ven- duto dopo la sua morte, per mezzo milione, ad un americano. Mentre la cometa era ancora vi- sibile, il capitano ungherese Uniade ed il monaco Giovanni da Capistrano costrinsero il conquista- tore di Costantinopoli a levare l’assedio da Bel- grado. Il Papa volle conservare memoria del glorioso fatto ed ordinò, che s’ istituisse una grande festa per La Trasfigurazione, il cui anni- versario ricorreva pochi giorni dopo la battaglia. Qualcuno vuole attribuire a quella circostanza il nome di comete che si dà ad una sorta di ciam- belle che si vendono alle porte delle chiese in taluni giorni di Santi: altri fa, forse più ragione- volmente, derivare quel nome da comedere latino, che significa mangiare. In Dino Compagni tro- viamo : Questa stella si chiama cotoletta. Che raggi come crini ardenti getta: LE COMETE 135 ed in un sonetto di monsignor Della Casa: Sì uomo stella. Che coll’ardente crln fiammeggia e splende. Molte volte anche oggi si dice stella cometa, come nella popolarissima canzone che comincia con « la stella cometa la vien col vapor In fran- cese il nome di questi astri fu talvolta maschile ; leggiamo difatti in BreCbeuf (1618-1661). Et d’un sombre nscendant l’influence secréto, Fait d'un feu lumineux un sinistre comète. Per la storia astronomica della cometa di Halley, la più importante fra le sue apparizioni è quella del 1682, nella quale Halley stesso la os- servò. Halloy (1650-1742), avendo imparato dalla dottrina di Newton la possibilità che una cometa si movesse in un’orbita ellittica, e quindi chequella potesse essere periodica, intraprese una ricerca laboriosissima; ogli raccolse dallo istorie delle comete osservato tutti i particolari attendibili, e cosi venne a conoscenza, con tollerabile accu- ratezza, dei percorsi celesti di circa ventiquattro grandi comete. Una di queste fu quella del 1682 dolla quale egli calcolò l’orbita, ed investigando se essa avesse già potuto altra volta visitare il nostro sistema solare, trovò che la cometa rassomigliava strettamente ad una osservata da Appiano nel 1531, e ad un’altra osservata da Keplero nel 1607, e dai suoi calcoli fu indotto a credere e ad affermare che la cometa osser- vata a quelle tre epoche, distanti fra loro di 136 ISTORIE DI MONDI circa settantacinque anni e mezzo, era la stessa, che si moveva lungo un’ellisse a percorrere la quale impiegava quel tratto di tempo. Fatto di ciò fermamente convinto, egli decise di sotto- porre le sue idee alla prova del fuoco, che è quanto dire egli si peritò di predire il ritorno di quell’astro pel 1757 o 1758, nella supposi- zione che non venisse deviata dall’attrazione di altri corpi. Tra questi il più potente è Giove, a poca distanza dal quale passa la cometa, e che secondo Halley ne avrebbe ritardato il ritorno fino alla fino del 1758 od al principio del 1759. La predizione fu un avvenimento memorabile nell’istoria dell’astronomia, in quanto che essa fu il primo tentativo di predilo il ritorno di uno di questi misteriosi corpi, le cui visite sembra- vano sfuggire ad ogni legge nota e fissa, e che erano riguardate come forieri di flagelli e sven- ture. Halley senti tutta l’ importanza del suo annunzio ; egli sapeva che la sua mortai carriera sarebbe trascorsa prima che la cometa avesse completata la sua rivoluzione, e con linguaggio quasi commovente il grande astronomo scrisse: Pertanto, se, secondo la nostra predizione, essa ritor- nerà circa l’anno 1758, la posterità imparziale non si rifiuterà di riconoscere che ciò fu per la prima volta scoperto da un Inglese. Un grande matematico francese, Clairaut, com- pletò i calcoli di Halley, studiando le perturba- zioni che i grandi pianeti potevano produrre sulla cometa e ne conchiuse che essa sarebbe passata per il perielio (punto della sua orbita più vicino LE COMETE 137 al sole) verso la metà d’aprile del 1759, avver- tendo che, in causa di possibili perturbazioni allora sconosciute, l’epoca fissata avrebbe potuto essere in ritardo od in anticipazione anche di un mese. La cometa passò al perielio il giorno 12 marzo 1759, un mese prima della data stabilita da Clairaut, ma dentro i limiti di tempo da lui fissati. La cometa, in quel suo ritorno, fu per la prima volta vista, non da astronomi con can- nocchiali, ma da un contadino sassone di nome Palitzch, che con grande amore guardava ed ammirava ogni notte il cielo, la notte del Natale del 1758 presso Dresda. La cometa di Halley ritornò nel 1835, e fu stu- diata dal sommo Bessel; il suo prossimo ritorno è fissato per il 1910. Sarebbe certo curioso ed interessante assai il poter colla cometa ritornare ogni tre quarti di secolo a visitare la Terra, non altrettanto certo l’abitarla. Si conosce ora il cammino ellittico di parec- chie comete, dette perciò periodiche, ma esse sono tutte piccole e solo visibili con cannocchiali, e sono così in notevole contrasto con la splen- dida cometa di Halley. L'Annuaire du Bureau des Lomjitudes per il 1902 registra diciotto comete periodiche delle quali si è osservato il ritorno, si contano ses- santasette comete periodiche delle quali è co- nosciuta una sola apparizione. Di una di questo comete periodiche, che è dotta di Biela, ci occuperemo a lungo in un pros- simo lavoro sulle stelle cadenti. ISTORIE PI MONPI 138 Yogliamoora dire due parole intorno ad un’altra distinta col nome di Encke, grande astronomo tedesco. Il 26 novembre 1818, in Marsiglia, Pons, in- faticabile scrutatore del cielo, scopri, nella costel- lazione di Pegaso, una piccola cometa, visibile solamente col telescopio. Di essa, che fu visibile per circa sette settimane, si ebbero molte osser- vazioni : Encke trovando che un’orbita parabolica non corrispondeva per nulla ad esse, si decise di applicare a quelle un metodo immaginato dal- l’illustre Gauss, ed allora ancora poco usato. Egli trovò che la vera forma dell’orbita era ellittica, e che la cometa compieva sua rivoluzione in circa tre anni e mezzo. Calcolando poi, in sei settimane, con un vero tour de force , le pertur- bazioni che la cometa aveva subito negli anni addietro, riuscì a constatare che l’astro del quale egli tracciava coi numeri l'istoria era quello stesso che fu scoperto da Mecliain a Parigi il 17 gennaio 1786, e identico con quello scorto prima da miss Carolina Herschel il 7 novembre 1795, e poi il 19 ottobre 1805 da Thulis a Mar- siglia. Inoltre egli fu in grado di affermare che fra il 1786 ed il 1818, quella cometa era passata sette volte al perielio senza essere vista : e di pre- dire elio sarebbe ritornata il 24 maggio 1822, dopo essere stata ritardata di nove giorni per l’in- fluenza di Giove. Questa predizione si verificò così esattamente, che gli astronomi concordi die- dero il nome di Encke alla cometa, non solo in riconoscimento della sua diligenza ed abilità nel LE COMETE 139 condurre a termine uno dei piìi intricati e labo- riosi fra i computi astronomici, ma altresì per rammentare il primo calcolatore di una cometa a corto periodo, appartenente ad un gruppo im- portantissimo di astri. Dalle osservazioni che della cometa fece Riimker neH’osservatorio privato di Sir T. M. Brisbane a Paramatta nella Nuova Galles del Sud, potè predirne il prossimo ritorno pel 16 settembre 1825. Nei ritorni menzionati ed in quelli successivi fu notato quanto già Encke aveva avvertito, che essi anticipavano ogni volta di duo ore e mezza, che non potevano spiegarsi con nessuna perturbazione di pianeti. Encke ri- prendendo alcune idee di Newton pensò che po- tesse chiarirsi questa anticipazione congetturando 1’esistenza nello spazio percorso dalla cometa di un tenue mezzo resistente, sufficientemente denso per influire sopra un corpo cosi sottile, ma inca- pace di esercitare qualsiasi influsso sui movimenti dei pianeti. Ciò in conformità delle opinioni di Olbers, e di talune ideo di Eulero, che voleva che quel mezzo avesse ad essere l’agente di distru- zione del bell’ordine del sistema solare. Bessel du- bitò che 1 ipotesi di Encke potesse essere accetta- bile, e pensava che fenomeni fisici, dei quali diremo fra breve, osservati nella cometa, potevano con maggior fondamento chiarirne l’accelerazione del movimento medio. Mezzo secolo trascorse prima che qualche cosa di simile potesse scoprirsi in altri astri della famiglia cometaria. Nel 1880 il professore Oppolzer annunziò che una cometa veduta prima da Pons nel 1819, e scoperta di 140 ISTORIE DI MONDI nuovo da Winnecke nel 1858, era accelerata ad ogni sua rivoluzione precisamente nel modo in- segnato dalla teoria di Encke. Ma le più recenti indagini di Von Asten e Backlund rivelarono nei movimenti della cometa di Encke una circostanza molto imbarazzante. Essi confermano i risultati di Encke per le epoche cui si riferiscono, ma attestano che l’accelerazione è rapidamente dimi- nuita di circa la metà nel 1868. La realtà e la permanenza di questa variazione furono piena- mente confermate dalle osservazioni nel ritorno del 1885. L’astronomo Sherman vorrebbe colle- gare le variazioni degli elementi che servono a fissare l’orbita della cometa di Encke colle mac- chie solari. Hall, per contro, esaminando le ri- cerche di Encke e Von Asten, e quelle più recenti di Moller, Backlund ed E. von Haerdtl, dichiara che 1’esistenza di un mezzo resistente come causa dei fenomeni che si tratta di spiegare, non può più essere sostenuta in modo generalo. Il signor Hall suggerisce che sarebbe il caso di ripren- dere le ideo di Bessel sulle perturbazioni del movimento che possono derivare dall abbandono di una parte della materia cometica. Da più recenti suoi lavori il signor Backlund sarebbe indotto a credere che si debba escludere l’esi- stenza di qualsiasi mezzo resistente continuo, e che esso debba essere localizzato in certe regioni. Hirn, eminente fisico svizzero, trova inaccet- tabile l’ipotesi di un mezzo resistente, e pro- pende verso l’opinione che le variazioni nei mo- vimenti della cometa di Encke siano dovute ai LE COMETE 141 fenomoni fisici che in essa si svolgono, ed alle varie condizioni calorifiche cui l’astro è sotto- posto, quando si trova vicino al Sole, e quando se ne allontana. È curiosa l’opinione di Stanley Jevons a questo riguardo. Esaminando varie teorie scientifiche, menziona quolla del mozzo resistente, escogitata da Encke, e scrive: “ Ma tali ipotesi faranno molto male, tutte le volte che esse ci storne- ranno dal tentare di conciliare i fatti colle leggi conosciute, o quando ci condurranno a collegare coso fra loro disparato. Ad ogni modo noi non abbiamo diritto di confondere il mezzo resistente supposto da Encke, colla base della luce senza distinta evidenza di identità „ (1). Giova avvertire, che se il mezzo resistente esiste, assai probabilmente sarà molto più denso vicino al Sole che non nelle altre regioni del si- stema solare. Esso poi, opponendosi al moto della cometa, tende ad accorciarne il percorso e ad av- vicinarla al Sole, originando cosi un moto a spi- rale che si terminerebbe con una caduta sul Sole. La scienza nulla sa di simili catastrofi avve- nute in scala così grandiosa da rendersi a noi manifeste, nè cosa alcuna può dire per l’avve- nire. Certo ò che molti milioni di corpuscoli co- smici, quali i nostri bolidi e stelle cadenti, si precipitano, attratti, sull’astro del giorno. (1) Circa il mezzo resistente cosmico, vedi Lo spazio crinale in Nuova Antologia, 1892, riprodotto nel libro In Cielo, Torino, Bocca, 1897. 142 ISTORIE DI MONDI Ed ora veniamo a dire alcun che intorno alla grandezza delle comete, alla loro costituzione ed ai fenomeni dei quali son sede, ed ai quali ab- biamo già parecchie volte accennato. VI. Plinio descrisse dodici forme di comete, diffe- renti per la chioma e la coda, ed Evelio le ha disegnate nella sua Cometografia. 11 medio e\ o scorse nelle comete mostri, armi e visi mi- nacciosi ed orrendi; Ambrogio Pare lasciò, nei suoi Monstres célestes, un disegno che sintetizza quelle visioni e che contiene un po di tutto ciò. Oggidì le comete ci si mostrano quali sono, come corpi celesti di curiosa e varia costituzione. Una cometa consta generalmente di una parte luminosa centrale detta nucleo, che è circondata da strati di materia nebulosa formanti la chioma; queste due parti assiemo costituiscono la testa dalla quale si diparte una (talvolta più) appen- dice detta la coda. Il nucleo e la coda non sono parti essenziali della cometa, e molte se ne vi- dero in cui mancavano o l’una o l’altra cosa, od entrambe. Molte comete appaiono sotto forma di semplici ammassi di materia nebulare, più o meno densi e luminosi, e solo il loro moto fra le costellazioni, permette di distinguerle dalle nebulose che fra quelle rimangono fisse. La coda è spesso molto cospicua, semplice o composta di varie diramazioni, e presenta diversità note- voli tanto per l’aspetto come per la lunghezza: I,B COMETE 143 in taluno manca affatto, in altre si estende per- sino ad un terzo del cielo visibile, rendendo ma- nifeste lunghezze di molte centinaia di milioni di chilometri. Talvolta essa è rettilinea, altra volta curva, sempre però diretta dalla parte op- posta al Solo, cresce coll 'accostarsi della cometa ad esso, scema quando se ne allontana. Da molti anni non si presentarono più grandi comete. Una dello più belle di questo secolo, e forse l’ultima grande veduta, fu scoperta a Fironzo il 2 giugno 1858 dall’ astronomo Do- nati: ossa divenne visibile all’occhio nudo in sul principio di settembre, e por sei settimane fu, lucente e meravigliosa, ammirata in Europa. Di poi il suo rapido passaggio all’emisfero meridio- nale la tolse all’osservazione: ma al Capo di Huona Speranza fu ancora visibile il 4 marzo 1859. Si disse allora che quella cometa annunziava una grande guerra, ed il presagio s’avverò, e la guerra fu grande e gloriosa per l’Italia che che nel 1859 acquistava buona parte delle terre che natura assegnò ai suoi figli. L’astronomo von Aston calcolò l’orbita di questa a noi pro- pizia stella, la trovò ellittica con un periodo di 1879 anni. Stampfer trovò 2138 anni e Lòvy 2010: queste discrepanze non debbono meravi- gliare, data la natura del problema cui vogliono rispondore.Che sarà del nostro bel paese quando la cometa di Donati ritornerà ? Certo la famosa guerra dell’indipendenza sarà da secoli obliata, e dei guerrieri che la combatterono sparsa ai’ venti la polvere e la gloria. È doloroso a dirsi 144 ISTOBIE DI MONDI di questi fatti nostri così gloriosi e grandi, si va spegnendo il rumore, e persino nelle scuole ben poco se ne dice e di volo. La cometa Donati apparve dapprima come una debole nebulosa rotonda, circa un decimo, in dia- metro, della Luna. Si constatò subito che s’acco- stava al Sole: il 14 agosto spuntò la coda: sic- come dovevano passare ancora sei settimane prima che la cometa raggiungesse la sua minima distanza dal Sole, così gli astronomi prevedevano che si sarebbero manifestati curiosi fenomeni ; la realtà sorpassò la loro aspettativa. Strani cambiamenti di forma, di luminosità, divisioni della coda, curiosi inviluppi del nucleo e sviluppo enorme delle sue appendici accompagnarono que- sta cometa, che rimarrà tipica per la rapidità e grandiosità dei fenomeni presentati. Di simili, più o meno pronunziati, ne presentano tutte le comete, ricche più o meno di chioma o di ap- pendici caudali. La grande opera di Pmgre, quella più moderna di Cari, sono ricche di dettagli ed informazioni al riguardo. I fenomeni presentati dalle comete hanno per lungo tempo imbarazzato gli astronomi, nè ora possono dirsi interamente chiariti. Gli antichi non ebbero intorno alle comete idee molto esatte, ed è assai naturale, perchè ad essi sfuggivano tutte quelle che per essere viste richiedono l’impiego del cannocchiale. Forse i Caldei, a quanto espone Stobeo, ebbero idee giuste, non già i Greci nè Aristotile, la cui teoria servì per tanto tempo di base alle fantasticherie LE COMETE 145 ed alle mistificazioni degli astrologi. Anassa- gora, Democrito, Seneca s’accostarono a più ra- gionevoli concetti. In tempi a noi più vicini, c’imbattiamo nelle teorie di Cardano, cui forse assenti Galileo, di Koplero, di Descartes, di Hewelke, di Newton, di Hook, di Mairan, di Euler , di Whiston ed altri. Quelle più recenti e generalmente adottate furono svolte da Olbers, Bessel, Tyndall, Faye e Bredichin. Abbiamo già accennato al fatto che nel loro percorso prossimo al Sole, le comete provviste di coda la rivolgono sempro in direzione diame- tralmente opposta a quella nella quale si trova il Sole, coH'awicinarsi al quale la coda va svol- gendosi, ampliandosi, per poi rimpicciolirsi di nuovo man mano che la cometa se ne allontana. In talune comete poi fu avvertito che il nucleo iindava diminuendo di volume col diminuire della sua distanza dal Sole. Riflettendo alla natura tenue e sottile della sostanza che costituisce le comete, si potrebbe a prima vista crederò che la cometa volando con gran furia nello spazio, la coda fosse -pinta all'indietro, come la pioggia di scintille di un razzo. Questa sarebbe un’analogia vera- mente sbagliata, giacché la cometa non si muove, come il razzo , in un atmosfera che oppone re- sistenza al suo moto, ma in uno spazio quasi certamente vuoto, o per lo meno di resistenza quasi nulla, e quindi incapace di sospingere la coda in direzione opposta a quella del moto. L ingrandirsi poi della coda col l’approssimarsi Zakotti Bujcco, Istori « di mondi in 146 ISTORIE DI MONDI della cometa al Sole, non è un’ illusione ottica. Si è constatato che lo svilupparsi della coda si fa in proporzioni di molto maggiori a quelle che. data 1’esistenza permanente della coda, sarebbero conseguenza ottica della distanza diminuita. Si è quindi indotti a connettere la formazione delle code coll’accostarsi al Sole, e veniamo a trovarci in presenza di un enigma che trova ben scarso riscontro fra gli altri corpi del sistema solare. La cometa , come un tutto , non è dubbio, è attratta dal Sole, al pari di ogni altro corpo ce- leste ; ma non è men certo che una parto di essa, la coda, è respinta dal Sole medesimo. È impos- sibile il dire come ciò avvenga, ma i fatti os- servati suggerirono spiegazioni analoghe alla seguente. Nelle sostanze costituenti la cometa, e che la spettroscopia insegna essere essenzialmente car- bonio ed idrogeno, noi abbiamo uno o più ingre- dienti che danno origine alla coda. Man mano che la cometa si avvicina al Sole, e subisce l’effetto del crescente calore, questi ingredienti, dato pur che fossero solidi, si liquefanno ed indi si vaporizzano. Giova avvertire che moltissime comete, pas- sando pel loro perielio , sono ad una distanza dal Sole molto minore di quella che separa la nostra Terra dall’astro del giorno; cosi quelle di Donati e di Halley passarono discosto dal Sole a poco più della metà della distanza media della Terra dal Sole medesimo, mentre altre vi si av- vicinano assai di piii. LE COMETE 147 Tra le comete che più si accostarono al Sole è quella del 1843, che è forse la più mirabile apparsa in questo secolo. Il nucleo di questa bellissima cometa passò a circa centocinquanta- mila chilometri dalla superficie del Sole, e forse ha attraversata l’atmosfera d'idrogeno, che le corone negli eclissi solari hanno dimostrato esi- stere attorno al Sole. Essa il 28 febbraio 1843 era così lucente che fu vista di pieno giorno, a mezzodì, ed ha molto dato da studiare agli astro- nomi per la sua supposta identità con altre comete precedenti e posteriori. Il calore che su- birono la cometa del 1843 e quella di Halley, che di essa passò poco più lontano dal Sole, supera quanto si può supporre, ed è tale da fon- dere e volatilizzare le roccie, l’agata, il cristallo di rocca. Man mano poi che si allontanano dal Sole, le comete vanno ognora ricevendo meno calore e raffreddandosi. Quando raggiungono la regione della loro orbita, opposta al Sole, e che per mol- tissime è lontanissima da quest’astro, esse sono così prive di calore da subire i freddi più rigo- rosi, e vanno così soggette alle estreme vicende di temperatura. Durham ha espresso il parere che avuto riguardo alle continue e grandi va- riazioni di temperatura delle comete, producenti in esse, per esseri costituiti come gli uomini, una dimora assai inospitale, esso dovevano con molta probabilità servire di luogo di supplizio pei dannati. Intorno a sì delicata questione solo i teologi, che coi dannati hanno una tal quale 148 ISTORIE DI MONDI dimestichezza, sono competenti ; noi torniamo alla coda delle comete. Ciò non senza aver rammen- tato che astronomi come Fontanelle e Lambert s’occuparono della questione dell'abitabilità delle comete, allora considerate come corpi solidi. Lam- bert nelle sue famose Cosmologiche Briefe lasciò scritto quanto segue : “ Mi piace figurarmi quegli astri erranti, come popolati da astronomi, che sono là al prefisso scopo di contemplare la natura in grande, come noi la contempliamo solo in piccolo. Il loro mo- bile osservatorio, trasportato da un sole all altro, li fa passare successivamente per tutti i punti di vista, e li mette in grado di tutto vedere, di determinare la posizione ed il movimento di tutti questi astri, di misurare le orbite delle co- mete e dei pianeti che girano intorno ad essi, di sapere come le leggi particolari si risolvano in leggi generali, in breve, di conoscere il det- taglio e l’insieme „ . A parte la complicazione senza fine della scienza del cielo per tali astro- nomi, Lambert, se vivesse oggi, non scriverebbe più quello linee. Adunque le sostanze che compongono le co- mete, quando queste sono vicino al Sole, si va- porizzano. Ora sembra che tali sostanze, sebbene allo stato solido siano attratte naturalmente dal Sole, convertite poi in vapore estremamente ra- refatto, subiscano pel calore del Sole un’azione ripellente, che supera l’attrazione, e di conse- guenza spinge quei vapori in direzione opposta al Sole. Noi siamo cosi condotti a riguardare la LE COMETE 149 coda dello comete come una corrente di fumo o di vapore sfuggente, e di continuo rinnovata dall 'evaporazione di altro materiale, finche la cometa rimane abbastanza prossima al Sole. La coda non è per nulla trascinata in giro, quando la cometa si muove presso al perielio, perchè quella, sebbene materiale, non consta sempre delle medesime particelle di materia, ma di nuove che di continuo si sostituiscono a quelle sfuggite nello spazio. Circa la natura della forza ripulsiva, che è pure giocoforza ammettere per spiegare la for- mazione della coda, nulla si può dire di accer- tato, malgrado gli studi al riguardo di Olbers, J. Herschel, Bessel, Tyndall, Fayo, Zollner ed altri. Ci soffermeremo alquanto sulle ricerche dell astronomo russo Bredichin che, assieme ai suggerimenti del professore Osborne Keynolds, ne offrono la spiegazione del fenomeno almeno probabile, ed oggidì più accettabile ed accettata. Bredichin, seguendo un metodo rigorosamente scientifico, paragono fra di loro le misure di di- segni delle code di molte comete, e da questo esame preliminare ricavò che le foggie curvi- linee dei contorni degli schizzi potevano tutte comprendersi in tre tipi speciali. Nel primo tipo abbiamo le code rettilineo in direzione quasi diametralmente opposta al Sole. Appartengono a questo tipo la cometa di Ilalley, quella del 1744 per quanto concerne la sua coda principale, quello del 1811, del 1843 e del 1861. La cometa del 1811 ebbe una coda enorme e lasciò il nome al 150 ISTORIE DI MONDI vino che squisitissimo fu prodotto in quell’anno: quella del 1861, che fu magnifica, fu considerata in Italia ed altrove come presagio di prossimo ritorno di Francesco li Borbone, e della sua restaurazione sul trono delle Due Sicilie, o come presagio pure della morte di Pio Nono e della caduta del potere temporale ! ! ! Nella seconda classe si vedono code che pur stendendosi dalla parte opposta al Sole, sono in- curvate all’indietro in direzione contraria a quella del moto della cometa. La cometa di Donati, della quale già discorremmo, e quella di Coggia, che brillò nel 1874 durante la primavera e l’e- state, ne sono esempio. Nelle code del terzo tipo s’incontrano quelle ancora più rivolte dalla parte opposta a quella del moto dell’astro. Esse sono massiccie, a foggia di spazzola, fortemente in- curvate, e nelle grandi comete sembrano non ritrovarsi che assieme a tipi delle classi prece- denti. Si avverta che le code multiple, vale a dire code di tipi differenti emesse contempora- neamente, si vanno ognor più frequentemente constatando colla più rigorosa ed accurata osser- vazione. La cometa Cheseaux del 1744 mostrò ben sei code. Bredichin ha dimostrato vera l’ idea già invocata da Bessel ed Olbers per spiegare i fenomeni mostrati dalla cometa del 1807, e ohe Norton e ’Winnecke avovano applicato alla cometa di Donati, che cioè le code multiple sono composte di differenti sorta di materia, diversa- mente influenzate dal Sole. Egli trovò con deli- cate considerazioni che al primo tipo corrisponde LE COMETE 151 l’idrogeno, al secondo i carburi d’idrogeno, al terzo il ferro ed altre sostanze di un alto peso atomico. Le tre menzionate sorta di materia non sono però le tre sole che si suppongono esistere nelle comete. La teoria di Bredichin si diffuse rapidamente, e dall’epoca della sua pubblicazione (1879) fu con successo studiata sulle comete ap- parse dopo quell’anno. La forza più energica di repulsione, cono- sciuta sulla Terra, è l’elettricità, e naturalmente si congetturò che i fenomeni delle code delle comete potevano essere realmente dovuti alle condizioni elettriche della cometa e del Sole. Si può dimostrare che quando le sostanze cometiche sono evaporizzate dal calore solare, la ripulsione elettrica può eguagliare — ed anche eccedere d'assai — l’attrazione universale, e cosi pro- durre i fenomeni osservati. D’altra parte la ben nota connessione di quelle nubi dette cumuli coi temporali, e l’evidente loro formarsi per la precipitazione del vapore susseguente al freddo prodotto dall’espansione di colonne ascendenti d’aria calda ed umida, sembra lasciar ben poco dubbio, che nella nostra atmosfera la rapida condensazione del vapoi’e sia collegata con manifestazioni elettriche intense, siasi qualsivoglia poi la causa di cosiffatto le- game. Non è pertanto una supposizione forzata quella che la condensazione del vapore emanante dal nucleo di una cometa possa produrre un simile svolgimento di elettricità, e che il Sole sia assai 152 ISTORIE DI MONDI probabilmente un corpo permanentemente carico di elettricità. A questo punto la storia delle comete s’in- treccia con quella delle stelle cadenti; e l’una non si può finire senza incominciare quella delle altre. Narreremo questa altra volta, e con vivo compiacimento, perchè in essa rifulge di vera gloria il nome di un grande italiano, Giovanni Schiaparelli. LE STELLE CADENTI Mentre per l’or bile Irrequiete Vola Tincendio De le comete E gu noi piovono Orarsi frantomi Lucidi fumi. (Guido Mazzoni, Cielo stellato). I. Quale per li seren tranquilli e puri Discorre ad ora ad or subito foco. Movendo gli occhi che stavan sicuri. E pare stella che tramuti loco, Se non che dalla parte, onde s’accende, Nulla sen perde, ed es3o dura poco (1). In questi mirabili versi dell’Alighieri è de- scritto, quasi oserei dire fotografato, quel feno- meno che si presenta all’osservatore del cielo notturno, e che la moderna astronomia indica col nomo di stelle cadenti. I Francesi le dicono étoiles filante», gli Spagnuoli estrellas fugace s, gli Inglesi shooting stars (letteralmente stelle sparanti), i Te- deschi Sternschnuppe con brutto nome che vale (1) Dante, Paradiso, Canto XV. 154 ISTORIE DI MONDI smoccolatura di stelle, o con altro meno usato, ma più bello, Sternputze, che significa ornamento di stelle. Come ne insegnano i versi di Dante, questo fenomeno non è altro che un punto brillante che si stacca dal cielo, e che dopo aver percorso ra- pidamente il suo cammino apparente attraverso alle costellazioni, sparisce senza lasciar traccia. Il poeta ne avverte con ragione, che là donde il punto brillante dipartissi, non si scorge man- canza alcuna di stella che prima vi fosse. Il cammino apparente di questi punti risplendenti, che talvolta si lasciano dietro uno strascico lu- minoso, che in breve ora pure svanisce, è d’or- dinario un arco di cerchio massimo della sfera celeste, in qualche raro caso serpeggiante con bruschi cambiamenti di direzione, ed in qualche più rara eccezione rientrante in se stesso. Dante menziona ancora le stelle cadenti nel Canto quinto del Purgatorio: Vapori accesi non vid’io sì tosto Di prima notte mai fender sereno, N'e, sol calando, nuvole d’agosto. “ Senonchè „ , come scrive l’Àntonelli, “ ivi pare che specialmente riguardi le principali fra queste meteore, quelle cioè che lasciano luminosa traccia nel l’atmosfera „. Frezzi imitò, certo non migliorandole, quelle similitudini (1481): la fiamma corrente Pare una stella che tramuti loco (1). (1) Jl Quadrireyno, I, 13. LE STELLE CADENTI 155 Vapore acceso nel mese d’agosto Mai non trascorre il ciel tanto veloce (1). Nel verso: Nè, Sol calando, nuvole d’agosto, Dante accenna al fatto che nella prima quin- dicina d’agosto le notti sono particolarmente ricche di stelle cadenti; ma è curioso ch’egli menzioni particolarmente il tramonto, ora in cui certo se ne vedono poche o punte, giacché esse sono corpi piccoli e debolmente luminosi. Si pro- pose da taluno di leggere invece: Nè solca lampo nuvole d’agosto, ma pare che nessun codice si possa presentare a rincalzo di questa lezione (2). Se si potesse leggere Sol nascente, il poeta sarebbe nel vero in ogni cosa, giacché, come l’osservazione ha dimostrato, le meteore luminose abbondano al- quanto più dopo mezzanotte fin verso il levar del Sole. Il Tasso, alla strofa 20 del Canto ventesimo della Gerusalemme cosi canta delle stelle cadenti: Come talvolta estiva notte suole Scoter dal manto suo stella o baleno. (1) Il Quadriregno, IV, 14. (2) Borgognoni nel Fanfulla della Domenica, n. 3, II, 1380; Poleto, Commento della Divina Commedia, 1894; Costerno e Pasqualigo in II Baretti, periodico torinese, nn. 8 e 9, 1880. 156 ISTORIE DI MONDI Milton, nel suo Paradiso perduto , allude in due occasioni alle stelle cadenti. Nel descrivere la caduta di Mulciber dal cielo, egli dice: from morn To noon he fell from noon to dewy eve A summer’s day: and with thè setting sun Dropt from thè zenith like a falling star (1). 11 rapido volo dell’arcangelo Uriele dal Sole alla Terra è delineato come segue: Thither carne Uriel, gliding trough thè even On a sunbeam, swift as a shooting star In autumn thwarts thè night, when vapours fired Impresa thè air, and shows thè mariner From what point of his compass to beware Impetuous winds (2). ( 1 ) rovinò Da mane a nona, indi da nona a sera, Tutto un giorno di state, ed al tramonto Del sol precipitò, pari a cadente Lucida stella dal zenit spiccata. (2) Per l’aer che già s'imbruna, a una cadente Stella simile, che per l'ampia notte Scende d’autunno, allor che il ciel s'accende D'infiammati vapori, ed al nocchiero Mostra a qual punto della sua fedele Bussola i venti impetuosi eviti. (Versione di A. Bellati). Questi versi ricordano quelli di Omero: Quale una stella Che pertanto a nocchieri, o a numerose Schiero d’armati scintillante e chiara Invia talvolta di Saturno il figlio. ( Iliade , IV, 91, versione di V. Monti). LE STELLE CADENTI 157 Dello stendardo portato dal cherubino Azazel dice che: Shone like a meteor streaming to thè wind (1). Milton nei soprascritti versi riferisce la falsa credenza, viva ancora a’ suoi tempi, e che Teo- frasto, Arato e Bacone avevano confermata colla loro autorità, che cioè le stelle cadenti predi- cessero venti immediati soffianti da quella re- gione dalla quale esse sembrano dipartirsi: e che se esse provengono da rogioni varie e con- trarie, sono foriere di grandi tempeste, di venti e pioggia. Seneca lasciò scritto: Ventum signi- ficai stellarum discurrentium lapsus, et quidem ab ea parte qua erumpit. Byron menziona le stelle cadenti nella stu- penda e terribile incantazione del Manfredo : And thè meteor on thè grave When thè fallen stara are sliooting (2). Fa cenno poi delle comete al principio della 1 1 ì Che simile s’avanza a fiammeggiante Meteora. (Versione di A. Bellati). (2 ) Le tombe la meteora lambirà, Quando seintilleran gli astri cadenti. (Traduzione di De VinGn.ii). 158 ISTORIE DI MONDI scena iv dell’atto 11 del Manfredo medesimo nel- Ylnno degli Spiriti : The cornets heraltl trough thè orale I in» skies; And pianeta turn to ashes at his wrath fi). Anche Virgilio, nelle Georgiche , tocca di una simile credenza: Saepe etiani stellas, vento impendente, videbis Praecipites eoelo labi, noctisque per umbram Flammarum longos a tergo albesoere tractus. Virgilio scrive ancora : calo ceu saepe refixa Transcurrunt, crincmque volantia sidcra ducunt; ed Ovidio: Volvitur in praeceps, longoque per area tractu Fertur, ut interdum de coelo stella sereno Etsi non cecidit, potuit ceeidisse videri (2). Nei tempi moderni si volle ancora far rivivere una indiretta influenza delle stelle cadenti sulle vicende atmosferiche della temperatura, special- mente su taluni abbassamenti di essa, che si (1) Nunzie dei passi suoi fra i balenanti Cieli son le comete, e l'ira sua In cenere risolve i globi erranti. (Traduzione di De Viroilii). (2) È strano che il Leopardi, nel suo Saggio sugli er - rori popolari degli antichi, dopo aver citato altri versi di Teocrito, Lucano, Stazio, oltre a quelli riportati nel testo, rimproveri agli antichi di aver creduto che le stelle potessero cadere, mentre essi manifestamente allu- devano al reale fenomeno delle stelle cadenti. Ut STELLE CADENTI 159 verificano nella prima quindicina di febbraio e di maggio. Si volle da taluni con Erman, St-Claire Do ville, Folio, che certi sciami di stelle cadenti, passando fra la 1 erra e il Sole, intercettassero una parte di calore cosi da produrre un raffred- damento dell’atmosfera ben avvertibile, oltreché dagl’istrumenti, da uomini, animali e piante. Vi sono epoche dell’anno nelle quali si osser- vano più numerose le stelle cadenti; fra queste si segnalano por frequenza i giorni 12, 13, 14 novembre e 10, 11, 12 agosto. Su queste così dotte pioggie periodiche di stelle dovremo intrat- tenerci a lungo più innanzi, per ora acconten- tiamoci di dire che fu calcolato che gli sciami che le producono passano fra noi ed il Solo ri- spettivamente l’ll maggio ed il 7 febbraio. Ora avviene che verso l’il di maggio, e quasi pre- cisamente nei giorni 10, 11, 12, 13, si verifica in Europa al nord delle Alpi un abbassamento di temperatura notevolissimo e ben accertato. Per ciò quei giorni nei quali ricorrono i santi Manici to, 1 ancrazio, Servadio e Bonifazio, ven- gono chiamati i Santi di ghiaccio (Eisheiligen) od anche i gestrengene Herren (rigidi signori) ed in Francia les trois Saints de giace. In Italia non hanno quei giorni denominazioni caratteristiche, forse perchè il freddo in essi non fu mai avver- tito, come pare conformino alcune moderne in- dagini. In maggio un ritorno al freddo riesce dannosissimo alla vegetazione, e nella vitifera valle del Reno, ove esso è tanto temuto, quei santi detti Eismanner (uomini di ghiaccio) por- 160 ISTORIE DI MONDI tano il poco lusinghiero nomignolo di Weìmer- derber (distruttori della vite). Federico II non ci credeva: egli aveva una stupenda raccolta di agrumi nel suo castello di Sans-soucji, e per non aver dato retta al suo giardiniere, che di quei Santi conosceva bene la funesta influenza, la perdette. Ora i Santi di ghiaccio sono spiegati bene colle leggi generali dei movimenti dell’atmo- sfera, ed è provato che le stelle cadenti nulla hanno a che fare con essi. Circa l’anomalia di febbraio, non bene accertata, si giungerà certo ad una analoga conclusione. Le stelle cadenti si presentano tutte le notti in discreto numero, numero però che varia fino a divenire grandissimo e tale da costituire una vera pioggia di fuoco, il ritornar della quale ad epoche fisse costituì fino ad una quarantina d’anni fa un serio problema astronomico. La soluzione di esso è dovuta a G. V. Schiaparelli; egli, di- mostrando la connessione delle stelle cadenti colle comete, le assoggettò alle leggi della meccanica celeste, alle quali, per molto tempo, si era dubi- tato ubbidissero. Le più antiche osservazioni che si posseggono sulle stelle cadenti sono le chinesi. Gli osservatori del Celeste Impero hanno con- servato e tramandato nei loro annali descrizioni di questi fenomeni, notando l’epoca nella quale succedevano. Da quegli annali si potè ricavare la periodicità di taluna di quelle apparizioni. Le raccolte chinesi cominciano coll’anno 687 dell'èra volgare e si continuano anch’oggi dagli astro- nomi della Corte di Pekino, i quali compongono LE STELLE CADENTI 161 il famoso tribunale di matematiche che, a vigi- lare sulle sorti dell’Impero, mantiene costante- mente due de’ suoi membri ad investigare se nulla di ostile si presenta in cielo. Queste os- servazioni chinesi, che furono raccolte da Biot, giungono fino al 1647; le posteriori non sono ancora pubblicate, vietando un uso antichissimo della China di rendere pubblici gli annali di una dinastia prima ch’essa sia estinta o decaduta dal trono. Ben scarsa notizia ci offre, per contro l’antichità greca e romana sulle apparizioni di stelle cadenti, ed a mala pena, dalle descrizioni di prodigi che leggonsi in Livio ed in Giulio Obsequente, si può dubitare che si tratti di esse. Le cronache del medio evo e gli scritti arabi sono pieni di accenni e di descrizioni di pioggie di stelle, o parecchi eruditi astronomi ricavarono da essi copiosi cataloghi di apparizioni meteo- riche. Nè, come si può pensare, andavano questi fenomeni straordinari scompagnati da pregiudizi degli uomini, che anzi venivano riputati tristi presagi di sventure o di flagelli. Una tradizione antica degli oracoli sibillini, conservata dal Cri- stianesimo, portava che doveva la fine del inondo essere accompagnata dalla caduta delle stello. A ciò accenna uno storico di Bisanzio, narrando come nell’inverno dal 762 al 763, essendo l’anno ventosi moterzo del regno di Costantino Copre- mmo, il mar Nero gelasse tutto, e soggiunge: “ Nel marzo successivo apparvero nel cielo ca- dere le stelle, e tutti che le videro credettero giunta la consumazione dei secoli Zaxoto Busco, Istorie di mondi. ,, 162 ISTORIE RI MONDI Nei tempi andati, in Europa, le stelle cadenti si ritenevano essere le anime dei morti, il cui lìlo d’esistenza veniva tagliato dal destino. Gli Arabi pensavano invece che esse fossero pietre fiammeggianti lanciate dagli angeli sul capo ai diavoli, quando questi s’accostavano troppo al cielo. Il Corano riproduce e consacra, in certa maniera, questa opinione che si trova sparsa in tutto le regioni sottoposte all’influenza dell’isla- mismo. Più grossolano credenze troviamo presso i popoli selvaggi. Gli Indiani dell’Orenoco vedono in quelle fugaci apparizioni l’orina delle stelle, mentre la rugiada proviene dalle goccio della loro saliva: gli Uti del gran bacino dell’America settentrionale ne fanno le deiezioni degli Dei. Vige tuttodì in Galizia una poetica leggenda che vuole risieda in ogni stella cadente un folletto: se la stella cade a terra, il folletto si trasforma in donna di rara bellezza, cho appellasi Letaicitza, con lunghi capelli biondi e scintillanti. La bella creatura esercita su tutti che la guardano un fascino magico; nella notte poi, quando tutto tace, li abbraccia, li abbraccia ancora, finche li soffoca nei suoi amplessi. Una certa forinola mormorata al momento in cui la stella s’accende scongiura il pericolo. Così ancora oggidì fra noi si va dicendo, che se si esprime un desiderio tra raccendersi e lo spegnersi d’una stella cadente, il desiderio sarà soddisfatto. Pur quante volte dal torrazzo al mare, seguendo coll’occhio tuo di gazzella il cammino celeste di quei lucenti fuochi, implorasti, dolce Evelina, pace! LE STELLE CADENTI 163 pace! Invano, invano, poi che è fatale che ovunque, sempre, sia degli uomini crudel retaggio il pianto. Porgi a’ miei detti ascolto: Questo servaggio non finisce mai. Non morrai non morrai, nè poserai Poco nè molto. Morir posar t’è tolto: Eternamente con vece infinita, Di forma in forma e d’una in altra vita, Andrai travolto (1). II. Si è già accennato di volo al fatto che il nu- mero delle stelle cadenti che si noverano in certe notti dell’anno è assai maggiore che non nelle altre; tali sono ad esempio le notti del 10 agosto e del 14 novembre in particolar modo. L’appa- rizione del mese d’agosto dura parecchi giorni ed ha il suo massimo verso il 10, quella di no- vembre verso il mattino del 14. Giovanni Pascoli ha nelle sue Myricae una mirabile poesia inti- tolata X agosto, nella quale la prima e l’ultima strofa accennano alle stelle cadenti d’agosto: San Lorenzo, io lo so perchè tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade, perchè sì gran pianto nel concavo cielo sfavilla. E tu, Cielo da l'alto dei mondi sereno, infinito, immortale, oh! d'un pianto di stelle lo inondi questo atomo opaco del male. (1) Ahtitbo Gbaf, Ascolta. 164 ISTORIE DI MONDI Questi massimi si osservano tutti gli anni, ma la intensità stessa del fenomeno a quelle date è soggetta ad una certa periodicità. Il più ri- marchevole fra i ritorni di pioggie di stelle è quello di novembre, e per esso i calcoli del pro- fessor Newton danno con molta certezza un mas- simo ogni trentatrè anni e un quarto: l'ultimo di tali massimi fu osservato nel 1866, il pros- simo era dunque da aspettarsi per la fine del 1899. La pioggia di novembre è accompagnata nel suo percorso celeste da una piccola cometa, sco- perta in Italia da un astronomo tedesco, Tempel, undici mesi avanti la corrispondente pioggia di stelle cadenti (13-14 novembre 1866). Quando la cometa venne l’ultima volta nelle vicinanze del Sole, passò a circa quindici milioni di chi- lometri di distanza da noi. Un famoso profeta del tempo (Welter Prophet), Rodolfo Falb, ha annunziato che il 13 no- vembre 1899, fra le 2 e le 5 del mattino (igno- rasi di qual tempo), la Terra si sarebbe urtata colla cometa di Tempel, e ne sarebbe andata distrutta. Falb aggiunse con avvedutezza che se quell’urto non avesse a succedere, e non successe, noi avremmo assistito quella mattina ad una pioggia di stello cadenti cosi fitta, come finora non si vide mai, e nulla si vide. Abbiamo già svolto altra volta quanto riguarda l’insussistenza del pericolo di una collisione fra una cometa e la Terra, ma giova tornarvi sopra perchè il con- cetto ha più tenaci radici, clic non meriti. Inter- pellato da un giornalista tedesco sulla probabi- LE STELLE CADENTI 165 litìi dell 'avverarsi della profezia di Falb, il nostro Schiaparelli rispose colla seguente lettera: Milano, 31 dicembre 1893. Forse il sig. Falb avrà qualche documento a me sco- nosciuto, sul quale avrà appoggiato la sua predizione: quello che a me risulta è quanto segue. Per mezzo di diligenti calcoli sono state determinate con molta accuratezza dagli astronomi la forma e la posizione della curva che la cometa del 1866 descrive nelle regioni più vicine al Sole, e quindi anche quella parte di essa curva che più si avvicina all'orbita della Terra. Se quindi si conoscesse esattamente anche il (etnpo in cui la cometa (che deve ritornare nel 1899) urriverà ad un dato punto della curva anzidetto, sarebbe certamente possibile determinare se la cometa incon- trerà la Terra, e dato che rincontro avvenga, determi- nare con qualche approssimazione le circostanze di tale incontro. Ma il tempo in cui la cometa arriverà a un dato punto della sua orbita, non si può conoscere esattamente in questo caso particolare : per la semplice ragione che non si conosce ancora esattamente la durata della sua rivoluzione intorno al Sole: si sa soltanto che tale du- rata è di trentatrè anni ed alcuni mesi. L’ incertezza residua in questo caso ammonta a molti giorni, forse ad un mese intero. Io non vedo come il signor Falb abbia potuto superare questa difficoltà. Dato pure che l’orbita della cometa tocchi quella della Terra in un punto che chiameremo il nodo , è manifesto che i due corpi potranno urtarsi solo a patto di arri- vare al nodo nel medesimo momento. Un solo giorno di ritardo da parte della cometa o della Terra basterà a far sì che i due astri non s’incontrino più. Ora, poiché non conosciamo esattamente l’epoca nella quale la co- meta arriverà al nodo (e le incertezze importano, come 166 ISTORIE DI MONDI si è detto, giorni e settimane), come è possibile affer- mare che i due corpi s’incontreranno nell'anno 1899? Si può aspettare che in quell’anno la Terra s’immerga nella corrente meteorica che, come sappiamo, accompagna quella cometa. Questa corrente è realmente assai lunga e rincontro può avvenire in un punto o in un altro di essa. La serie di corpuscoli che costituisce la corrente, impiega molti mesi a passare pel nodo successivamente con tutte le sue parti ; tale passaggio sembra durare molti mesi e anche più d’un anno. Arrivando dunque la Terra, al nodo, è, se non certo, almeno probabile, che essa incontri qualche punto della corrente medesima. Ma 1 incontro della Terra con la cometa propriamente detta fe tutt’altra questione. Se nell’anno 1899 la cometa sarà osservata con molta diligenza, gli astronomi po- tranno determinare con maggiore esattezza la durata della sua rivoluzione intorno al Sole. Durante le succes- sive apparizioni della cometa si potrà calcolare questo tempo con precisione sempre crescente ed in seguito a ciò giungere a stabilire la possibilità di un incontro con la Terra. Attualmente ciò non si può , a mio giudìzio almeno coi documenti che sono a mia conoscenza. Suo dev.mo G. ScHIAPABELLI. Anche gli astronomi Weiss di Vienna, e Forster di Boriino, espressero circa la profezia di Falb opinioni che concordano con quelle manifestate nella lettera teste trascritta, ritenendo assai poco probabile, se non improbabilissimo, rincontro della Terra con la cometa di Tempel, come già fu dimostrato e provato dai fatti. Per 1 apparizione d’agosto pare si abbia una fase di massimo ogni cento o centodieci anni. Vi sono però anche molte altre epoche dell’anno LE STELLE CADENTI 167 nelle quali il numero delle stelle cadenti è per un attento osservatore alquanto maggioro che non nelle altre. UAnnuaire du bureau des lon- gitudes ne dà ogni anno un completo elenco, al pari doU’insuperato almanacco inglese di Witaker, ed, in proporzioni troppo ridotte, del nostro Al- manacco italiano. In ogni pioggia di stelle si constata che tutte le loro traiettorie (il percorso) divergono da uno stesso punto del cielo o almeno da una plaga ristretta di esso, verso tutte le direzioni : questa plaga, che dicesi radiante, segue la sfera celeste nel suo moto diurno. I sovraindicati elenchi di pioggie di stelle contengono anche i dati di po- sizione di questi radianti fra le stelle. L’esistenza del punto radiante è un effetto di prospettiva. I filari d’alberi che fiancheggiano un lungo viale sembrano divergere da un medesimo punto, così è dei limiti di una lunga strada diritta. In un tunnel i filari di pietra delle pareti appaiono pure divergere da un punto medesimo, le linee della vòlta sembrano salire, quelle del suolo discendere, ed i fianchi scostarsi orizzon- talmente verso la destra e la sinistra, di guisa che se essi fossero percorsi da proiettili lumi- nosi, si crederebbe questi provenire dal punto di vista prospettico e diramare in tutti i sensi. E così che si spiega il fenomeno del punto radiante delle stelle cadenti: ma è un effetto complesso, proveniente e dai movimenti della Terra e da quello dei corpuscoli. Un viaggiatore che si trovi in un carrozzone 168 ISTORIE DI MONDI di ferrovia fermo vede cadere verticalmente le goccio di pioggia; se il treno s’incammina le goccio gli sembrano cadere obliquamente; cosi egli vede passarsi davanti gli oggetti immobili che incontra man mano, ed essi gli sembrano muoversi venendo dal punto verso il quale invece cammina egli stesso. Così quel viaggiatore guar- dando lo nubi che camminano in un altro senso, attribuisce loro una direzione di movimento che non hanno, e che risulta dalla combinazione della loro velocità e della sua; e se egli stesse fermo vedrebbe quelle nubi muoversi divergendo dal loro punto prospettico di vista o punto ra- diante. Se il punto radiante di una pioggia di stelle stesse fermo, mentre la Terra cammina sulla sua orbita, esso sarebbe nella costellazione versola quale si dirige la Terra in quel momento; ora ciò non succede, il punto dal quale sembrano dipartire le stelle cadenti è un altro, quindi la pioggia, lo sciame di stelle che la produce, cammina. Il radiante si trova per le meteore del 10 agosto fra le costellazioni di Perseo e Cassiopea, esse sono dette Perseidi ; e poiché il 10 agosto ri- corre la festa di san Lorenzo, quelle meteore sono anche chiamate Lacrime di san Lorenzo, che, poveretto, morì, come si sa, arrostito sopra una graticola rovente. Per le meteore di novembre il radiante si trova nella costellazione del Leone, donde il nome di Leoneidi che vien dato loro. LE STELLE CADESTI 169 Schiaparelli stima il numero dei radianti del cielo intiero di circa 1500; il Kleiber, dalle os- servazioni, ne aveva nel 1884 dato un elenco di 1490 osservati in 26.049 giorni. Nel 1889 l’astro- nomo inglese F. Denning, instancabile osserva- tore di stelle cadenti, tracciò le orbito apparenti di 9177 stelle cadenti, e ne dedusse 1’esistenza di 918 centri di emanazione o punti radianti. Questo astronomo inglese sostiene che di ben 3000 sia il numero dei punti radianti osservati; ma molti di essi non sono determinati che da troppo poche osservazioni. Nell’emisfero celeste australe, pochissimi sono i radianti noti, dedotti da Heis dalle osservazioni di Neumayer. L’esistenza di un radiante che partecipa al moto diurno della sfera celeste, assieme al ri- torno ad epoche fisse, ci vieta assolutamente ogni teoria che cercasse di attribuire il fenomeno a causa siedente nell’atmosfera terrestre, assieme al ritorno ad epoche fisse, constatato oramai per quasi tutti i punti radianti ben determinati e più spiccati e conspicui, come era venuto in capo di fare ad astronomi di tempi antichi, ed anche moderni, non troppo curanti della realtà e delle osservazioni. Le stelle cadenti non sono visibili negli spazi planetari o lunari, e non si accendono che nelle regioni più elevate dell’atmosfera, ad altezze che variano fra un massimo di 200 ed un minimo di o0 chilometri. Le velocità loro sono comprese fra 70 e 16 chilometri al minuto secondo: le meteore di novembre sono assai più rapide di 170 ISTORIE DI MONDI quelle d’agosto. La sostanza onde si compongono le stelle cadenti è compatta e solida, ed il loro peso in generale non eccede frazioni di gromma, solo in qualche raro caso potendo salire a quello di alcuni grammi. Questi risultati che si enun- ciano cosi facilmente e brevemente sono il ri- sultato di lunghe e numerose osservazioni e di calcoli complicati e minuti. Per la resistenza che l'aria oppone al moto rapidissimo di quei cor- puscoli, s’ ingenera calore tale da produrre il loro infiammarsi: la qual combustione vuol quindi ri- tenersi come origine della luce che le meteore ci mostrano. A codesta luce fu applicato il po- tente mezzo dell'analisi spettrale: essa mostrò nelle stelle cadenti la presenza del sodio, del magnesio e del ferro. Le meteore d’agosto diversificano in colore da quelle di novembre, ed in questa, come in tutte le apparizioni dell’anno, si vedono stelle di varia grandezza e tinta, dipendenti dalla predominanza in ciascuna di una piuttosto che di un’altra sostanza. in. Le pioggie di stelle, lo vedemmo, sono pro- dotte da sciami di corpuscoli che si muovono nello spazio. Ora, siccome le dette pioggie si ripetono, con maggiore o minore intensità, ogni anno all’epoca medesima, vale a dire quando la Terra si trova nel punto stesso della sua orbita, così bisogna che in quel tempo ed in quel luogo LE STELLE CADENTI 171 si trovino sempre nuovi corpuscoli. Ciò non si può spiegare che ammettendo che nello spazio esistano correnti lunghissime di simili corpuscoli, che intersecano in vari punti l’orbita terrestre, producendo così le varie pioggie meteoriche del- l'anno. Esso saranno più o meno abbondanti a seconda della maggiore o minore ricchezza in corpuscoli delle varie correnti nei loro vari punti. E siccome ogni notte, e da tutte le direzioni, cadono stelle, così si conchiude che lo spazio interplanetario è percorso in ogni senso da cotali correnti di corpuscoli cosmici. E poiché il feno- meno delle stelle cadenti si è sempre osservato, accade oggi come molti secoli fa, e poiché la Terra segue il Sole nel suo movimento por lo spazio stellato, così se ne deduce che la medesima cosa avviene per tutte le regioni dello spazio attraversate fino ai giorni nostri dal sistoma solare. Ossia, per meglio dire, che quelle correnti ap- partengono al sistema solare e lo seguono nel suo movimento attraverso alle costellazioni; non escludendo la supposizione che anche nello spazio esistano innumerevoli corpuscoli erranti. Ognuna delle innumerevoli particelle costituenti ciascuna di quelle correnti, è come un minuscolo pianeta ; attratta dal Sole essa descrive attorno ad esso un’orbita ellittica, e lo segue nel suo immenso percorso nello spazio celeste, ed il cor- puscolo che la precede e quelli che la seguono tanno altrettanto. Così quegli ammassi cosmici sono correnti, fiumi di particelle materiali, eter- namente trascinati nello spazio come tutti gli 172 ISTORIE DI MONDI astri e soggetti alle leggi medesime. Cosi siamo giunti ad una conclusione certa e mirabile. Bi- sogna immaginare nello spazio che circonda l’astro del giorno, fino all’estremo limite del sistema solare, tracciate innumerevoli strade, fra loro intersecantisi e non, come tanto piste ellittiche di campi di corsa, sulle quali circolano in perpetua processione le particelle cosmiche delle diverse correnti, perseguitandosi senza rag- giungersi mai; accelerando il loro andare al perielio, rallentandolo all’afelio, e dando contezza di loro esistenza, bruciando nella nostra atmo- sfera, quando l’attrazione della Terra ve le conduce. Come cadono sulla Terra quei corpuscoli co- smici in numero enorme, così ne cadono su tutti gli altri pianeti, sui loro satelliti, sulla Luna, sul Sole. Un osservatore che guardi il cielo con libero orizzonte vede nelle notti ordinarie da 15 a 20 stelle cadenti in un’ora : ciò ben inteso per quelle che si scorgono ad occhio nudo. Se si potesse os- servare con un cannocchiale che ingrandisse solo sessanta volte, se no vedrebbero duecento ses- santa volte di più, e facendo la somma por tutto l’anno e per tutta la Terra, si arriva al totale rispettabile di circa sessanta miliardi. Tn con- fronto delle dimensioni del sistema solare la Terra è una piccolissima particella; si può quindi giudicare della liberalità colla quale furono se- minati nello spazio quei corpuscoli cosmici. A queste stelle cadenti periodiche e non (spo- LE STELLE CADENTI 173 radiche) conviene aggiungere quelle pietre che tratto tratto cadono dal cielo sulla Terra e che son dette bolidi od areoliti. Così la nostra Terra è, al pari di tutti gli altri corpi del sistema solare, continuamente bombardata da una pioggia incessante di corpi grandi e piccoli. È evidente che il suo volume e la sua massa ne sono accresciuti. Fu calcolato (Scluvedof) che, da venti secoli, l’aumento di massa accennato è affatto insignificante, e non può por nulla avere influito sulla durata della rotazione terrestre attorno al proprio asse. Lo stato attuale della scienza non permette di sapere se l’urto delle stelle cadenti e dei bolidi abbia avuto sui moti terrestri qualche influenza. Nell’ipotesi però che il fenomeno delle stelle cadenti sia sempre durato con uguale intensità-, non è assurdo il pensare, che nei milioni d’anni, di sua vita cosmica, la massa terrestre, non siasi per esso notevolmente accresciuta. L'ipotesi però della costante intensità del fe- nomeno, non è ammissibile, e per un dato sciame è invece quasi certo che essa fu altravolta gene- ralmonlc più cospicua, e che va facendosi minore col tempo. Ciò pur tenendo conto di una diva- rietà di densità sulla lunghezza della corrente, che può produrre casualmente pioggie più ab- bondanti o più scarse. È perciò importantissima la costante e continua numerazione delle stelle cadenti, essa sola c’insegnerà, col tempo, se il fenomeno vada realmente perdendo di ricchezza e con qual legge. 174 ISTORIE DI MONDI Quando una stella cadente brucia nell’aria, gli avanzi della combustione rimangono nell’aria ed il pulviscolo atmosferico ne porta non dubbie traccie. IV. Ma dal cielo cadono talvolta delle vere pietre di dimensioni non piccole. Diciamo poche cose, le essenziali, intorno a queste; ritorneremo poi alle comete, dalle quali ci siamo allontanati assai meno di quanto possa sembrare al cortese lettore, che ebbe la pazienza di seguirci fin qui. La Bibbia menziona in modo un po’ confuso delle pietre cadute dal cielo nel capo X, verso 11 del libro di Giosuè: E mentre fuggivano dinnanzi a Israele, ed erano sulla scesa di Bethoron, il Signore gittò sopra di loro dal cielo delle pietre grosse, iniìno ad Azeca; onde essi mo- rirono. Più furono quelli che furono morti dalle pietre della gragnuola, che quelli che i figliuoli d’Israele ucci- sero con la spada. Anassagora nel quinto secolo prima di Cristo riconosceva già alle pietre che cadono dal cielo un’origine non terrestre. Mentre Lalande nel 1792 scriveva ancora delle stelle cadenti: L’athmosphbre est toujours chargée d’exhalaisons, de vapeurs, de nuages aqueux ou de feux électriques ; de là naissent une multitude de mótéores, et surtout ces foux que l’on prend quelquefois pour des étoiles tom- bantes, mais qui ne sont que des exhalaisons légères, dont la lumière ne dure qu’un instanti quand elles sont près de nous, ce sont des globes de feu qui paraissent étonnants ! LE STELLE CADENTI 175 Plutarco parlando di un aerolite caduto nel- l’anno 461 a. C. dice che questi globi vengono dall’ interno del nostro globo, opinione tenuta da Plinio. È curioso l’avvertire a questo riguardo che molti geologi ritengono che quella specie di pietre celesti, dette areoliti, perchè più partico- larmente pietrose, rappresentano fra i materiali cosmici roccie equivalenti a quelle della super- ficie terrestre, mentre quelle chiamate ferri me- teorici, perchè contengono in abbondanza il ferro sempre associato al nichel, rappresentano gli ele- menti che prevalgono nell’interno del nostro pianeta. Questo modo di vedere, pare confermato e dal valore della densità media della Terra, e dai fenomeni del magnetismo terrestre. Più curioso ancora è che un astronomo di altissimo valore, Robert Stawel Ball, ritiene come molto probabile l’origine terrestre di talune specie di pietre celesti. Questa opinione era già stata emessa dal sommo matematico Lagrange e di re- cente ripresa e sostenuta da Tisserand, insigne astronomo francese; ma questi studi erano più teorici che altro. Le pietre che cadono dal cielo, o meteoriti, secondo Ball, le cui idee furono se- guite dall’acutissimo Procter, sarebbero state erut- tate da vulcani terrestri in tempo in cui l’atti- vità vulcanica del nostro mondo piccioletto era enormemente più grande di quanto ron sia pre- sentemente. Queste masse, lanciate con una forza enorme, avrebbero attraversato l’atmosfera vin- cendone la resistenza, sarebbero sfuggite all’at- trazione terrestre e avrebbero assunto un moto 176 ISTORIE DI MONDI ellittico attorno al Sole (talune forse moventisi in orbite iperboliche si sarebbero dipartite per sempre anche da questo), passando ogni voli a per- ii punto dell’orbita terrestre dal quale si dipar- tirono. E sarebbe in questi passaggi che esse sarebbero riprese, in date occorrenze, dalla Terra. Così sarebbero riconfermate le vedute di Anas- sagora e Plinio fatte rivivere nei tempi moderni da Tschermak. Fu discusso ed esaminato se gli areoliti non potessero provenire da altri pianeti, e si trovò ciò poco probabile. Laplace e Poisson emisero l’idea che quelle pietre celesti avessero potuto essere eruttate da antichi vulcani lunari : Plana fece vedere che se ciò non è impossibile, è per lo meno molto improbabile. L’opinione che gli areoliti potessero provenire dalla Lima, fu per la prima volta emessa da un fisico italiano, Paolo Maria Terzago, che nel 1664 scriveva: “ Ni dicere velimus, Lunam Terram alteram, sive mundum esse, ex cuius montibus divisa frusta in inferiorom nostrum hunc orbem delabantur „. Tale concetto fu ripreso da Olbers nel 1795, e, come avverte Schulhof, non è del tutto ab- bandonato oggidì. Stanislao Meunier vuole che i meteoriti siano frantumi di un corpo notevole simile alla Terra, avente vere epoche geologiche, e che questo corpo si sia spezzato in frammenti, sotto l’azione di cause non esattamente accertabili, ma che ve- diamo in azione in altri corpi celesti. Egli vede negli asteroidi e nella costituzione della Terra, LE STELLE CADENTI 177 della Luna e degli altri pianeti indizi in appoggio delle suo idee, elio concludono ad un frantumarsi dei corpi del sistema solare. Altro che l’Italia in pillole, s’avrebbo il mondo in pillole! Se veri sono i pensamenti di Ball, la Terra viene riacquistando quanto perdette nel passato, e poiché quasi sicuramente ora e pel futuro non perderà neppure una particella della materia onde consta, cosi la sua massa andrà continuamente, sebbene lentissimamente, aumentando. Fino a quando? Riedono forse quei ferrei macigni alla natal lor Terra, peregrini dello spazio tornano a posare ove nacquero, in fondo al mare, sulla faccia del nostro orbo o nelle vetrine d’un museo. Ma più non tornan fra noi gli adorati estinti, e il bel tempo non torna della fiorente vigorosa gioventù ! Nei terreni antichi della crosta terrestre furono ritrovati degli areoliti, detti perciò fossili. Basti qui il rammentare Resistenza di questi fossili, ed il rammentare che i più antichi incontrati fin qui sono le tre pietre del terreno carbonifero del Laucashire, descritto da Binney nel 1851. Sulla vera origine dei meteoriti, l’ultima parola non è detta, e molto mistero avvolge ancora la loro provenienza. Oltre ai grandi meteoriti, la polvere che pro- viene dalle stelle cadenti devo piovere inavvertita sulla Terra. L’evidenza di ciò è preponderante. La neve incontaminata e vergine dello regioni polari fu spesso trovata macchiata con traccie di pulviscolo che contiene particelle di ferro. Zahc/tti Biakco. Istorie di mondi 12 178 ISTORIE DI MONDI Simili particelle si trovano sui campanili delle chiese e sotto molto varie circostanze. E corta- mente fra i minuti corpuscoli che danzano nel raggio di Sole che attraversa la camera buia, v’hanno particelle di stelle cadenti. Le sabbie dei deserti dell’Àfrica esaminate al microscopio pre- sentano traccio di piccolissime particelle di ferro, che mostrano di aver subita un’elevata tem- peratura. Negli scandagli che la nave inglese Challenger fece nell’Atlantico durante il suo mai sempre me- morabile viaggio, furono estratti dal fondo del mare masse di fango, contenenti frammenti di ferro magnetico, che si ha ogni ragiono per cre- dere caduti dal cielo. Forse che quei ferri pietrosi, quel magnetico pulviscolo hanno detto al mare il segreto di loro peregrinazioni, e il mistero ad esso hanno raccontato dello spazio donde proven- gono? Forse che hanno detto al muggento im- passibile maro se anche lassù si odia e si ama, si soffre e si spera? Io, signor, non avrei pari in dottrina Se potessi saper quel che sa il mare (1). Pochi anni or sono, nel 1887, furono trovati dei piccoli diamanti nelle pietre meteoriche, nel 1892 si rinvennero diamanti in un ferro me- teorico raccolto nell’ Arizona, ciò confermò l’af- fermazione di Meydenbauer che nei inoteoriti in genere si possono presentare diamanti. Meyden- (1) Ami: no Guai-, Affogata. LE STELLE CADENTI 179 bauer nel 1875 emise l’idea che i diamanti fos- sero di origine cosmica, e che si siano originati nelle più remote epoche della Terra, od anche cadati dal cielo come meteoriti. Il chimico inglese Ramsay ha di recente constatato in un meteorite la presenza dell’argon, corpo da lui scoperto pochi anni sono, e dell’elio, altro corpo che la spettro- scopia ci insegnò esistere nel Sole e che fino a poco tempo fa non orasi riscontrato sulla Terra, ove lo fu, non è guari, in taluni minerali ra- rissimi. L’esistenza negli areoliti di corpi entranti nella composizione chimica dei corpi organizzati ha dato luogo a curiose ipotesi sulla origine della vita. W. Thomson (ora Lord Kelvin) e 0. Richter hanno visto negli areoliti i disseminatori dei germi della vita nell’universo e sulla Terra. Se questa assai fantasiosa ipotesi fosse vera, il culto e l’adorazione tributati anche oggi da molti popoli del mondo agli areoliti sarebbero non del tutto assurdi, e di essi gli areoliti fu- rono la prima causa. 11 mistero della loro origine e provenienza, che si può dire giustamente celeste, fece sorgere senza fallo i più strani pensieri nei primi testimoni di queste cadute straordinarie. Non erano forse degli Dei che venivano cosi sulla Terra? Kntsiou, che significa areolita, era il Dio degli Aramoi delTHaouran. I Fenici chia- mavano queste pietre beith-el che in loro lingua significava dimora di Dio e si è di là, dicesi, che i Greci hanno dedotto la parola belile pietra sacra. Gli areoliti erano depositati negli edilizi consa- ISTORIE DI MONDI 180 orati al culto. Forse si adorava un areolito nella pietra Melkarth, l’Èrcole di Tiro, nel grande e splendido tempio di quella famosa città. Erodiano dice che la pietra del tempio del Sole in Siria era di certo caduta dal cielo. La descrizione di quella che rappresentava il dio Marte, a Petra in Arabia, s'attaglierebbe mirabilmente pel colore, che era nero, ad una pietra celeste. Per i dia- manti contenuti nei meteoriti ed il culto di questi sono molto istruttivi due lavori dovuti rispet- tivamente a Crookes (1) ed al prof. Hubert R. Newton (2). Fra le cose preziose che Verre esportò dalla Sicilia era la pietra che rappresentava Cerere, nel tempio di questa dea a Catania. Una vene- razione particolarissima tributavasi a questo og- getto sacro, perchè la tradizione voleva che fosse un giorno caduto dal cielo. Lo scudo di Numa Pompilio e la spada di Antar in Mongolia erano fatti con pietre metalliche cadute dal cielo. La pietra nera della Kaaba alla tomba di Maometto alla Mecca, oggetto di tanto sacro rispetto, è un areolito. Ma il curioso si è che l’uso di depo- sitare gli areoliti nei santuari si è mantenuto attraverso i tempi, malgrado tutti i cambiamenti d’abitudini e di religione. Il celebre meteorite caduto davanti a Massi- miliano I nel 1492 ad Ensisheim in Alsazia, fu collocato nella chiesa del villaggio. La pietra (lj Naturi; (Inglese), 1897. 1,2) Nature (Inglese), agosto 1897. LE STELLE CADENTI 181 rimase in quella chiesa per tre secoli, fino a che durante la Rivoluzione francese fu trasportata a Colmar, e se ne ruppero dei pezzi, uno dei quali fu trasportato al British Museum in Londra. Fortunatamente quoU’interessante oggetto è stato riportato nella chiesa di Ensisheim, dove è una vera curiosità pel visitatore. Alcuni autori rac- contano, che Far eoi ito caduto a Vago (?) il 19 giugno 1688, fu legato con una catena in una chiesa di Verona. Avverto che l’accuratissimo Baedeker non fa cenno di tale curiosità. Assai probabilmente esso è uno dei pezzi di meteoriti caduti in quel di Verona, comune di Caldiero, alla detta data, giacche è a sapersi che talvolta i meteoriti cadono in forma di frammenti, o, come dicevano gli antichi, che ne menzionano parecchi, di pioggia di pietre. I bolidi, quei grossi globi luminosi elio solcano talvolta il cielo, con uno strascico grande e lucente, scoppiando possono originare di tali pioggie. Oggidì i meteoriti non si depositano più nelle chiese, ma nelle collezioni e nei musei di mine- ralogia, ove se ne ammirano di quelli del peso di molti miriagrammi. Il dott. Brezina ha dato di recente un catalogo dei principali. 11 17 maggio 1791, presso Castelnuovo Berar- denga noi Senese, avvenne una pioggia di sassi, la cui storia fu scritta dal monaco naturalista Ambrogio Soldano. B prof. Bombicci compilò nel 1875 un elenco di 34 cadute di areoliti ve- rificatesi in Italia, i cui musei ne posseggono ricche ed interessanti raccolte. 182 ISTOBIE DI MONDI Aleardi si giovò dei bolidi ed areoliti con una geniale trovata nei versi seguenti: Ad una fanciulla. Ti vidi, Olga, brillar ne la divina Integrità de le virginee forme: Ma venne il dì de la fatai rapina Che amore ardisce sul pudor che dorme. Vidi un bolido splendere una sera Bello che innamorava ogni pupilla; Quando il raccolsi, era una cosa nera Tinta di ferro, e sordida d’argilla. V. AH’appariro di una stella cadente in cielo, al luccicar di quell'astro fuggente, al suo rapido svanire, la mente si domanda che sia, doude venga, ove sia diretta, e perchè in quella piuttosto che in altra direzione si ratta cammini. Per rispon- dere a queste domande furono immaginate molte teorie; la più recente di esse è dovuta a GLV. Scliia- parelli; nello stato attuale della scienza, essa sembra spiegar meglio di tutte le altre i fatti osservati. Dalla più remota antichità, e quasi sino ai tempi moderni, le stelle cadenti vennero consi- derate come un fenomeno dell’atmosfera terrestre. Solo Diogene da Apollonia fa eccezione. Egli af- ferma che esistono delle stelle invisibili che s’in- fiammano e si spengono, cadendo sulla Terra ; come l’enorme pietra la cui caduta, osservata ad LE STELLE CADENTI 183 Egos Potamos, quasi nell’anno (469 a. C.) della nascita di Scorato, destò in tutta la Grecia me- raviglia grandissima. Diogene Laerzio e Plinio attribuiscono ad Anassagora da Clazomene l'opi- nione che fa venire dal Sole la pietra di Egos Potamos: secondo quegli autori, Anassagora avrebbe predetto la caduta di quell'areolito. Keplero voleva che le stello cadenti fossero esalazioni terrestri condensate nell’atmosfera; infiammandosi, esse traversano l'aria in linea retta; talune vi si consumano, altre trascinate dal peso, cadono sulla Terra. Keplero, come altri dell’antichità, confondeva colle comete i grandi bolidi che lasciano uno strascico considerevole, simili a code di comete e che restano visibili talvolta per più di una mezz’ora. Cosi, ad esempio, Cardano paragona ad una cometa il gran bolide del 4 settembre 1511 che aveva prodotto la ca- duta di 1200 pietre. Secondo la testimonianza di Von Zach, molti astronomi diedero il nome di cometa terrestre allo splendido bolide che at- traversò l’Europa nel 1783. Hevelius, Hallis, Maskclyne, Pringle, Rittenhouse, Wallis, attri- buivano ai globi di fuoco un’origine cosmica. Ma- il più notevole progresso all’astronomia delle meteore fu apportato da Chladni, cho Delaunay chiamò il Copernico di questo ramo della scienza del cielo. Egli dimostrò rigorosamente la con- nessione degli areoliti coi bolidi, e di questi colle stelle cadenti, affermando già un loro probabile legame colle comete. Si fu per eccitamento di Chladni che Brandes e Benzenborg nel 1798 si 184 ISTORIE DI MONDI accinsero ad osservazioni che ebbero per risul- tato la conoscenza dell’altezza alla quale s’accen- dono le stelle cadenti ; poco per volta e per mezzo della teoria e dell’osservazione si pervenne anche a quella della loro velocità. 1 lavori di Brandes e Benzenberg trovarono poco favore presso gli astronomi, e neppure valse ad attrarre la loro attenzione sulle stelle cadenti la splendida pioggia di stelle osservata da Hum- boldt e Bompland a Cumana nell’America meri- dionale, che fu visibile da si gran tratto della Terra. Ma le descrizioni che di quel fenomeno avevano dato Humboldt ed Ellicot furono richia- mate alla memoria degli astronomi da una simile • ed ancora più magnifica pioggia di stelle avvenuta nella notte dal 12 al 13 novembre 1833. In essa, secondo gli apprezzamenti di qualche osservatore, il numero totale di meteore viste in un sol luogo doveva sorpassare le 200.000. I bolidi, dei quali alcuni paragonabili alla luna piena, erano nume- rosissimi. La coincidenza della data delle due pioggia del 1799 e del 1833 fu avvertita da tutti, nonché il ritardo d’un giorno fra le due appa- rizioni. A spiegare queste si voleva da taluno che la Terra nel suo moto intorno al Sole incon- trasse, nei giorni corrispondenti alle pioggie os- servate, ammassi di materia celeste molto rara: ammassi che altri voleva fissi, altri circolanti attorno al Sole a guisa dei pianeti. La prima ipotesi fu ben presto riconosciuta insostenibile. Più pro- babile invece apparve l’opinione emessa da Olm- stod che quegli ammassi percorressero un’orbita LE STELLE CADESTI 185 propria intorno al Sole, in guisa che l’orbita della Terra la intersecasse in un punto. La Terra e rammasso di materia cosmica ritornando contem- poraneamente a quel punto, avrebbero dato luogo, incontrandosi, alla pioggia meteorica, od Olmsted sosteneva, non altra essere stata la causa della splendida pioggia di cadenti del 1833. Ma neanche l’ipotesi di Olmsted resse lungamente alla prova dei fatti e del calcolo. La pioggia del 12 no- vembre si verificò per parecchi anni con inten- sità decrescente; ciò assieme alla scoperta del periodo annuale di molte pioggie meteoriche, richiedendo, entro un anno, il ritorno non solo della Terra, ma dell’ammasso altresi ad un me- desimo punto, portava ad una ipotesi poco pro- babile. Costringeva cioè ad ammettere per ogni pioggia un ammasso variamente denso nella sua estensione, rivolgentesi intorno al Sole nel pe- riodo di un anno, od in un periodo esattamente submultiplo di un anno. Contro l’ipotesi di Olmsted sorgeva, argomento inespugnabile, l’enorme va- stità che era giocoforza attribuire a quegli am- massi di materia cosmica, per render conto, data la velocità di traslazione della Terra, della du- rata delle apparizioni. Nè, dato il numero delle meteore osservate, meno forte era il fatto della rarità che pur si doveva accettare dei corpuscoli nell’ammasso, rarità che sotto l’influenza della gravitazione non avrebbe permesso a quell’as- sieme di corpuscoli di durare, lasciandolo andar disperso sotto l’influenza dell’attrazione degli altri corpi celesti. 186 ISTORIE DI MONDI Sbandite così le ipotesi di ammassi cosmici fissi o circolanti intorno al Sole, si venne poco per volta a supporre, che la sostanza cosmica si trovasse distribuita lungo tutta l’orbita percorsa dalle meteore in modo da formare un anello con- tinuo circolante attorno al Sole, a guisa di cor- rente che ritorna in se medesima. Questa teoria, che rendendo ben conto del fenomeno prospet- tivo d’ irradiazione da un punto e di quello della periodicità annuale di una stessa pioggia, non costringeva ad ipotesi restrittive nella durata delle rivoluzioni, cominciò, circa il 1839, a farsi strada fra i dotti, ed in tale anno il professore Erman di Berlino pubblicò su tale argomento una celebre Memoria. In essa tentò di sottoporre al calcolo l’ipotesi degli anelli, ma mancandogli la cognizione esatta della velocità, colla quale le meteore cadono sulla Terra, non potè giungere ad alcun pratico risultamento, e solo servì il suo lavoro ad indicare una via, battendo la quale era possibile il giungere a cognizioni più esatte di quelle che fino allora si orano acquistate. Nel 1863 il professore americano Newton di Newhaven riuscì a stabilire con molta probabilità che le orbite delle cadenti non sono prossima- mente circolari, come quelle dei pianeti, ma che esse si avvicinano a quelle delle comete. Appli- cando la sua teoria alla pioggia del novembre 1833, potè annunziare, con una certezza quasi assoluta, il ritorno del fenomeno per la notte dal 13 al 14 novembre 1866: la sua predizione si verificò rigo- rosamente. Fu così data una prima prova assai LE STELLE CADENTI 187 convincente dell'analogia, forse intraveduta da Cardano, Keplero ed llalloy, e quasi affermata da Cliladni e Kirkwood, fra le comete e le ca- denti. Investigazioni istituite poco dopo quelle di Newton, ed indipendentemente da esse, da Schia- parelli, lo condussero ad un identico, anzi più categorico risultato. Fondandosi su di esso, ed appoggiato ancora alle ipotesi cosmogoniche di Kant, Laplace ed Herschel, e tenendo conto delle divinazioni, come egli le chiama, di Kirkwood, riuscì a stabilire in modo indiscutibile quanto segue. Le orbite descritte dalle stelle meteoriche nello spazio sono analoghe, per natura, forma e disposizione, alle orbite delle comete: la velocità assoluta delle meteore quando percuotono l’atmosfera della Terra h general- mente assai prossima alla velocità che corrisponde al moto parabolico intorno al Sole, e sta alla velocità della Terra nella sua orbita, nella proporzione di 141 a 100: certe comete sono associate a certe pioggie meteoriche in modo da descrivere con esse nello spazio orbite iden- tiche : ed infine molto probabilmente le meteore sono il prodotto della dispersione della materia cometica. La dispersione di cui si tratta si fa lungo For- bita della cometa e non in altra direzione: giova aver ciò ben presente per non confondere la for- mazione delle correnti meteoriche collo sviluppo della coda delle comete. La scoperta di questi fatti notabili ha cangiato la faccia della scienza delle meteore e per la prima volta l’ha posta su v<.-re e solide basi. Spetta quindi intiero a Giovanni Schiaparelli 188 ISTORIE DI MOXDI il merito di avere scoperta e dimostrata la vera teoria delle stelle cadenti, che la scienza accetta oggigiorno e che non appena enunciata ebbe ampia conferma dalla cometa di Tempel del 1866, che accompagna le meteore di novembre e dal cal- colo che trovò compagna alla pioggia del 10 agosto la splendida cometa del 1862. Altre comete si riscontrarono nei cataloghi, che appartengono ad altri sistemi di cadenti. 1 nomi dei sommi astro- nomi Adams (inglese) e Le Verrier (francese) sono legati con molto lustro a queste ricerche. Weis, Galle, Denning ed altri trovarono per altre pioggia meteoriche, compagne altre comete. No- tevolissima però fra queste è la relazione della cometa di Biela, notata fin dal 1867 da D’Arrest e da Weis, con certe meteore anteriormente os- servato e che fu splendidamente comprovata ed illustrata dalle meravigliose pioggie di fuoco del 27 novembre 1872 e 1885. Secondo il signor Denning, che si è molto oc- cupato di questo argomento, sarebbero rigorosa- mente provati quattro soli casi di connessione di cadenti con comete. Quelli delle meteore di aprile, agosto, 13-14 novembre e 27 novembre, che dalle costellazioni nelle quali si trovano i loro radianti, sono denominate rispettivamente: Li- reidi , Perseidi , Leoneidi ed Andromedeidi. Secondo Schiaparelli , le correnti meteoriche sono il prodotto della dissoluzione delle comete, e constano di minutissime particelle che certe comete hanno abbandonato lungo la loro orbita in causa della forza disgregante che il Sole ed i LE STELLE CADENTI 189 pianeti esercitano sulla materia di cui sono com- poste. Ora la disgregazione dal cui effetto diciamo derivare le correnti meteoriche, deve intendersi così, che alcune porzioni della materia della co- meta vengono a poco a poco allontanate dal centro principale dell’astro e sottratte alla sua influenza attrattiva. Nel principio, per le leggi della mec- canica, si formerà come una nube di corpuscoli viaggianti insieme a piccole distanze; come sa- rebbe uno sciame d'insetti. Poi questa nube si verrà poco per volta allungando, e le sue parti si distenderanno progressivamente lungo l’orbita da essi descritta, tinche, dopo un numero molto grande di rivoluzioni, la nube si sarà trasfor- mata in un anello ellittico completo: e l’anello si formerà quando le parti più veloci della nube abbiano guadagnato sulle meno veloci una rivo- luzione intera. A spiegare l’accennata risoluzione di una cometa in stelle meteoriche, Schiaparelli suppone concorrano e la tendenza che hanno le comete, a cagion della grande rarità della loro materia, a comporsi in una struttura granulare, ed i grandiosi sconvolgimenti che su di esse pro- duce il loro avvicinamento al Solo od a qualche pianeta del sistema solare. Questi tre fenomeni possono verosimilmente bastare a sottrarre le particelle all’ influsso attrattivo del nucleo prin- cipale della cometa e renderle così indipendenti da quello. Avvenuto una volta questo distacco, la formazione di una corrente meteorica lungo l'orbita è, come dicemmo, conseguenza inevitabile e pura questione di tempo. 190 ISTORIE 01 MONDI Se, nel suo moto di traslazione, la Terra viene ad incontrare la specie di processione di corpuscoli così originata, essa l'attraverserà incontrandone un certo numero. Dalla densità dei corpuscoli nel luogo d’incontro dipende la ricchezza dell'ap- parizione, ossia il numero delle cadenti che si osserveranno. Dalla lunghezza della nube dipende poi il ripetersi annuo della pioggia, che sarà pro- dotta nello stesso punto dell'orbita terrestre da corpuscoli differenti. Se la nube si è già allun- gata lungo tutto il percorso di un’orbita chiusa intorno al Sole, avremo il ritorno annuo ad epoche fisse di corte pioggie. In questo modo sarà facile il rendersi ragione dei ritorni annui delle appa- rizioni di stelle, delle interruzioni di talune di esse, e del loro ripetersi dopo un determinato numero di anni secondo che la corrente è con- tinua sull'orbita o lungo essa più o meno estesa, e nei diversi suoi punti egualmente o variamente fornita di corpuscoli. In appoggio di queste spe- culazioni geometriche stanno le osservazioni, da talune delle quali risulta in modo evidente che le comete hanno, anche nella parte loro che ap- pare più densa, una struttura granulare, ed una tendenza a risolversi, sotto l’aziono dei raggi solari, in un gran numero di corpuscoli minutis- simi. L’esempio più manifesto è quello della co- meta di Biela, già menzionata, che in sullo scorcio dell’anno 1845 fu vista divisa in due parti, il nucleo di una delle quali apparve più volte diviso in varii altri minori. Anche gli storici antichi menzionano comete che si divisero, ed altre LE STELLE CADENTI 191 se ne osservarono dopo il 1845, ed il professore Schiaparelli ebbe la rara fortuna di poter assi- stere ad un tale fenomeno, osservando la sera del 25 agosto 1862 la grande cometa di quel- l’anno che accompagna le Perseidi. La teoria di Schiaparelli, colle modificazioni apportatevi da Weiss, rende conto del fenomeno delle stelle cadenti nei suoi tratti generali; ma essa incontra delle grandi difficoltà quando si tratta di spiegare i numerosi fatti rivelati dallo studio minuto dei diversi sciami di cadenti, delle loro radiazioni e della loro distribuzione (1). Talune di esse si possono forse chiarire colle perturbazioni esercitate dai vari pianeti. A spie- gare la fissità di certi punti radianti Niessl mise avanti l’ipotesi che sciami di corpuscoli di dimen- sioni trasversali considerevolissime ci giungano dagli spazi stellari, con velocità iperboliche. Bredikhine , valorosissimo astronomo russo, vede l'origine delle stelle cadenti nelle code ano- male delle comete. Le code anomale, rivolte verso il Sole, sono costituite da corpuscoli relativa- mente troppo pesanti e troppo grossi, per poter essere trascinati dalla forza ripulsiva del Sole nella direzione delle code normali. Questi cor- puscoli, in un dato istanto, hanno ricevuto una impulsione, una spinta verso il Sole, costituendo così una specie di eruzione dalla cometa verso il Sole, che poi genererebbe certi sciami di ca- li) Schllhof, Sur les étoìles filantes, in Bulletìn Astro • nomìque, 1894, pag. 406. 192 ISTORIE DI MONDI denti. Alla spinta enorme verso il Sole, che l’ ipo- tesi di Brodikhine suppone data ai corpuscoli, Schulhof preferisce addirittura la supposizione dell’esplosione di una grande cometa, i cui innu- merevoli frantumi vengano lanciati in tutte le direzioni. Che che l'avvenire sia per rivelare agli uomini intorno alle stelle cadenti, che, nolle loro varie manifestazioni, presentano ancora molti problemi insoluti, la connessione loro incontestabile colle comete rimarrà gloria italiana purissima dovuta al genio di G. V. Schiaparelli. VI. Circa la connessione fra le stelle cadenti ed i meteoriti, la scienza, già lo dicemmo, non ha ancora pronunziato l’ultima parola. Abbiamo già accennato all'ipotesi di Ball, sulla loro origine terrestre, ed a quella di Meunier; altri li vogliono far derivare dagli spazi stellati, così che essi sarebbero i messaggeri dipartitisi da regioni enor- memente lontane, forse di mondi distrutti, che volano per quegli oscuri abissi. Schiaparelli stesso non ha potuto giungere intorno a questo argo- mento ad alcun risultato definitivo. È curioso avvertire che gli areoliti hanno una distribuzione apparento affatto diversa da quella delle stelle cadenti: essi all’opposto di queste sono, secondo Greg o Haidinger, più frequenti nella sera che nel mattino. Gli areoliti, più frequentemente, hanno orbite fortemente iperboliche, e nelle grandi LE STELLE CADENTI 193 pioggie di stelle cadenti non sono più numerosi che nelle altre epoche dell’anno. A qualche cosa di più probabile si è giunti orca l’origine delle comete. Laplace voleva che le comete fossero corpi er- ranti per lo spazio stellato, e visitatrici di più nuovi mondi vagassero da stella a stella, vaga- bonde del firmamento, e penetranti nel sistema solare per incontri fortuiti. Ma Gauss e Schia- parelli provarono separatamente che questi corpi si muovono naturalmente in ellissi prodigiosa- mente allungato, e che la forma iperbolica delle loro orbite, nei casi estremamente rari nei quali esiste, è prodotta dalle perturbazioni dei pianeti. Così stando le cose, ne segue, come osserva Forster, che lo stato delle comete prima di subire l'attrazione del Sole era quello di riposo relativo. In altre parole, esse partecipavano al movimento di traslazione del Sole nello spazio, verso un punto della costellazione della Lira. Questo modo di ve- dere era stato, su altro basi, indicato da ricerche intraprese, indipendentemente, da Carrington e Mohn nel 1860, in certe loro ricerche, per ac- certare un’affermata relazione fra la giacitura delle orbite delle comete e la direzione del moto del Sole nello spazio. Herbert Spencer ( Westminster Review, luglio 1858) ha creduto provare, e non è, che molte più comete si avvicinano a noi dalla direzione dei poli dell’eclittica, che non da quelle giacenti nel piano di essa, il che accenna ad una connes- sione col nostro sistema solare. Egli pensa che Zajjotti Biakco, Istorie di mondi 13 194 ISTORIE DI MONDI le comete siano come fiocchi lasciati indietro nel contrarsi e restringersi dall’immensa nebulosa che Kant e Laplace ammettono all’origine pri- missima del sistema solare. I progressi dell’astro- nomia cometaria non confermano queste vedute del sommo filosofo inglese. Cosi può dirsi della teoria di Faye, che l’americano Winchell ha cosi giustamente analizzato. Pare accertato che le comete non hanno appartenuto alla nebulosa che Ita originato il sistema solare. Le comete formano fra le stelle fisse e gli altri corpi estraplauetari un sistema distinto di cui tutti i membri accom- pagnano il Sole nel suo moto attraverso lo spazio stellato. Forse altri corpi oltre il Sole ed i pia- neti fanno parte di questo sistema. Talora le vi- cende dol moto portano le comete nella sfera d’attrazione del Sole, dalla quale per la massima parte sou fuori, ed allora imprendono a descri- vere attorno ad esso un’orbita allungata, a quel modo che loro impone la legge della gravitazione universale. In taluni casi, sotto speciali circo- stanze, si frantumano, si disfanno, si risolvono in corpuscoli minuti, ed incontrando la Terra, vi producono le pioggia di stelle cadenti che noi osserviamo, a quella maniera che vide ed insegnò la mente acutissima di Giovanni Schiaparelli. Le comete hanno forse coesistito, a distanze enormi, colla nebulosa di Laplace, ma come in- teramente straniere al nostro sistema, così che non ebbero parte alcuna nel lunghissimo proce- dimento di evoluzione, che condusse al suo stato presente. Esse sono forse gli ultimi avanzi di un LI3 STELLE CADENTI 195 remotissimo ed appena concepibile stato di cose, dominante quando il caos dal quale il Sole ed i pianeti dovevano, per un supremo e fatale editto, emergere, non aveva neppure ancora principiato ad essere. Oh ! scruta intorno gli ignorati abissi : Più ti va lungi l’occhio del pensiero, Più presso viene quello che tu fissi : Ombra e mistero (1). Huxley lasciò scritte le linee seguenti: Le migliori civiltà moderne mi sembrano essere la manifestazione di uno stato dell’umanità senza ideale degno del nome, e che non ha neppure il merito della stabilità. Se non nutriamo la speranza di un migliora- mento reale nella condizione della massima parte della famiglia umana; se veramente l’aecreseimento delle con- gnizioni, e l’impero poi più grande sulla natura che ne è la conseguenza ; e infine se la ricchezza che deriva da questo servaggio della natura, non debbono diminuire l’intensità e l’estensione della miseria e della degrada- zione fisica e morale, che è il risultato della infelicità delle masse, io non esito a dire che saluterei come la sola fine desiderata, la venuta di qualche cometa, impie- tosita che spazzi via ogni cosa nello spazio. Ma “ quella speranza di un miglioramento reale nella condizione della massima parte della fa- miglia umana», non fallace, non debole, ma salda e sicura brilla qual lucida stella davanti agli occhi dei forti e dei pietosi, sta conforto e sti- li) Pascoli, Sapienza. 196 ISTORIE DI MONDI molo nell'animo dei valorosi e buoni, ed il poeta canta : Ma pur, mentre un destin cieco ti guida, Se in mezzo all’ombre ondo il tuo ciel s’annera Alcuna luce inaspettata arrida; Io, soprastando a quest’empia bufera D'ingiurie atroci e d’angosciate strida, T'esorterò: Leva la fronte e spera! (1) (1) Gb*s, Sonetto fraterno. LA FINE DEL MONDO"’ Signori, Io voglio e debbo anzitutto ringraziare il mio giovane amico e vostro egregio presidente, dot- tore Efisio Gillio Tos, e la vostra esimia dire- zione per avermi cortesemente invitato a tener una conferenza in questa vostra geniale e sim- patica Associazione Universitaria. E li ringrazio sentitamente e per l’onore fattomi, e per il vivo piacere procuratomi, giacche per me, ormai dopo il tramonto, è una sensazione profondamente gradita il trovarmi in mezzo ai giovani ed in- trattenermi seco loro di quelle dottrine cui si dedicarono le ore migliori della vita. Conoscen- domi però troppo impari alla difficile incombenza, non mi sarei forse deciso ad accettare il tanto (1) Conferenza tenuta all’ Associazione Universitaria Torinese la sera di sabato, 25 aprile 1896, da Ottavio Za notti Bianco. Alcuni brani di questa conferenza sono tolti da precedenti lavori dell'autore. 198 ISTORIE DI MONDI lusinghiero invito se non avessi saputo, per ormai lunga esperienza che buoni e cortesi tanto sono i giovani studenti, con chi loro vuol sin- ceramente bene e vivamente s’interessa, e bene- volmente indulgenti con chi di cuore dà quel pochissimo che ha. Pensando io poi che doveva parlare a voi, giovani egregi, che per la breve età siete chia- mati a convertire l’incerto domani nell’oggi vivente; a voi che quasi veggenti tendete nel- l’avvenire lo sguardo fisso a più ampi e sereni orizzonti, parvemi non fosse disdicevole, nè po- tesse tornarvi di soverchio discaro l'udire discorso del destino futuro di questa terra sulla quale siamo chiamati a compiere nostra mortai carriera. E scelsi, colla scorta della scienza, seco voi li- brarmi pei secoli non ancora nati, e dirvi della fine del mondo. Dal dì che la prima volò ala del tempo guar- dano le dorate stelle indifferenti, dall’alto cielo, dell’orbo terrestre il rotear perpetuo e delle genti umane le scarse gioie e l’infinito pianto. Veggono sul pianeta nostro, ove più ad odiar che ad amar s’impara, passar nazioni e popoli, crollar templi e città, regni ed imperi cader, sorgerne altri, ed in assidua vece un incessante battagliar della vita e della morte. E via per l’etra in fuga, veggon la Terra al Sole avvinta dall’infrangibile catena della forza, volar colle sfere sorelle per non bat- tuto smisurato calle. E l’uomo ignora ove la sfre- nata corsa la adduca, e a quale meta tenda il Sole e il suo corteo di mondi e quale destin li LA FINE DEL MONDO 199 attenda. Un velo impenetrabile ricopro dell’u- mana stirpe e della Terra il destino futuro. Il pensiero di conoscenza avido e di sapere tenta squarciarlo. Invano, perchè l’origine prima ed il fine ultimo delle cose non ci saranno svelati mai. Invano ma non senza qualche profitto, che negli audaci tentativi la scienza procede e nuovi veri conquista. Nelle isole dell’Oceano Pacifico, bene spesso al sorgere ed al tramontare, il Sole si mostra circondato da un enorme ventaglio di raggi che squarciando regolarmente le nubi si dipartono simmetrici dal disco lucente dell’astro del giorno. Una strana leggenda che ha corso alle isole Hervey, alquanto a oriente delle isole Fiji, cosi spiega quella splendida aureola di raggi diver- genti. Hanu era il grande eroe del Pacifico, ed aveva non solo scoperto il segreto del fuoco ad uso dei mortali, ma aveva innalzato il cielo sopra la terra. Il Sole, però, aveva il cattivo vezzo di tra- montare ogni tanto, cosi che era impossibile di condurre a termine una qualsiasi faccenda, o cuo- cere il pane, o recitare un’incantazione agli Dei, senza esserne impediti dall’oscurità. Ora Ra, ossia il Sole, è una vivente creatura divina, ras- somigliante agli uomini, ma dotato di potente energia, e che mattina e sera mostra a questi ammirati la sua chioma dorata. Hanu decise di catturare il Sole, malgrado i savi consigli di Ta- linga, che faceva avvertito il suo figliolo, di non immischiarsi negli affari di Ra, avendo già altri 200 ISTORIE DI MONDI nei tempi andati tentato invano di regolare i suoi movimenti. Manu intrecciò sei grosse e lunghe e salde funi, e munito di esse, s'avviò alla lontana aper- tura, attraversando la quale il Sole esce da Avaiki, la terra dei fantasmi, e s’arrampica su pel cielo, ed ivi pose un nodo scorsojo. Più lontano sul cammino del Sole, ne collocò un secondo, ed in tutto sulla strada di consueto tenuta dal Sole stesso, ne pose sei ad eguali intervalli. Di buon mattino il Sole, di nulla sospettando, s’incamminò per la sua solita celeste passeggiata. Hanu era appiattato presso al primo nodo, che strinse di buona volontà; ma esso scivolò lungo il corpo del Sole, e si fermò intorno ai piedi. Cosi avvenne che il secondo fu trattenuto alle ginocchia, il terzo alle anche, il quarto alla cin- tura, il quinto sotto le braccia. TI Sole procedeva malgrado ciò, appena badando ai lacci di Hanu, che però fu venturato tanto da far che il sesto nodo si stringesse fortemente al collo del divin Ra. Hanu, vistolo così ridotto all’impotenza, lo picchiò di santa ragione, e malgrado la più ener- gica resistenza legò un capo della fune ad ima roccia, e si fece promettere da Ra che da allora in poi avrebbe camminato più adagio così da per- mettere agli uomini di attendere con comodo alle loro faccende. Hanu fu pregato di togliere le corde dal corpo di Ra, ma saviamente vi si rifiutò, ed esse si vedono ancora attorno al Sole al sorgere ed al tramontare. Forse il Sole ha col suo fuoco bruciato le cordo LA FISE DEL MONDO 201 di Hanu, o qualche pietosa Dea le tagliò, giacche pur mantenendo la sua promessa di camminare adagino e regolarmente, ha intrapreso un lun- ghissimo viaggio in regioni affatto ignote. L’astro- nomia moderna ha ormai posto fuori di dubbio che il Sole seguito da tutti i pianeti e i satelliti, e da talune comete, cammina verso un punto che è situato nella costellazione della Lira. È nota, ad un dipresso, la posizione di quol punto, non la sua distanza, la velocità del movimento, ma si ignora affatto se il moto sia rettilineo o curvilineo: vale a dire si ignora se il Sole cada verso un lontanissimo corpo attraente, o se, il che è più probabile, descriva attorno a qualche sconosciuto astro centrale, un’orbita immensa. Poiché lo spazio è popolato da innumerevoli astri luminosi e spenti, non sarebbe possibile, che nel suo cammino il Sole venisse ad urtare con uno di essi, e che nel cozzo immane andasse in fiamme ed a pezzi tutto il sistema solare? Ed ancora, il Sole non essendo che una delle tante stelle, onde è cosparso il firmamento, è possibile l'urto di due stelle, e con esso la distruzione di cia- scuna e la formazione di un unico corpo nuovo ? Croll ha sostenuto che in un tale urto sta la origine della grande nebulosa che Laplace ha posto al principio primissimo della formazione del sistema solare. Un cosiffatto incontro fra due corpi cosmici, infatti, non è cosa assolutamente impossibile, ma la probabilità che osso si veri- fichi è molto piccola. Bisognerebbe, perchè lo scontro diretto si verificasse, che quando essi 202 ISTOBIE DI MONDI sono ancora ad una grande distanza, esistesse una concordanza, assai difficile ad ammettersi, nelle direzioni e nelle velocità dei loro movi- menti. Una piccola deviazione da una comune dire- zione di movimento, farà sì che uno dei corpi descriva presso all’altro un’orbita (ellittica, pa- rabolica od iperbolica a seconda della rispettiva velocità) e ne passi ad una breve distanza. William Thomson (dal 1891 pari d’Inghilterra col titolo di Lord Kelvin), che ha esaminato tutti i casi di un simile incontro, è giunto alla se- guente curiosa conclusione: “ La pura probabilità di collisione fra due vicini di un gran numero di corpi, mutuamente attraentisi e largamente sparsi nello spazio, è molto più grande se i corpi sono tutti dati in riposo, che se fossero dati animati da movimenti in qualunque direzione e con velocità notevoli in confronto di quelle che acquisterebbero ca- dendo da riposo fino ad urtarsi Si noti però che, dati i corpi in riposo, distribuiti a varie distanze, tale stato non durerebbe neppure un minuto secondo. Ma variamente attraentisi , a seconda delle masse e delle lontananze, i corpi si metteranno in movimento, ubbidienti alla legge della gravitazione universale, nel quale stato la probabilità di un urto diretto è, come si disse, assai debole. Non è però a tacersi che alcuni valenti astro- nomi credettero spiegare coll’urto o colla com- penetrazione di masse vaganti pel firmamento i LA FINE DEL MONDO 203 fenomeni presentati dalla stella nuova scoperta in sul cadere del 1891 nella costellazione del- l’Auriga. In generale però l’urto diretto di due grandi masse cosmiche è ritenuto coinè assai poco probabile, e poco temibile quindi la distru- zione del sistema solare per tale cagione. Ma se non l’ incontro di due grandi masse, è possibile quello di due masse piccole, come ad esempio della Terra e di una cometa? Le stelle cadenti ed i bolidi ci attestano col fatto, che quotidianamente la Terra incontra, senza danno di sorta, innumerevoli corpuscoli celesti. Cosa accadrebbe dato il caso d’uno scontro con una cometa? Questi astri colla coda, ed anche senza, furono per lungo tempo riguardati come forieri di tristi avvenimenti, e di generali cala- mità: pesti, guerre, morti di re, imperatori e papi, d’uomini insigni, pari a sibille che disciolto il crine profetino terrori. Le comete sono astri di massa piccola assai, di mal nota costituzione, e soggette nelle loro svariate e talora repentine trasformazioni a forze intorno alle quali quasi completa è la nostra ignoranza. L’astronomia però ha oggidì provato in modo indiscutibilo che stoltezza e follia era, e nuH’altro, la credenza nell’influenza delle co- mete sugli eventi terrestri. Il telescopio ci attesta la presenza, quasi co- stante, nelle regioni accessibili ai nostri stru- menti. di comete, e certo molte ne sfuggono alla nostra osservazione. Questo semplice fatto atterra tutte le insulse opinioni del passato, che connet- 204 ISTORIE DI SIONDI tevano il mostrarsi delle comete coi grandi e sinistri avvenimenti comuni. A questo riguardo è curiosa un'opinione del grande storico tedesco Niebhur, che cioè le grandi catastrofi e gli insoliti fenomeni naturali come fatti — in qualsiasi modo poi noi vogliamo interpretarli — furono, in modo rimarchevole, sincroni con grandi fatti della storia dell’umanità. Demolite quelle strane paure, poiché i pre- giudizi!, come le male erbe vivaci, allignano nel terreno dell’ignoranza, rimase sempre la preoc- cupazione per l’influenza fisica delle comete e prima fra tutte quella di un incontro di uno di questi astri chiomati colla Terra, incontro che potrebbe anche essere causa della distruzione totale degli uomini. Un inglese, Whiston, insegnò nella sua Teoria della terra, che il Diluvio universale era stato prodotto dal passaggio di una cometa molto vi- cino alla terra. Egli assegnò alla splendida co- meta apparsa nel 1860, non solo l’odiosa parto di carnefice dei contemporanei di Noè per via umida, ma profetando mine e stragi, anche quella futura di sterminatrice degli uomini per via ignea. È curioso l’avvertire che un grande natura- lista, Buffon, invece che vedere nelle comete agenti minaccianti alla Terra distruzione e fine, volle vedere in una di esse la cagiono della for- mazione dei pianeti tutti del sistema solare. Egli suppose che una cometa, cadendo sul Sole, ne abbia fatto scaturire un torrente di materia che raggruppatasi a distanza in parecchi globi più o LA FINE DEL MONDO 205 meno grandi e più o meno lontani da quell’astro, formò i pianeti e i satelliti. Laplace, il sommo fondatore della vera teoria del sistema del mondo, ha dimostrato la com- pleta insussistenza delle idee di Buffon: dunque, certo una cometa, non ha creato il mondo, ve- diamo se essa possa annullarlo. Che ciò potesse avvenire si temette da molti nel 1775 in Parigi, nella quale città era corsa voce che una cometa doveva trovarsi sull'orbita della Terra, urtarla e mandarla a pezzi. L’origiue di questa poco pia- cevole diceria fu una memoria che l’astronomo Lalaude doveva leggere, ma non lesse, il 21 aprile di quell’anno nella seduta pubblica dell’Accade- mia delle scienze. Nessuna predizione di scontro con comete si conteneva in quella memoria, che portava il seguente innocentissimo titolo: “ Re- flexions sur les comètes qui peuvent approcher de la terre. Prima di far pubblico il suo lavoro, Lalande dovette, tanta era la paura del pub- blico, far stampare sulla Gazzetta di Francia del 7 maggio una nota che calmasse la gente. Essa non valse, ed il panico divenne tale che i devoti volevano s’ innalzassei-o al cielo preci solenni per iscongiurare il disastro: i dotti persuasero l’arcivescovo di Parigi a non dar loro retta per non cadere nel ridicolo. Lalande pubblicò nel corso del 1775 medesimo il suo lavoro, e poco per volta si scordarono e la cometa e le sue minaccie, che rimasero solo nelle canzoni popolari e nelle riviste umoristiche di fine d’anno all’ Opera Comique. 206 ISTORIE DI MONDI È strano come la gente si sia sempre spaven- tata all’idea di morire in massa, ponendo in non cale la proverbiale consolazione dei dannati, e scordando che tanto vale morire tutti assieme, quanto il lasciare questo rotondo pianeta isola- tamente e per proprio conto, e che il mondo finisce per ciascuno di noi col cessar della vita individuale. I psicologi, che ora non contenti più di frugare e rifrugare nell’ anima umana, anatomizzano e dissecano, a modo loro s’intendo, quel che con reboante frase, chiamano la psiche delle folle, troveranno forse motivo a quelle contraddizioni: a noi conviene risalire ora al finire del secolo decimo dell’èra nostra. Ci fu insognato che verso quell’epoca un’immensa paura del finimondo in- vase l’Europa. Si credeva da molti, or son pochi anni ancora, e forse anche oggi da molti si crede, che in sul finire del secolo decimo dopo Gesù Cristo, gli uomini allora viventi, tementi di predizioni apo- calittiche, paventassero giunta l’ora della fine del mondo o della distruzione del genere umano. Molti e reputati storici hanno prestato fede a questa leggenda, relativamente moderna, l’hanno chiosata, commentata, divulgata, hanno disteso intorno ad essa dottissime e purtroppo inutili disquisizioni. E come si presentavano bene al- l’arte queste paure dell’anno mille! Alcuni anni or sono il Commendatore Giuseppe Giacosa aveva ideato un dramma su questo argomento e ne aveva buttato giù alcune scene che furono pubblicate LA FINE DEL MONDO 207 nelle (.onvet suzioni della domenica. È doloroso, ma non è colpa mia, che la moderna barbarie condanni al volgare supplizio della croce i poeti che si ravvedono. Il Commendatore, Senatore, Prof. Giosuè Carducci scrisse sui terrori del mil- lennio le seguenti bellissime pagine: “ V’imagi- nate il levar del Sole nel primo giorno doll’anno mille? Questo fatto di tutte le mattine ricordate che fu quasi miracolo, fu promessa di vita nuova, per le generazioni uscenti dal secolo decimo? Il termino dalle profezie etrusche segnato all’esser di Roma; la venuta del Signore venuto a rapir seco i morti e i vivi nell’aere, annunziata già im- minente da Paolo ai primi cristiani; i pochi secoli di vita che fin dal tempo di Lattanzio credevasi rimanere al mondo; il presentimento del giudizio finale prossimo, attinto da Gregorio Magno nelle disperate ruine degli anni suoi; tutti insieme questi terrori, come nubi diverse che aggrup- pandosi fan temporale, confluirono sul finire del millennio cristiano in una sola e immane paura. — Mille e non più mille — aveva, secondo la tradizione, detto Gesù; dopo mille anni, legge- vasi nell’Apocalisse, Satana sarà disciolto. Difatto nelle nefandezze del secolo decimo, in quello sfracellarsi della monarchia e della società dei conquistatori nelle infinite unità feudali, in quel- 1 sbiettarsi ineffabile del pontificato cristiano, in quelle scorrerie procellose di barbari nuovi ed orribili, non era egli lecito riconoscere i segni descritti dal veggente di Patmo ? E già voci cor- revano tra la gente di nascite mostruose, di 208 ISTORIE DI MONDI grandi battaglie combattute nel cielo da guer- rieri ignoti a cavalcioni di draghi. Perciò niun secolo al mondo fu torpido, sciagurato, codardo, siccome il decimo. Che doveva importare della patria, della società umana ai morituri, aspet- tanti d’ora in ora la presenza di Cristo giudi- catore? E poi, piuttosto che ricomperarsi una misera vita coll’argento rifrugato fra le ceneri della patria messa in fiamme dagli Ungari, come avevan fatto i duecento sopravissuti di Pavia, non era meglio dormire tutti insieme sepolti sotto la ruina delle Alpi e degli Appennini? Battezzarsi e prepararsi alla morte, era tutta la vita. Alcuni, a dir vero, moveansi: cercavano peregrini la valle di Josafat per ivi aspettar più da presso il primo squillo della tromba suprema. “ Fu cotesto l’ultimo grado della fievolezza e dell’avvilimento a cui le idee degli ascetici, e la violenza dei barbari avevano condotto l’Italia Romana. E che stupore di gioia e che grido salì al cielo dalle turbe raccolte in gruppi silenziosi intorno ai manieri feudali, accasciate e singhioz- zanti nelle chiese tenebrose e nei chiostri, sparse con pallidi volti e sommessi mormorii per le piazze c la campagna, quando il Sole, eterna fonte di luce e di vita, si levò trionfante la mattina dell’anno mille? Folgoravano ancora sotto i suoi raggi le nevi delle Alpi, ancora tremolavano commosse le onde del Tirreno e dell Adriatico, superbi correvano dalle rocce alpestri per le pingui pianure i fiumi patrii, si tingevano di rosa al raggio mattutino così i ruderi neri del LA FISE DEL MONDO 209 Campidoglio e del Foro, come le cupole delle Basiliche di Maria. Il Sole! Il Sole? V’è dunque ancora uua patria ? V’è il mondo ? E l’Italia di- stendeva le membra raggricciate dal gelo della notte e toglieasi d’ intorno al capo il velo del- l’ascetismo per guardare all’oriente Fin qui il Grand Lfficiale, Senatore, Professore Giosuè Carducci. Che peccato che ciò non sia vero! esclama il dottissimo professore Orsi, che ha incontestabil- mente provato, che le paure della fine del mondo al millennio, non hanno mai esistito in tale mi- sura che nella fantasia di storici e letterati di soverchio immaginosi e troppo poco veritieri. Quei terrori del finimondo nell’anno mille sono un tatto ignoto a tutti i contemporanei, un fatto che nessuno ha registrato, a cui nessuno accenna, del quale nessuno si ricorda menomamente. Nessun pensiero di morte attristava verso il mille le genti, di cui nessun timore paralizzava 1 azione. Mangiavano, bevevano, vestivano panni, si sposavano, si bisticciavano, si picchiavano. Ac- cudivano come sempre alle faccende domestiche e cittadine, non altrimenti di quello che facciamo noi, fortunatissimi viventi su questo declinare del secolo decimonono, che abbiamo sostituito alle stolte e chimeriche paure del finimondo — ahi Dio! miserabile prosa — l’oppz'imente in- cubo dell esattore e dei microbi patogeni. Con ciò non è a negare recisamente che qual- cuno verso il mille non abbia paventato vicino l’avverarsi delle profezie e della fine del mondo. Zano ni Bianco, Istorie di mondi. 14 210 ISTORIE DI MONDI Vi sono state sempre persone nervose, impres- sionabili, paurose : e poiché sembra che ogni finir di secolo abbia visto manifestazioni di timore per qualche grande catastrofe, e giacche in molte persone la infondata attesa di alcun che di straor- dinario per il termine di questo bel secolo dc- cimonono non è una fiaba , cosi è a credere, e più che mai, che qualche timoroso, in sul com- piersi del millennio dopo la vonuta di Gesù, pensasse alla fine del mondo. Ma da ciò alle esagerate descrizioni di un generale spavento, di una completa sospensione della vita sociale e privata, c’è un gran tratto. Orsi e Roy hanno rispettivamente dimostrato che per 1 Italia e per la Francia nulla di tutto ciò è mai avvenuto. D'altronde le ricerche e gli studi a questo ri- guardo sono recentissimi e pochi, e l’argomento è appena appena sfiorato. Non voglio scordare quello pregevolissimo pubblicato in questi ultimi mesi in Torino dal dottore Calligaris intorno a Gregorio Magno e la fine del mondo. Nel 1816, la voce della prossima fine del mondo si sparse in Francia. Il 13 luglio era la data fissata alla catastrofe finale. Hoffmann, il cele- bre novelliere, con uno spiritoso articolo nel Journal des Débats pose in ridicolo quegli strani sbigottimenti. Essi rinacquero malgrado ciò nel 1832 per la cometa di Biela, scoperta nel 1826, che tanto ha dato da lavorare agli astronomi, per essersi divisa in due, e poi risolta in pioggia di stelle cadenti. Il 30 giugno 1861, la Terra attraversò la nebulosità che formava la coda LA FINE DEL MONDO 211 della splendida cometa di quell’anno, e gli uo- mini non se ne avvidero, a meno che non si voglia riguardare come conseguenza di quell’in- contro, una debole luce gialla fosforescente che taluno credette di aver osservato. La cometa del 1862 non ebbe così più l’onore di spaventare la gente: udite come se ne parlava con disinvoltura. È una conversazione conservataci dall’astronomo Babinet: “ Signor astronomo, chiede una signora, i giornali dicono che è visibile una cometa? „ “ Sì signora, e veramente bella „. “Che cosa ci predice? „ “ Nulla, nulla affatto, signora “ Ma è bella? „ “ Splendida, signora, uscite in giar- dino e ve ne accerterete “ Ah! se essa non apporta nè bene nè male, non torna conto il disturbarsi „. E la signora se ne andò a letto perfettamente tranquilla. Ciò non sarebbe di certo accaduto seicento anni fa. D’altronde, come fece chiarito Arago e con- validarono le accennate considerazioni di Lord Kelvin, l’incontro di due masso cosmiche è enor- memente poco probabile , e le conseguenze poi, non ne possono essere indicate in antecedenza. Esse dipendono dalla massa e natura dei due astri e dalla velocità e direzione del loro moto. Una penna fantasiosa, se mai ve ne fu, quella del celebre novelliere americano Edgardo Poe, ha delineato a fiammeggianti colori quale potrebbe essere uno scontro fra la Terra ed una cometa nella conversazione fra Eros e Charmion. Poe fa che una cometa distrugga la Terra in una immane conflagrazione, attenendosi al detto bi- 212 ISTORIE DI MONDI blico, che la Terra sarà bruciata con tutto ciò che contiene. Che che nell’avvenire siano poi per apportare agli uomini le comete, esse oggi non sono per la comune, che un oggetto di cu- riosità, e per gli astronomi, argomento a lunghi calcoli, ossorvazioni e indagini circa i tanti e curiosi fenomeni che molte di esse offrono alla nostra contemplazione. Intanto, vanita lucenti, parvenze vaghe erranti pel firmamento hanno cessato d’incutere timore e danno retta alla pre- ghiera di Voltaire: Comfetea, quo l’on craint à Tégal du tonnerre, Ceaaez d’épouvanter les peuples de la terre. Lo spettacolo della società moderna inspira ad una delle più alte intelligenze dello scorso secolo, Huxley, il passo seguente, le comete non vi sono estranee, udite : “ Le migliori civiltà mo- derne mi sembrano essere la manifestazione di uno stato dell’umanità senza ideale degno del nome, e non avente nè anche il merito della stabilità. Se non nutriamo la speranza di un miglioramento reale nella condizione della mas- sima parte della famiglia umana, se veramente l’accrescimento delle cognizioni, e l’impero poi più grande sulla natura, che ne è la conse- guenza, o infine so la ricchezza che deriva da questo servaggio della natura, non debbono di- minuire l’intensità e l’estensione della miseria e della degradazione fisica e morale, che è il risul- tato della miseria nelle masse, io non esito a dire che saluterei come la sola fine desiderabile LA FINE DEL MONDO 213 la venuta di qualche cometa impietosita che spazzi via ogni cosa nello spazio È triste, ma i voti di Huxley non saranno esauditi e per secoli e secoli l’umanità continuerà fatalmente a pian- gere e soffrire. L’uomo e tutti gli esseri organici, suoi con- temporanei, per vivere, hanno bisogno di aria e di acqua, e di Sole, ossia della luce e del calore onde esso è larghissimo dispensatore. Orbene gli scienziati hanno trovato che tutte quello cose di primissima, anzi assoluta, necessità ci verranno, un bel giorno, o meglio un brutto giorno, se- condo i gusti, a mancare. Ma hanno pure sco- perto, salvo errore, possibile qui più che mai s’intende, che questa sottrazione, così poco cor- tese, non sarà completa che fra molti milioni d’anni; non è quindi luogo a repentino spavento. E poi e poi, gli scienziati all’ infallibilità non pretendono, propongono delle ipotesi, più o meno plausibili, più o meno solidamente fondate e nulla più. Sopratutto, lo si noti bene, essi stabiliscono a base delle loro teorie una condizione senza la quale nessuna scienza sarebbe possibile. La con- dizione cioè che le leggi naturali, quali i nostri sensi hanno scoperto e constatato, abbiano agito sempre, ed agiscano sempre per l’avvenire, in modo identico a quello che a noi si mostra. Modo, si ponga ben mente, che non sappiamo se sia il reale, non avendo noi mezzo alcuno per accertare se la nostra mente ed i nostri sensi non ci abbiano rivelato che la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. La perfetta identità e continuità 214 ISTORIE DI MONDI nel passato, presente e futuro, delle leggi natu- rali è condizione essenziale, sotto pena di non essere, dello scibile, e della condotta umani. La persuasione, l’evidenza per noi della costanza ed uniformità delle leggi naturali deriva dall’e- sperienza; ed oggi noi avremmo di esse la co- noscenza medesima, anche se esse non fossero esattamente ed assolutamente vere, ma lo fossero solo approssimativamente, ed i nostri sensi non ci permettessero di constatare la differenza tra l’essere ed il parere. La grande legge della gra- vitazione universale, alla quale alcuni valorosi astronomi non sono peritosi a proporre modifi- cazioni, ne è un chiaro esempio. E però chiaro che nell’ammettere che noi possiamo fare a fidanza coll’uniformità della natura, e coll'iden- tità non interrotta nel tempo e nello spazio delle sue leggi, noi assumiamo come vera una cosa intorno alla quale nulla di certo sappiamo. L’impero assoluto, poi, e continuo delle leggi di natura, dato e non concesso che esse siano quali paiono, è desso indiscutibilmente provato e da quando ? Chi attesta che sempre fu qual’è, o quale è continuerà ad essere per sempre? L’e- sistenza o la non esistenza di un legislatore, non è provata. È egli pertanto lecito, in cosiffatto stato di cose, negare od affermare la subordi- nazione di esso legislatore, supposto esistere, vo- lontaria e perfetta alla legge da lui stabilita, ovvero la di lui intenzione e la possanza di violarla ed interromperla? Chi afferma, chi nega, su basi tetragone e inalterabili, una causa finale LA FINE DEL MONDO 215 o non dell’universo ? Ardue ed inutili domande, cui neppure i posteri daranno risposta. Era savio Littré, quando non voleva occuparsene, e più savio il poeta quando consiglia: Meglio oprando obliar, senza indagarlo, Questo enorme mister de l’universo! Alcuni dotti pensano, con non infondata ragione, che l’acqua sia stata altra volta assai più ab- bondante sulla superficie della Terra, che ora non sia. Vogliono che essa sia venuta man mano, e continui ad essere assorbita meccanicamente e chimicamente dalle parti più interne della massa terrestre, dalle quali non potrebbe staccarsi più mai per essere ricondotta alla superficie, ove solo è disponibile pei bisogni dell’umanità. Questa opinione, oltreché su argomenti dedotti dalla geologia e dalla climatologia, si appoggia sul fatto che la Luna, molto più avanzata della Terra nella sua vita cosmica, è quasi sicuramente priva d’acqua e d’aria, che si vorrebbe siano state as- sorbite a poco a poco dalla massa lunare. 11 pia- neta Marte, colla sua fisica costituzione, quale è ora nota mercè i grandiosi studi di G. V. Schia- parelli, pare fornire esso pure valido appoggio ai propugnatori di quelle maniere di pensare. 70 mila secoli occorrerebbero secondo Saeman e Whinchell all'assorbimento totale dell’acqua e dell’atmosfera terrestre. Non è quindi d’imme- diata urgenza un provvedimento al riguardo. Sia per isparire o non nei secoli a venire l'aria che respiriamo, è lecito chiedere, se essa, o na- 216 ISTORIE DI MONDI turalmente, o per opera dell’uomo, non abbia avuta modificata la sua chimica composizione. Prima di tutto, questa pare tutt'altro che com- pletamente nota, e non sono trascorsi dieci anni dacché gli inglesi Lord Raileigh e prof. Ram- say, scoprirono l'argon, corpo inerte per eccel- lenza e costituente deH’aria, ignoto fino a loro. Non si posseggono poi che da un centinaio di anni circa analisi precise dell’aria, e quindi il paragone della sua composizione ad epoche dif- ferenti e lontane non è possibile. Tuttavia non è assurdo il pensare, che l’enorme quantità di carbone che oggi si brucia por l’industria, il ri- scaldamento e l’illuminazione, ed il vapore acqueo, che in tanta copia le macchine a vaporo dell’in- dustria e della locomozione lanciano nell’aria, abbiano un qualche effetto sulla composizione chimica di questo oceano gazoso al fondo del quale si compie il poco allegro ciclo della nostra esistenza. E ciò per tacere delle modificazioni che all’atmosfera possono apportare le innumerevoli operazioni secondarie dell’industria, o il diboschi- melo, e l’alterato regime delle acque e dello colture, e l’accresciuto numero d’uomini e di ani- mali. Dirà il tempo, se e conio, questa non im- possibile alterazione avvenga, e in qual modo, gli esseri organici tutti vi si possono adattare. Cosi il tempo insegnerà come gli organismi me- desimi potranno sopportare il graduale scemare del calore solare, che è annunziato come proba- bilissimo, ma esso ancora lentissimo e non com- pleto che in molte migliaia di secoli. LA FINE DEL MONDO 217 A spiegare la magnifica larghezza colla quale il Sole irradia la sua luce ed il suo calore verso lo spazio, distribuendone una piccola parte alla Terra, ed ai mondi suoi vicini, furono escogitate varie teorie. Si esaminò se l’astro del giorno potesse essere una gigantesca sfera incandescente, rovente, oppure una enorme massa di combu- stibile bruciante come il carbone e la legna nei nostri forni, o la polvere ed il cotone fulminante nelle mine e nei cartocci. Se fosse vora la prima supposizione, nei due mila anni ultimi, l’uomo avrebbe dovuto avvertire una notevole diminu- zione del calore solare; ora ciò non avvenne. Si è poi calcolato che se il Sole che illuminava la costruzione delle piramidi fosse stato di solido carbone, dovrebbe a quest’ora essere quasi del tutto consumato. Ne è d’uopo pertanto cercare altre spiegazioni della costanza e durata dell’ir- radiazione solare. Probabilmente, anzi sicura- mente, una sorgente di calore è la caduta sul Sole dei bolidi e delle stelle cadenti, la cui forza viva di movimento si converte nell’urto in calo- rico. Sottoposto questo fatto al calcolo, gli astro- nomi hanno riconosciuto, che benché la caduta di quei corpi meteorici possa contribuire in qualche misura alla conservazione del calore solare, essa è ben lungi dal sopperirvi intiera- mente. A ciò pare valga la condensazione del Sole medesimo, secondo le teorie immaginate da Helmoltz e Lord Kelvin. Le moderne vedute sull’origine del sistema solare, ammettono che esso si sia formato da un 218 ISTORIE DI MONDI ammasso enorme di materia diffusa fin oltre il pianeta Nettuno. La condensazione di questa materia attorno a regioni più dense ed agenti quali centri d’attrazione, assieme al movimento di rotazione posseduto dalla massa stessa, avrebbe dato luogo alla formazione dei varii pianeti. Questa è però tutt’altro che ben chiarita, ma non è nostro scopo il discutere questo delicatis- simo argomento. Il Sole sarebbe il nucleo cen- trale di quella iniziale massa nebulare, e la sua condonsazione e concomitante diminuzione di vo- lume, continuerebbe oggi ancora. Ora succede che in quella vastissima massa gazosa, questa diminuzione di volume, od, il che torna lo stesso, raccostarsi delle particello della massa al suo centro, od in una parola la loro caduta produce calore. Cosicché, malgrado l’irradiamento verso lo spazio la massa aumenta di temperatura, acqui- stando energia termica. Se la massa di gaz è grandissima, come pel caso del Sole, il procedi- mento di condonsazione vale a mantenere pres- soché costanti per lunghissimo tempo, la sua temperatura e la sua irradiazione. È d’uopo però soggiungere subito che questo innalzamento di temperatura, o per lo meno il mantenimento della costanza di essa ha un limite, e quosto è raggiunto quando la massa conside- rata cessa di obbedire alle leggi che governano i gaz. Da quell’istante incomincia la diminuzione di temperatura del corpo che viene attraversando l’uno dopo l’altro gli stati di liquido e solido. Ciò tanto più rapidamente quanto più bassa è LA FINE DEL MONDO 219 la temperatura dello spazio circostante al corpo, alla quale questo finisce per scendere. La tem- peratura dello spazio stellato, in cui si libra il Sole, è la più bassa immaginabile, essendo quella dello zero della temperatura assoluta a 273 gradi sotto lo zero del termometro centigrado. Cosi, se veri sono i pensamenti di Helmoltz e Kelvin, fondati sulla moderna termodinamica, il Sole dopo aver mantenuto, per molte migliaia d’anni, pressoché invariata la sua potenza come astro sorgente di luce e calore, andrà raffred- dandosi lentamente, per divenire all’ultimo fred- dissimo ed oscuro, dopo essersi successivamente tinto di rosso e di violetto. 11 firmamento ne porge esempi di stelle in questi varii stadii di vita cosmica, come hanno mostrato le più re- centi investigazioni con quel mirabile mezzo di ricerca che è l’analisi spettrale aiutata dalla fotografia. Data la massa enorme del Sole e la sua grande densità centrale, gli accennati cam- biamenti nel suo stato fisico, si compiranno len- tissimamente: si pensa che 20 o 40 milioni di anni, possano bastarvi. Ecco come il sommo Kelvin conclude le sue ricerche riguardo alla passata e futura storia dell’astro del giorno: “ Sembra, tuttavia, in complesso, probabilis- simo che il Sole non illuminò la Terra nel pas- sato per oltre 100 milioni di anni, e quasi certo che non lo ha fatto al di là di 500 milioni di anni. Quanto al futuro poi, noi possiamo dire con uguale certezza che gli abitanti della Terra 220 ISTORIE DI MONDI non possono continuare a godere la luce ed il calore essenziali alla loro vita, per molti milioni d’anni a venire, a meno che nel grande labora- torio della creazione, se ne preparino sorgenti ora sconosciute „. E Stawell Ball, uno dei più potenti matema- tici ed astronomi inglesi, così scrive: “ Senza dubbio l’astro del giorno contiene una provvigione magnifica di calore attuale o poten- ziale adequato a tutte le necessità della vita, per un ciclo di ere, che si devono noverare a milioni di anni. Ma tuttavia, è impossibile tras- curare il fatto che questo eccessivo largheggiare deve col tempo produrre le sue naturali conse- guenze, e che una bancarotta di raggi solari è il destino inevitabile pel nostro sistema. Io dico inevitabile, beninteso con questa condizione, che le condizioni ordinarie della natura si manten- gano per l’avvenire quali ora sono I sommi pensatori inglesi, forse i più potenti del mondo, vanno, come si vede, molto cauti nelle loro affermazioni: esempio che dovrebbe essere imitato in paesi di nostra conoscenza. Per molte migliaia d’anni ancora e quando nuovi delitti, nuovi imperi e nuove favelle ter- ranno il mondo, nella divina luce del Sole, alla radiosa aria di maggio, s'adornerà la terra d’au- lenti rose e profumate acacie, ed al giocondo rinnovato cielo sorriderà lieta d’erbe, di bimbi o di fanciulle. E per secoli e secoli al mite raggio del Sole d’autunno fioriranno i crisantemi, ultimo saluto che di sotterra ancor mandan gli estinti LA FINE DEL MONDO 221 a dii di loro pur piange e rammenta. Perchè, come canta il poeta: E quando l'ultimo Fia dei viventi Sceso nell’ultimo dei monumenti, E la novissima de le procelle Tnsurga a spegnere L’ultime stelle; Quando il Creato Sarà un passato; Quando una tenebra Priva d’aurora Starà perpetua; Uniti ancora Vivran continuo Nel lor fattore Luce ed amore. Ma col volger dei tempi intanto, altri destini van maturando, altra e più remota fine apparec- chiano all’orbe nostro le leggi di natura. Là ove il mar si frange furento alla scogliera e là ove mite bacia la declive sponda, con ritmo antico, in misurato andare, la spumeggiante onda s’avanza ed arretra. Dall’ore prime della giovin Terra, il vasto oceano profondo palpita colla marea, nè il gigantesco cadenzato moto cesserà che quando il gelo, irrigidita tutta del mar la mobil’acqua, allo scoglio avvinta, la stringa in sempiterno funereo abbracciamento. È un movi- mento stranamente potente cgiello della marea, che sicuro, incessante, toglie alla Terra in lungo giro di secoli e di ere la vital forza di sua ro- tazione, ed ogni giorno rallentandone la roteante 222 ISTORIE DI MONDI corsa, fa che l’un dì dell’altro sia più lungo. Sicuro, incessante, ma tardo così che appena oggi s’incomincia a scoprire nell’attrito delle maree la vera causa di un tenuissimo allungamento del giorno, che le osservazioni hanno solo indiretta- mente adombrato, ma neppure lontanamente con- statato. Per quanto all’allungamento del giorno siderale Adams e Darwin, figlio al grande natu- ralista, diedero varii valori, la media dei quali è di circa 22 secondi in un secolo : circa 6 deci- millesimi di secondo in un giorno, quantità asso- lutamente non apprezzabile coll’ osservazione diretta, ma che il tempo può rendere tale ed efficace. Certo questa ragione di ritardo non fu costante nelle varie fasi della Terra, nelle quali le maree furono senza dubbio altrimenti intense delle attuali ; forse fu maggiore nel passato, come sarà minore per l’avvenire, o forse meglio andò ed andrà oscillando fra diversi valori, ma senza fallo agì continuamente. Da ciò si conclude na- turalmente che molte migliaia di anni fa la Terra doveva ruotare più rapidamente d’oggi. Per causa delle più alte leggi di natura, la Terra, collo scemare per l'attrito delle maree lunari la sua velocità di rotazione, ha reagito sulla Luna, con un continuo allontanamento dei due astri. Per- tanto se mentre la rotazione della Terra si ral- lenta, la Luna si scosta da essa, quando quella rotazione era più rapida, cioè il giorno siderale più breve, i due astri dovevano stare più dap- presso. Risalendo dunque il passato remotissimo di questa nostra piccoletta Terra dobbiamo tro- LA FINE BEL MONDO 223 varo un’epoca nella quale il giorno essendo corto assai, la Luna era quasi a contatto con essa. Si è calcolato che in quel tempo, separato dal nostro da milioni d’anni, il giorno doveva essere di tre o quattro ore. In quei giorni, che il pensiero a stento raggiunge, la Luna vicinissima alla Terra circolava attorno ad essa, assai più rapi- damente che ora non faccia, in tre o quattro ore, cioè in durata uguale al giorno siderale, alla Terra rivolgendo, come oggi, sempre la parte medesima del suo globo. Ma quando il giorno siderale era di tre o quattro ore, la Terra, secondo l’ipotesi di Kant e Laplace, era caldissima, forse ancora pastosa, e forse si fu poco prima di allora, che da essa, con processi da noi ignorati, si staccò la Luna. Queste però sono speculazioni poco fondate, più che altro ardite immaginazioni cui talvolta s’ab- bandonano anche gli astronomi, che non contenti di ricalcare gli andati giorni, si spingono teme- rari nel più lontano futuro. Seguendoli vedremo che, rallentandosi di continuo la velocità di ro- tazione della Terra, verrà pure giorno in cui diverrà uguale a quella necessaria alla Luna per compiere la sua rivoluzione attorno alla Terra. Il giorno terrestre, tutto il resto essendosi man- tenuto sempre invariato, sarà allora eguale ad un mese lunare. Sul valore di esso non è pos- sibile alcun enunciato un poco approssimato; il più grande riserbo è comandato dalla natura dell argomento e dalla nostra ignoranza; tut- tavia fu arrischiato il numero di cinquanta- 224 ISTORIE DI MONDI sette dei nostri giorni. Vale a dire in qualche epoca critica del futuro più lontano, la Terra ruoterà sopra se stessa in 1400 ore attuali, mentre la Luna compirà il suo viaggio precisa- mente nel tempo medesimo, sempre più scostan- dosi da quella, e di essa sempre mirando con invariato sguardo, l’emisfero medesimo. Da quel- l'istante, i due astri, da invincibile mano legati, si muovoranno in perpetuo nello spazio, formando quasi un solo corpo cosmico. Ciò, avvertiamolo subito, se la Terra e la Luna fossero sole nello spazio ; la presenza dol Sole cambia questo stato di cose. Per azione del Sole, ed in un tempo lungo oltre ogni credere, il duplice astro Terra- Luna, ad una distanza alquanto maggiore del- l’attuale, formerà col Sole stesso, un corpo unico e buio, moventesi attorno al comune centro di inerzia. Se ora intervenisse un altro astro, la Terra colla Luna andrebbe poco per volta av- vicinandosi al Sole, e finirebbe, nel nuovissimo giorno, per cadore su di esso. L insigne Keliin, cui sono dovute queste elevato considerazioni, cosi le termina: “ Nello stato attuale dolio scibile, noi non possediamo dato per apprezzare l’importanza dell’attrito delle maree e della resistenza del mezzo attraverso il quale si muovono la Terra e la Luna. Ma sia esso, quale si vuole, per un sistema costituito come quello del Sole e dei pianeti, ove continuino ad agire le leggi attuali, e non avvengano perturbazioni per incontri con altre masse nello* spazio, non si può dare che un LA FINE DEL MONDO 225 solo scioglimento finale, cioè il raccogliersi del tutto in una sola massa che, dopo aver continuato per alcun tempo a ruotare sopra se medesima, finirà per divenir ferma relativamente al mezzo che la circonda „ (1). Carlo Porta, il celeberrimo poeta milanese, che meritò di essere chiamato l’emulo di Giusti, fa dire da un suo personaggio, donna Fabia Fabron de Fabrian, i seguenti versi: Oramai anche mi, Don Sigismond, Convegno appien nella di lei paura, Che sia prossima assai la fin del inondi Cbfe vedo cose d'una tal natura D’una natura tal, che no ponn dars Ch’ili un mond assai prossim a disfars. Versi che assai bene s’attagliano ai giorni nostri, e forse, a seconda degli umori e dei ca- ratteri, a tutti i tempi. Che che sia di ciò, l’astro- nomia vi dice che il mondo non è assai prossim a disfars e tutta la scienza ne insegna, che la fine del mondo è lontana, lontana assai. Vero è ben che al chiudersi di una bara che rinserra una adorata sorella o la bionda testo- lina di una nostra creatura, il cuore si schianta, 11) Per più ampio svolgimento delle idee di Lord Kelvin e per le obiezioni che si possono fare vedi : L’evoluzione cosmica della terra secondo le idee moderne, di Ottavio Xanotti Bianco, in Nuova Antologia, Serie terza, voi. XXXII, 1891, p. 100, riprodotto nel libro del medesimo autore intitolato Nel Regno del Sole, Torino, Bocca, 1897. Zaxotti Bianco, Istorie di mondi 15 226 ISTORIE DI MONDI ribelle ad ogni amichevole conforto respinge spe- ranze ed amorevoli parole; e intorno a noi in uno strazio indicibile, s’abbuia il cielo e pare sia il fino di ogni creata cosa. Vero è ben che quando sotto l’oltraggio vile della sorte avversa, allo sforzo impotente e rabbioso della mente che tenta afferrare, e non vi giunge, il vero ed il bello, quando sotto la sferza iniqua dell’ingiu- stizia e della menzogna l’anima si rivolta, agogna alla morte e vita rifiuta, si tinge di sangue il Solo, sibila come avvelenata serpe la voce umana, ci par spenta la natura e coll’ultimo anelito si scaglia al mondo infame l’ultima maledizione. Guai, guai allora, se non ci assiste una fede, non conforta una speranza. Una fedo, una spe- ranza, non arida, sterile, meschina, ma alta, pura, sublime, la speranza, la fede nell’ immancabile trionfo del giusto e del buono, e nella forza ir- resistibile della verità. Quella speranza, quella fede, che dalla croce, dalle torture, dai martini, dai roghi d’Arnaldo, di Savonarola, di Bruno ri- sorge fenice divina folgoreggiante ed immacolata, si libra sul mondo, lo feconda e lo avviva di libertà e di giustizia. Ma finché nel cuore pal- pitano i più alti ideali, finché il lavoro, supremo bene, é balsamo nel doloro per sua mirabile virtù, finché nell’occhio di un’amata donna lampeggia il guardo delle generazioni future che anelano alla vita, finché un padre ne sorregge d'esempio e di consiglio, finché una madre ci bonedice di un bacio, oh ! fin’ allora, no, non è la fine del mondo ! E voi, giovani egregi, attende una lunga LA FINE DEL MONDO 227 serie d'anni, lusinghiera d’illusioni, e sorridente di speranza : 1 avvenire è vostro : impiegatelo bene. ì i son tante ingiustizie da riparare, tante lagrime da tergere, tante verità da scoprire ! Mentre romba il tuono e infuria la tempesta delle battaglie umane, il divin genio del pensiero sventola in alto impavido, innanzi a voi, il co- stellato stendardo della carità e del progresso. Su quella santa bandiera fiammeggia il motto che atterra e suscita, che affanna e che consola — Amore, Sacrifizio, Dovere — sia desso il vostro, e per voi, per la generosa, benedetta opera vostra, sia per sempre mendace il detto che il mondo invecchiando peggiora ! * " ' TTTTTTTT t^t T-r t fu yVy t TY t frr t7*t» itttti’ti ttVt t rr» w vr ttt» vwt imt ECLISSE DI SOLE Ali when thè Sun, a crescont of eolipso, Dreams over lake and lawn, an i isles and capea. Tkskvsos, Vii io n 0/ Sin. Ro6es huve thornp, and sìlver fountaina mud Cloude and eclipset staio both moon and snn. SlIAIBSPEAUH, SOtietS, XXXV. I. Dante nel canto ventisettesimo del Paradiso, terzina 12% scrive: Così Beatrice trasmutò sembianza; E tale eclissi credo che in Ciel fue, Quando patì la suprema Possanza. Allude all’eclissi che si vuole avvenisse alla morte di Gesù Cristo. Su di esso ritorna nel canto ventinovesimo del Paradiso medesimo, ter- zine 33 a e 34*. Un dice che la luna si ritorse Nella passion di Cristo e s’interpose, Perchè il lume del Sol giù non si porse; E altri, che la luce si nascose Da se; però agli Ispani e agli indi, Com’a' Giudei tale eclissi rispose. ECLISSE DI SOLE 229 Queste terzine fanno parte di quella tremenda lavata di capo che il Divino poeta lancia ai sa- cerdoti ed ai piedicatori : nella quale poco dopo chiama favole, queste ed altre che da molti di essi in pergamo si gridan quinci e quindi. Dante accenna alle due opinioni tenute dai Padri della Chiesa per spiegare l’oscurità che si narra avvenisse subito dopo la morte di Gesù e durasse da sesta fino a nona, da mezzodi alle tre, secondo narrano gli Evangelisti Matteo (XXVII, 45); Marco, (XV, 33); Luca, (XXIII, 44): il quarto evangelista, Giovanni, non ne fa cenno. Gli Evangelisti non accennano ad eclissi, ma dicono concordi, il Sole scurò, o si fecero tenebre su tutta la terra. Per provare tale oscuramento del Sole gli antichi Padri della Chiesa ebbero ricorso ad autorità pagane, l’istorico Thallus, ed il cronista Phlegone, ma non si ha mezzo di controllare quelle citazioni. Certo non si tratta di un eclisse naturale, perchè le eclissi di Sole avvengono a luna nuova, e Cristo morì in luna piena pasquale. San Tommaso d’Aquino, l’an- gelico dottore, discusse a lungo tal fatto, ed accolse l’opinione di Dionigi l’Areopagita. Questi voleva che la Luna , retrocedendo miracolosa- mente per tre ore, s’interponesse tra la Terra e il Sole, così da intercettarne per tal tempo la luce. Altri invece, ritenendo che l’oscurità pro- dotta dall’ interposizione della Luna è solo com- pleta in dati casi e luoghi, mentre che, secondo gli Evangelisti, le tenebre alla morte di Gesù si estesero a tutto il mondo allora noto, come ap- 230 ISTORIE DI MONDI punto ripete Dante, immaginarono, che esse fossero causate da un miracoloso repentino of- fuscarsi del sole. Dante taccia di menzogneri e gli uni e gli altri ; io ritengo che ciò faccia, pensando che affermavano cose non provate, non già, come vuoisi da taluno, perchè egli ritenesse impossibile il miracolo, vale a dire la violazione, sia pur temporanea, dell’ordine naturale delle cose. Dante credeva in Dio onnipotente, ed era troppo logico, per porre in dubbio il miracolo, che di tale onnipotenza è conseguenza diretta, mentre è inammissibile da chi tiene opinione elio le leggi di natura sono inviolabili. In ogni modo un eclisse naturale di Sole non vi fu, questo è certo. È però curioso avvertire come il Divino poeta nel passo citato del canto ventisettesimo mostra di credere alla realtà dell’eclisse, che poi qualifica di favola nel canto ventinovesimo. Dante parla ancora di eclissi nel canto II del Paradiso, terzina 27“ : Se il primo fosse, fora manifesto Nell'eclissi del Sol, por trasparere Lo lume, come in un altro raro ingesto. Beatrice vuol chiarire al poeta la ragione delle macchie lunari, e gli dice: se la luna fosse bucata si vedrebbe, perchè nelle eclissi di Sole, la luce solare emergerebbe dal buco. Dante menziona ancora le eclissi nel Convito (II, 3) e nella Questione dell’acqua e della terra (§ 20 ). ECLISSE DI SOLE 231 Milton ha un bellissimo paragone di Satana abbattuto col Sole eclissato. as when thè Sun new-risen Looks trough thè horizontal misty air Shorn of his beams, or troni behind thè Moon In dim eclipse, disaBtrous twilight sheds On half thè nations, and with fear of cliange Perplexes monarclis. Paradise Lost, I, 594, 99 (1). Qui Milton accenna alle paure suscitate dalle eclissi. Questa superstizione pagana, che ritro- viamo nelle Istorie di Tito Livio, nelle Satire di Giovenale e negli Annali di Tacito, vigeva an- cora nel medioevo, e Tertulliano vuole che le eclissi siano tristi presagi. Pericle comandava l’armata degli Ateniesi. Accade un eclisse di Sole che cagiona generale terrore ; il pilota stesso trema per timore ; si minacciano gravi disordini, ma Pericle rassicura tutti con una similitudine famigliare. Si copre (1) Appena sorto Così talvolta il Sol sull’orizzonte Guarda attraverso il riubiloso cielo Vedovato di raggi; o della luna, Nel fosco eclissi, dietro l’orbe ascoso, Fioca spande la sua luce funesta Su metà delle genti, ed i tiranni, D'alte vicende col terror, sgomenta. (Versione di Beilati). Invece di guarda, si doveva dire appare o si mostra, perchè tale è qui il significato di looks. 232 ISTORIE DI MONDI il volto col mantello e dice al pilota: — Credi tu che ciò che io faccio sia foriero di sciagura? — No, certamente, rispose il pilota. — Pure questa è una eclisse per te, riprese Pericle, e non è differente da quella che tu vedi, se non in questo che la Luna essendo più grande del mio mantello, nasconde il sole a maggior numero di persone. La paura dello eclissi ebbe talvolta delle con- seguenze assai strane. Erodoto narra di una guerra durata molti anni fra i Siri ed i Medi verso il 600 a. C., cessata improvvisamente a cagione di tenebre repentine che si produssero durante il giorno. Si combatteva una fiera bat- taglia quando avvenne un eclisse di Sole: le duo parti ne furono tanto spaventate che deposero sonz’altro le armi, e poco di poi conclusero una pace che fu cementata da due matrimoni. In ricordanza di questa circostanza venne scol- pita nelle roccie vicine una grande figura rap- presentante l’eclisse. Queste roccie scolpite ven- nero nei tempi moderni ritrovato da Texier presso il villaggio Boghaskoci noi nord-ovest della Cap- padocia, e Bartli, che le visitò più tardi, rico- nobbe che esse orano in relaziono coll’eclisse di Talete. Questo eclisso ha così, mercè la super- stizione, posto fine ad un inutile spargimento di sangue, e fornito un importante documento per la teoria della luna. Questa storia dei Siri e dei Medi prova una volta di più che le tenebre furono mai sempre favorevoli alle faccende d’amore. ECLISSE DI SOLE 233 Esiste un’operetta antica in un atto che ha per titolo Eclipse totale, le parole sono del signor De La Chabeaussière e la musica di Dalayrac. Sol- stizio, appassionato cultore d'astrologia, è inna- morato pazzo e gelosissimo di Isabella sua pupilla, che a sua volta ama, riamata, Leandro, bel gio- vane che frequenta la casa. Accade un eclisse solare , Solstizio non pensa che ad osservarlo mentre tutti lo abbandonano, compresi Isabella e Leandro, che si giovano deH’oscurità prodotta dall’eclisse per fuggire. Solstizio inseguendoli cade in un pozzo, dal quale è tratto fuori, dopo di aver promesso di acconsentire al matrimonio d’isabella e Leandro. Galeotto fu l’eclisse e forse Solstizio non ne avrà più osservati altri. Un astrologue, un jour, se laissa choir Au fond d’un puits, on lui dit: Pauvre bète, Tandis qu’à peine à tes pieds tu peus voir, Penses-tu lire au de9sus de ta tèteV La Fontaike. L’eclisse che sgomentò i Siri ed i Medi av- venne noi 585 a. C. e fu il primo che sia stato predetto. L’astronomo che compì questa prodezza matematica fu Talete da Mileto, uno dei più acuti filosofi dell’antichità: naturalmente la predizione non aveva l’esattezza delle odierne, che vanno fino al minuto secondo ; ma, cosa mirabile per quei tempi, si verificò nell’anno pel quale era stata pronunziata. Per fare la sua predizione Talete si servi di un periodo astronomico detto 234 ISTORIE DI MONDI Saros, probabilmente scoperto dai Caldei, i più grandi astronomi dell’antichità. Il Saros è un periodo di 6585 giorni ed un terzo circa (1), in capo al quale i centri del Sole e della Luna si trovano assai prossimamente nello medesime po- sizioni relative che avevano al principio, e ven- gono soddisfatte certo condizioni essenziali alla esattezza del Saros. Così in generale l’eclisse di un dato anno sarà la ripetizione di un simile fe- nomeno avvenuto 18 anni innanzi, e che avverrà di nuovo 18 anni dopo. L’eclisso del 1896, ad esempio, fu un ritorno di quelli famosi del 1878, 1860, 1842, e se ne avranno altre ripetizioni nel 1914 e 1932. Nel 1895 il matematico inglese Stoekwell ha scoperto un nuovo periodo di ricorrenza delle eclissi, che può tornare grandemente utile nella discussione delle eclissi antiche. Segue dai calcoli di Stoekwell, che se in un dato giorno dell'anno tropico accado un eclisse, ve ne sarà stato un altro nel giorno medesimo dell’anno tropico 372 anni prima, e ve ne sarà un altro 372 anni dopo. Applicando questo suo ciclo solare, Stoekwell trova che il 10 ottobre 2136 a. C. avvenne un eclissi, che fu visibile come parziale su tutta la China. Secondo la tradizione i due astronomi chi- nesi Ho ed Hi furono dannati a morte per non (1) Più esattamente 6585,32116, all’epoca 1900, ed è equivalente a 18 anni, 11 giorni e '/a, o 18 anni, 10 giorni ed ’/ 3 se avvennero cinque anni bisestili. ECLISSE DI SOLE 235 aver predetto tale eclisse, il qual fatto è ram- mentato nei seguenti versi inglesi: Here lie thè bodies of Ho and Hi, Whose fate, though sad, was risible. Being hanged beeause they could not spy Th’eclipse which was invisible. (1) In un’altra occasione di un eclisso in China, le nubi coprirono il cielo, ed impedirono le osserva- zioni. I cortigiani s’affrettarono a felicitare l’im- peratore perchè il cielo ammirato delle sue virtù gli aveva risparmiato la pena di vedere “ il Sole venir mangiato „. Si avverta che presso molti popoli, e fra questi i Chinesi e gli Indiani, si vuole che quando il Sole e la Luna sono eclissati, si è perchè un immane drago cerca colle sue enormi ganascie di afferrarli ed inghiottirli; donde i rumori assordanti, gli scoppii, le urla della gente per spaventare il mostro e farlo fuggire. Qualcuno ha voluto vedere nel seguente passo del profeta Amos (Vili, 9) la predizione di un eclisse: “ E avverrà in quel giorno, dice il Si- gnore Iddio, che io farò tramontare il Sole nel mezzodì e spanderò le tenebro sopra la terra in giorno chiaro „ forse accennato anche in un altro versetto del Profeta medesimo (V, 8). L’eclisse (1) Qui giaciono le salme di Ho ed Hi, il cui destino quantunque triste, fu ridicolo. Essendo stati impiccati perchè essi non poterono scorgere l’eclÌ3se che non era visibile. 236 ISTORIE DI MONDI cui si allude è quello che avvenne nel 763 a. C., dieci anni prima della fondazione di Roma, e che secondo i calcoli di Johnson sarebbe stato quasi totale a Ninive verso le 10 del mattino del 15 giugno. La descrizione di quest’eclisse, assai chiara, fu letta nel 1867 sulle tavolette assire Eponym possedute dal Museo Britannico: esso avvenne sotto il regno del monarca assiro Assur- day-an e di Uzziah, re dei Giudei, durante la prima parte della vita del profeta Isaia. Smith nel suo Smaller Dictionary of thè Bible connette il passo di Amos (Vili, 9) con un eclisse che sarebbe avvenuto il 9 febbraio 784 a. C. e che sarebbe stato visibile a Gerusalemme poco dopo il mezzodì. Menant, nel suo libro Ninive et Babylone, non menziona neppure questo eclisse. Ma l’assiriologo Bosanquet e l’astronomo Todd, come Johnson, connettono l’eclisse del 763 al passo di Amos. Le storie antiche e del medio evo registrano più o meno chiaramente molte eclissi, più o meno autenticamente contomporanee di grandi avve- nimenti. Due astronomi italiani, Millosewich e Celoria, si occuparono con molta dottrina di al- cune di esse. In taluni libri l’eclisse di Talete si fa avve- nire nel 584 a. C. Ciò dipende dal fatto che al- cuni contano gli anni prima di Gesù secondo i cronologi e gli altri secondo gli astronomi. Arit- meticamente gli anni a. C. dei cronologi sono di un’unità maggiori di quelli degli astronomi. Nel fissare per l’eclisse di Talete la data ECLISSE DI SOLE 237 28 maggio 585 a. C. abbiamo seguito, come ge- neralmente si fa, la cronologia di Des Vignoles, accettata e confermata da Airy. Giova però av- vertire che Oltmann, studiando quest’eclisse, di cui Erodoto ci lasciò memoria, dimostrò che non poteva essere che uno avvenuto il 30 settembre 610, mentre Volney sosteneva fosse uno verifi- catosi il 3 febbraio 626. Idoler, cronologista ed illustre isterico tedesco, accetta intieramente l’o- pinione di Oltmann. Oggidì la paura delle eclissi è cessata presso le nazioni civili: nel 1868 i Chinesi ne temevano ancora tanto, che a quanto racconta il P. Faura, si gettarono nelle imbarcazioni presso la sponda per sfuggire al disastro: essi non furono neppure rassicurati dalla presenza degli astronomi, che stavano a terra coi loro strumenti pronti alla ossei'vazione. L’astronomo francese Janssen, che osservò questo medesimo eclisse nell’India inglese, narra che gli indigeni, che erano stati messi a sua disposizione per servirlo, fuggirono al principiar dell’eclissi, e si buttarono in acqua attenendosi allo loro prescrizioni religiose, indicate per scon- giurare il cattivo spirito, che secondo loro mi- nacciava il sole. Di paura per l’eclisse dicesi morisse nell’840 Lodovico il Bonario. Quest’eclisse avvenne il 5 maggio 840, verso il mozzo del giorno, il Sole stando alto in cielo. Le ricerche moderne hanno provato che l’oscurità ha durato assai più di quello che altra volta si supponesse poter avve- 238 ISTORIE DI MONDI nire alle latitudini della Germania centrale (Ma- gonza). Per la prima volta fu allora avvertito il fatto che gli oggetti ed il paesaggio cambia- vano gradatamente di colore durante la totalità. Si scrisse: “ Non apparve differenza alcuna da una vera notte, così che le stelle splendevano senza alcuna diminuzione di luce *. L’oscurità totale durò per cinque minuti attraverso all'at- tuale Baviera. A proposito del mutamento di colore ecco che cosa scriveva l'illustre P. Secchi nel 1875, de- scrivendo nel suo Soleil i fenomeni generali che si osservano durante un eclisse totale: “ Ce qui frappe alors, ce n’est pas seulement l’affaiblissement de la lumière, c’est surtout le changement de couleur que présentent les objets. Tout devient triste, sombre et comme mena